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(20 Novembre 2023)
La soddisfazione per la riuscita (relativa) dello sciopero non deve nascondere la realtà delle posizioni politiche, della linea e del cammino del sindacalismo confederale. Viceversa ci si mette alla coda dei bonzi e si collabora ad un’ulteriore sconfitta.
Ai lavoratori che hanno scioperato oggi bisogna dire che Cgil e Uil non hanno alcuna intenzione di scuotere il governo se non per sedersi al tavolo della concertazione. C’è anche qualche obiettivo secondario quale quello di mandare un messaggio alla Cisl, trasferitasi armi e bagagli nel campo di Bonomi oppure a Coldiretti anch’essa passata da quelle parti. Certo - anche recuperare qualche consenso dato che la situazione di chi lavora è ormai alle soglie della sopportazione – ma il centro della questione è la legge di rappresentanza. Chi segue le cose per sentito dire, tra genericità ed astrattezza e fidandosi dell’immagine penserà che qualcosa si sveglia e purtroppo resterà deluso.
Ma che alcune cosiddette avanguardie che imperversano sui social – e solo là – non abbiano capito che non si tratta di risveglio ma di ben altre cose è veramente stupefacente; costoro hanno risvegliato una litania che andava bene, forse, nemmeno cinquant’anni fa. Ed ecco riapparire la solfa del sindacato con milioni di iscritti, delle masse che scendono in piazza e che bisogna essere con loro a qualsiasi costo. Anche a costo dei principii? Si, dicono i superesperti in lotta di tastiera, perché si tratta di rafforzare l’azione della classe operaia e i sindacati di base dovrebbero esserci anche loro e bandire il settarismo, fare cioè i pecoroni! Questa è la sostanza. Questo lo si può chiedere a chi vuole fare il quarto sindacato, a chi ripercorre in sedicesimo una sottomarca del sindacalismo della ricostruzione postbellica.
Che questo venga detto a qualche solone - sempre pronto a dire agli altri cosa dovrebbero fare e quanto sbagliano - potrebbe anche far bene ma che ci si rivolga come a traditori della classe a chi non aspetta la chiamata dei consociativi per scendere in piazza è davvero il colmo. I disoccupati napoletani hanno fatto undici ore di pullman per recarsi a Ghedi – alla base militare - e altrettante ore di viaggio per tornare a casa all’alba del giorno successivo dopo essere stati in corteo dal paese fino a tutto il perimetro della base. Dopo sei giorni hanno partecipato alla manifestazione per la Palestina a Roma: questo tanto per capire di chi stiamo parlando, di quale proletariato, di quale combattività, di quali obiettivi!
Ora, se si trattasse di rendere visibile una reale opposizione, una netta contestazione alla linea sindacale allora sarebbe stato d’obbligo andare in piazza il 17, ma fare le mosche cocchiere, per di più senza nemmeno un ronzio, è veramente chiedere il colmo. In piazza ci siamo andati e non perché la Cgil ha cinque milioni di iscritti: la chiesa cattolica ha molti più iscritti ma non andiamo a messa anche se là ci sono le masse.
P.S. – Consigliamo a tutti di studiare – non ci vuole molto – la nuova composizione di classe della Cgil. Come già fece il PCI gli operai sono ridotti notevolmente rispetto a insegnanti, padroncini di cooperative, presidi e altre categorie simili. Sono fuori da ogni istanza direttiva e la componente maggioritaria è quella dello SPI (per chi non lo sapesse sono i pensionati). Tutti i vecchi dirigenti sindacali sono tesserati a vita (ce n’è di ultraottantenni!) e li troviamo in maggioranza anche negli organismi direttivi, di garanzia, statuto, revisori e camerali. Prima di parlare studiate: e se no, come volete fare i teorici!
17 novembre 2023
pasquale cordua
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