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(1 Settembre 2011) Enzo Apicella

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La non riscattabilità della pensione, grave errore

(4 Settembre 2012)

La conversazione tipo con una colf o con una baby sitter – suppongo dunque anche con un dipendente di una cooperativa, magari persino di un’azienda, anzi sicuramente se pensiamo alla selva delle “aziende” edili, in realtà spesso costituite dal muratore che fa lavorare quattro o cinque amici, di solito parenti – è questa: “allora 7,50 euro l’ora più i contributi”

“Noo0, ma magari facciamo 8 l’ora, e i contributi non c’è bisogno, c’è già chi mi paga le 20 ore per avere il permesso di soggiorno”

“Ma che c’entra, scusa, i contributi vanno comunque versati” “nooo, una volta, magari, perche’ erano soldi che si mettevano da parte e si potevano riprendere al momento della partenza dall’Italia. Ma adesso, a 65 anni…. chissà dove sarò, che farò, io fra un paio di anni ho intenzione di andarmene dall’Italia. Preferisco prenderli adesso, alziamo un po’ la tariffa”

“Ma no, scusa, sono comunque soldi che vanno versati”.

“E perché? Già prendono gratis quelle 20 ore, perché io si forse un giorno le riscatterò, ma non è per niente detto e comunque corrisponderanno a una pensione minima. Tu sei in difficoltà perché non hai i soldi e sei precaria. Ma a chi li dobbiamo regalare questi soldi? Cioè, dove sta il servizio che viene garantito? Io la pensione non l’avrò mai, tu neanche. Certo, adesso con tutta la crisi che c’è l’Inps rischia il collasso. Ma a noi, tra 40 anni, che ce ne viene? Le leggi saranno cambiate 30 volte. Ti ripeto: se li potevo prendere quando me ne vado dall’Italia ci sarei stata più attenta, ma così lascia perdere. Pagami un po’ di più e contenti tutti”

Ora, alzi la mano chi non si è sentito fare almeno una volta questo discorso. Chi, ovviamemte, usufruisce della professione dell persone straniere che vivono in Italia – cioè, stando solo a chi è occupato nei servizi , qualcosa come 1 milione e mezzo di persone, considerato che la metà dei circa 3 milioni di lavoratori stranieri è impiegato in quel settore.

Il consiglio, ovviamente, è di pagarli comunque i contributi, perché così comanda la legge, e perché magari un giorno quel lavoratore deciderà effettivamente di riscattare i suoi soldi. E se non ci pensa lui, meglio essere “previdenti” – come ci ricorda lo stesso nome dell’Inps.

Eppure. La legge che “cambiato le regole” sul riscatto della pensione è – manco a dirlo – la 189 del 2002, ovvero la famosa Bossi-Fini, che impedisce da 10 anni ai lavoratori immigrati di chiedere il rimborso di quanto versato al momento della partenza dal nostro paese. Il legislatore deve aver pensato che così le casse dell’Inps non solo non avrebbero dovuto versare nulla nell’immediato di quanto dovuto all’immigrato, ma che oltretutto si sarebbero riempite ben bene – fermo restando l’altra “mossa”, e cioè quella di prevedere un contributo minimo per poter rinnovare il permesso di soggiorno.

Insomma, una manete raffinatissima. Ma la questione è che lo Stato di diritto non funziona come lo Stato dei ricatti, e quindi se una legge non prevede una controparte deisderabile per chi la deve rispettare, difficilmente risulterà efficace.



Non so come funziona negli altri paesi e quale sia il regime a cui sono sottoposti i nostri emigrati in materia di contribuzione, ed è pur vero che a differeza degli italiani per gli immigrati è stata riconsociuta la maggiore mobilità, e quindi il riscatto a 65 anni compiuti pitrà avvenire anche senza aver raggiunto il contributo minimo.

Ma non v’è dubbio – ed è sotto gli occhi di tutti – che il funzionamento del riscatto “sine die” si inceppa ben presto, alimentando ancor di più quel mercato nero che a detta di tutti è il vero freno alla nostra economia. Succede perché la sensazione è di essere “cornuti e mazziati”. E di fronte a questo, anche il più ferreo senso etico, scricchiola.

Cinzia Gubbini - babelblog (ilmanifesto.it)

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