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(2 Luglio 2013)
Il grido sorto nel cuore dell'occidente quando nel settembre 2011 a Wall Street i manifestanti si accingevano a lanciare il movimento di occupazione delle piazze è oggi confermato dal Sole 24 Ore stesso: il debito pubblico è un debito privato. Il 99% l'aveva detto all'1%: “il debito è vostro”.
Il 2010 è stato l'anno di svolta di questa crisi proprio perché lungi dall'innescarsi una ripresa dell'economia mondiale si è verificata la più tremenda offensiva di classe da oltre un secolo. I governi hanno travasato l'enorme debito privato nei conti pubblici, facendo diventare la crisi delle banche una insostenibile crisi dei bilanci statali. A loro volta,i bilanci statali già in condizioni non ottimali per il lento esaurirsi del ciclo produttivo post-fordista, hanno così dovuto affrontare una crisi di liquidità non generata da loro, bensì dalle banche che avevano alimentato l'insostenibile modello produttivo con la più colossale ondata d'indebitamento privato della storia. Questo indebitamento, che viene mantenuto e nascosto il più possibile tuttora, però, rischia di esplodere proprio per l'ottusità di chi governa i processi economici capitalistici. Infatti, i cicli di austerità che hanno assunto la vera e propria forma di salassi contro la peste si sono rivelati ampiamente peggiorativi, incrementando questo debito privato oltre qualsiasi soglia di guardia. Curioso che gli organi del capitale se ne siano accorti solo ora ( vedi Il Sole 24 Ore, La crisi dell'Eurozona è un problema di debito pubblico o privato? http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2013-07-01/crisi-eurozona-problema-debito-171409.shtml ). La principale occupazione del capitale, dei suoi organi e dei suoi lacchè politici negli ultimi cinque anni di crisi è stata non solo rivolta a nascondere la polvere sotto al tappeto, ma attivamente impegnata a elidere il conflitto di classe. E' così calata sulle nostre teste senza che nessuno – o quasi – se ne accorgesse, la più grande offensiva classista mai ricordata. Il triste ritornello è diventato: “abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità”, “siamo tutti sulla stessa barca”, “servono responsabilità e sacrifici da parte di tutti”. Una sorta di unità nella miseria, creata da altri (speculatori di ogni risma), e pagata dai soliti (i lavoratori, per dirla con Marx: gli unici che creano valore col proprio lavoro).
Dal 2010 a oggi con l'aggravarsi dei bilanci pubblici per via delle politiche di rigore, sono poi emersi interessanti legami tra finanza speculativa e Stati. Legami portati avanti talvolta non solo dalle medesime istituzioni, ma pure dagli stessi uomini. Tra compagnie private e Stati si sono create connessioni profonde a tal punto da influenzare tutt'oggi le stesse politiche economiche, ovviamente in senso liberista. Un ruolo centrale per lo meno in Europa è giocato da Draghi, legato alla Goldman Sachs durante la vendita di titoli tossici alla Grecia per entrare nell'euro, ministro del tesoro italiano durante l'acquisto di derivati da Jp Morgan – sì, proprio quella del monito fascista “liberatevi delle costituzioni antifasciste” - e ancora Draghi presidente della BCE durante l'odierna fase di travaso di risorse dal pubblico al privato.
Bolle debitorie hanno potuto accumularsi liberamente negli istituti bancari da Nomura fino al ben più rilevante caso di Mps, ma potrei continuare includendovi il lungo elenco di istituti di credito europei potenzialmente intossicati. Basti pensare che L. Gallino ha stimato in 700 mila miliardi (La Repubblica del 26 giugno) l'ammontare di queste “armi di distruzione di massa” fatte circolare come toccasana nelle economie del mondo, con lo scopo di “garantire dalla volatilità dei mercati” rendendo volatili gli stessi titoli. Ora, la domanda è: perché queste bolle non scoppiano? Un caso emblematico è quello di Mps dove il frapporsi dello Stato, nella persona della Banca d'Italia, come ente garante che ostacola addirittura gli accertamenti da parte della magistratura è apparso evidente fin da subito. Il tesoro italiano d'altra parte ha smentito fin dal principio il Financial Times alla notizia degli 8 miliardi di perdita a causa di questi derivati (rinegoziati a tassi svantaggiosi nel 2012 dal governo Monti). Siamo altresì in presenza di un debito creato dalle istituzioni private e venduto agli Stati compiacenti, i quali saldano rifacendosi sui cittadini con le politiche che ormai tutti conosciamo fin troppo bene. Le stesse politiche austeritarie non sono anti-cicliche e – come è apparso evidente con la sterilità governativa del Pd - mirano solamente a derogare, aspettando una ripresa dei mercati che appare sempre più messianica alla luce di un indebitamento crescente e di una domanda in caduta libera anche sui beni di prima necessità.
La produzione di beni e servizi e gli stessi flussi commerciali, come è risaputo, hanno perso la base di riferimento nei titoli finanziari, la conseguenza è che chi ha il debito lo ripaga vendendo tutto ai grandi gruppi azionari statunitensi (creditori di fatto) che nel frattempo ne hanno approfittato per comprarsi la nostra economia ancora prima dei trattati di libero commercio siglati durante il recente G8. In questi giorni la vicenda del Datagate sembra aver toccato anche le anime belle europee (si ridesta pure Van Rompuy!), ma la sudditanza economica ai grandi gruppi finanziari - la maggior parte dei quali statunitensi - è un aspetto affatto secondario della subalternità del nostro paese e del nostro continente a un modello politico-economico predatorio. Dal crollo sovietico questa sudditanza non ha fatto altro che permettere agli Stati Uniti una ulteriore stretta del giogo sui popoli della “periferia”. Una subalternità divenuta tanto più preoccupante se si pensa che, partendo proprio dalla privatizzazione dei diritti in atto, mira all'erosione dei modelli politici democratici conquistati. Il welfare europeo, il parlamentarismo, le costituzioni antifasciste non sono “merci” che si possono ipotecare per situazioni debitorie, eppure qualcuno dell'alta finanza continua a pensare che accollando il debito ad una collettività si possa arrivare ad eroderne le basi di civiltà raggiunte. La Grecia è un simbolo storico per quello che sta subendo. Qualcuno viene accreditato di credibilità democratica proprio mentre è intento nella sua opera predatoria più barbara, occorre dunque ribaltare l'assioma del debito per dissotterrare l'ascia della lotta di classe. Dev'essere chiaro che ci attende una lotta di civiltà, per evitare di ridurre tutto ad entità astratte come “merce” e “mercato”, con un “prezzo”, non saldato il quale si accumula “debito” da ripagare in qualsiasi forma. Infatti, proprio partendo dal basso si possono cogliere esempi di come questo assioma utilitaristico sia ottuso, oltreché insostenibile in un ciclo economico come l'attuale. Le lotte per la casa - durante le quali la polizia italiana è tornata a mostrare il suo lato più torbido - hanno dimostrato che senza uno Stato in grado di garantire i diritti universali, lo stesso mercato immobiliare è poco meno di una cosca di piazzisti disposti a tutto. Le stesse statistiche sul denutrimento ormai sbarcato anche in Europa, dimostrano che in una società governata dalla logica utilitaristica il cibo stesso è prerogativa di pochi. Spiace vedere scomodarsi persino il papa nell'intento di benedire gli affamati che si accalcano ai confini italiani, perché lo Ior che sta blandamente riformando mentre quella fame cresce a dismisura ha semplicemente acquistato azioni sul mercato valutario come la peggior Jp Morgan e continuerà a privilegiare il profitto sulle loro carni anche negli anni prossimi venturi, perlomeno finché la religione cattolica non cesserà di essere una “droga” acquistabile un tanto al grammo. Forse la parallela santificazione di un papa reazionario e anticomunista come Wojtyla chiarisce molte più cose sul progetto gattopardesco della Chiesa, tutta intenta, lei come le altre autorità ricordate in apertura del Manifesto, a scacciare il solito spettro che continua ad aggirarsi per l'Europa e, forse, questa volta, per il mondo.
Alex Marsaglia
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