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(12 Aprile 2018)
Nel momento in cui l’ennesima ora x sembra incombere sulla crisi siriana, le mappe di quel territorio periodicamente aggiornate dai media, secondo le indicazioni fornite dagli osservatori militari internazionali, mostrano una situazione tuttora frastagliata. Sono quattro le componenti interne che lo controllano: governativi, ribelli siriani e turchi, cosiddetti ribelli siriani cioè le forze restanti del Daesh, Unità di protezione del popolo kurde. Paradossalmente quest’ultime, abbandonate da ciascun alleato tattico del biennio passato, e invise un po’ a tutti, controllano la parte maggiore di quelle aree divise: tutta la parte nord (a eccezione di Afrin di recente invasa da turchi ed Esercito siriano libero) e l’est. Giorni addietro coloro che paiono i vincitori di questa guerra infinita (Russia, Iran) più la Turchia, pianificavano ad Ankara interessi e giurisdizione di ciascuno, pur in un conflitto in corso che continua a proporre colpi di coda. L’uscita di Trump che minaccia attacchi punitivi a Damasco, dopo aver ribadito il disinteresse per quell’area, riconduce l’ulteriore dramma che si somma a quello specifico di vite sacrificate dall’anno 2011. L’uso delle vicende siriane per interessi personali, geopolitici, strategico-militari che alcuni potenti del mondo e potentati regionali rilanciano senza sosta.
Lanciare missili Tomahawk sulle basi siriane colpevoli o meno di uso di gas sui civili, è l’azione da minacciare o mostrare all’opinione pubblica americana e planetaria per evidenziare un ego zeppo di pecche, quelle note e quelle aggiunte e presumibilmente legate alla sua stessa elezione. Certo, non tutto può essere arma di distrazione di massa, ma non è sicuramente il presidente del Paese che pratica l’Imperialismo con la maiuscola a difendere le vite dei civili, in Siria e altrove. Quelle vite disprezzate, assediate, stroncate da gran parte dei diversi contendenti è l’unica certezza, nel dipanarsi di reiterati misteri. Chi usa i gas? Lealisti, jihadisti, entrambi? Le dichiarazioni di ognuno negano, smentiscono. I volti dei soffocati sono terribilmente visibili, non solo in immagini che non possono esser tacciate di finzione, come in questi anni non sono state finzioni ammazzamenti, torture inflitti non solo a nemici. Bashar Asad può anche fregiarsi dell’affetto di quei siriani che continuano a sostenerlo, ma non dovrebbe chiudere gli occhi di fronte alla tragedia dell’intero popolo che continua a morire. Muore per le atrocità dei jihadisti e anche per mano dei lealisti a lui fedeli, sia in divisa dell’esercito, sia strutturati nelle unità paramilitari, i famigerati šabbiha sui cui sanguinari interventi molti testimoni discorrevano ben prima di questo conflitto.
Erano interventi contro la popolazione sunnita, che si dichiarava discriminata dal regime degli Asad, non solo con le proteste dei primi mesi del 2011, ma con rivolte antiche, come quella di Hama repressa nel sangue da Hafiz nei primi anni Ottanta. Storie sedimentate, su questioni irrisolte, trascinate nei decenni con enormi contraddizioni che una volta riemerse, sono state sfruttate e strumentalizzate da varie figure politiche, cui è stata armata la mano dagli stessi personaggi che, come Erdogan e Trump, si ergono a risolutori di problemi o vendicatori dell’ultim’ora. Più del meschino comportamento dell’attuale presidente siriano, che potrebbe fare il bel gesto lasciare il Paese che anch’egli contribuisce a distruggere, compiendo un passo autolesionista per gli interessi di clan ma generoso per la salvezza di quei siriani ancora in vita, appare cinico il calcolo di Putin e Rohani che lo tengono sul piedistallo per trarne vantaggi diretti. Tutto secondo il codice geopolitico: basi militari e avamposti per strategie, ahinoi, prevalenti anche su altri fronti. Ma questa geopolitica ci potrebbe risparmiare pseudo motivazioni di salvaguardia verso lo status quo minacciato da terrorismi e fondamentalismi. Il suo fondamentalismo militarista uccide da anni su quella terra e altrove. La guerra non sarà atomica ma è atomizzata nei mille rivoli insanguinati dell’industria bellica di cui si nutrono le attuali civiltà.
12 aprile 2018
articolo pubblicato su enricocampofreda.blogspot.it
Enrico Campofreda
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