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Marchio Marchionne

Marchio Marchionne

(26 Ottobre 2010) Enzo Apicella
Esternazione di Marchionne contro la scarsa produttività degli operai italiani

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A CHI PARLA LA SENTENZA

(20 Ottobre 2012)

Ieri Antonio compiva gli anni, voleva festeggiare ma non ci riusciva perché «ho un magone», diceva agli amici che lo chiamavano per fargli gli auguri. Quel magone aveva un nome, era l'attesa trepidante di una sentenza. Antonio è un operaio giovane e ottimista, sennò non avrebbe tre figli ai quali, da quando è in cassa integrazione perché è marchiato a sangue con la sua tessera Fiom in tasca, fatica a garantire il pranzo e la cena. A metà mattinata ad Antonio sono arrivati gli auguri più attesi: la magistratura ha detto la sua e anche in appello ha confermato che la Fiat ha discriminato gli operai di Pomigliano iscritti alla Fiom, al punto che nessuno dei 2.150 assunti - dei cinquemila che avrebbero dovuto essere - ha quel marchio incompatibile con l'idea d'impresa e di democrazia che ha Sergio Marchionne. Che ora dovrà assumerne 145, tutti iscritti alla Fiom, è costretto ad aprire i cancelli della fabbrica al demonio, un demonio assetato di giustizia.
Ma la giustizia è compatibile con i progetti di Marchionne? La giustizia è compatibile con le ricette della coppia Monti-Fornero, ai quali va stretta persino la pratica novecentesca di rappresentanza e democrazia sindacale? Marchionne, Monti e Fornero pensano che i diritti acquisiti - a un lavoro dignitoso e non costretto da ricatti, a una vita non precaria, a una liquidazione e a una pensione certe e non da fame - siano un lusso che non possiamo più permetterci. Perciò hanno usato Marchionne come grimaldello per riportare i rapporti di forza e le relazioni sociali a prima dell'autunno caldo del '69, cancellando leggi giuste e promulgandone di odiose.
Antonio non è un lupo solitario, è un animale metropolitano, come lui a Pomigliano ce ne sono tanti che ieri hanno pianto di gioia dopo aver troppo a lungo pianto di rabbia, espulsi dalla loro fabbrica, umiliati, evitati dai compagni che hanno scambiato la dignità con una promessa, che sempre più appare falsa, di lavoro e di futuro. In tanti ieri hanno festeggiato con Antonio e come Antonio: secondo la giustizia non è lecito discriminare gli operai sulla base del colore della tessera che hanno in tasca, e per il rifiuto a sottostare al diktat di Marchionne: ti farò lavorare solo se ti presenterai nudo davanti ai cancelli, spogliandoti di ogni diritto e dignità. Loro, Antonio e tante sue compagnie e compagni hanno detto no, facendo storcere il naso a politici, sindaci e sindacalisti perbene e premale, imprenditori democratici in giacca, cravatta e scarpe autofirmate e non in pullover, quelli che avevano ordinato, da molti inascoltati, di dire sì al ricatto padronale e dopo il vulnus alla democrazia di Marchionne li avevano ancora insultati: se siete fuori dal lavoro, industriale e sindacale, è colpa vostra, colpa della vostra dissennata presunzione.
La sentenza di ieri che respinge il ricorso della Fiat parla a tutti, persone perbene e permale. Parla agli operai che non avevano ceduto e a quelli che invece avevano sperato di cavarsela con il cappello in mano, quelli che cominciano a capire che in una fabbrica senza diritti, e senza Fiom, non si campa. La sentenza parla alla politica, alla sinistra in primo luogo, sia quella che ha votato la cancellazione dell'art.18 voluta dal governo Monti-Fornero sia a quella che raccoglie le firme per un referendum che ripristini una giustizia non dettata dal capitale. Se il lavoro non rientra nell'agenda politica, se non torna a prenderne la testa di lista, la testimonianza straordinaria degli operai di Pomigliano e persino il sussulto di dignità della magistratura resteranno soltanto resistenze di una cultura democratica in via di rottamazione.
La sentenza parla anche alla Cgil che oggi chiama in piazza i lavoratori delle fabbriche in crisi per rivendicare una risposta alla crisi di natura opposta a quella dominante in Italia e in Europa. La forza del sindacato guidato da Susanna Camusso sta in tutti gli Antonio di Pomigliano che non si sono spogliati davanti al padrone. Prima ancora che la Fiom sono questi operai ad aver vinto la partita davanti al giudice e al paese. È ora che la Cgil ne prenda atto, accettando finalmente l'idea che la Fiom è una risorsa, non un problema. I problemi stanno altrove, e siedono al tavolo di una trattativa impossibile con il governo e la Confindustria che usano la crisi del paese allo stesso modo in cui Marchionne usa la crisi dell'auto e della Fiat.
Diciamolo con chiarezza, almeno noi: siamo tutti Antonio, siamo tutti operai di Pomigliano.

Loris Campetti - Il Manifesto

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