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LA COSCIENZA TEORICA DEL PROLETARIATO

(29 Novembre 2023)

Dalla postfazione all’antologia Bagliori nella notte. La Seconda guerra mondiale e gli internazionalisti del «Terzo Fronte», Movimento Reale, luglio 2023.

Bagliori nella notte

XIII

Non esiste fase storica più eloquente di quella che dal riflusso dell’ondata rivoluzionaria apertasi nel 1917 si snoda fino al secondo conflitto imperialistico mondiale per dimostrare, al di là di ogni irragionevole e preconcetta ostinazione, quanto una salda coscienza teorica sia condizione fondamentale affinché la classe operaia possa costituire una soggettività politica indipendente; quanto l’organizzazione della coscienza teorica, ovvero il partito rivoluzionario del proletariato, strumento irrinunciabile per ottenere questa saldezza, sia una condizione sempre necessaria e mai scontata affinché la teoria, in decisivi tornanti storici possa impadronirsi delle masse e trasformarsi in una forza materiale.

È opportuno sottolinearlo perché, se frequente è il riconoscimento di quanto la maturazione dei presupposti oggettivi di una fase rivoluzionaria sia il prodotto di un processo – nello specifico la dinamica dell’accumulazione all’interno della formazione economico-sociale capitalistica – non altrettanto avviene per quanto riguarda i suoi presupposti soggettivi. O, per meglio dire, ci si riferisce al lato soggettivo del processo rivoluzionario esclusivamente come al prodotto meccanicamente determinato di quello oggettivo: il procedere delle cose determina immancabilmente anche la consapevolezza, ovvero la «costituzione del proletariato in classe e con ciò in partito», per cui, lasciando fare agli eventi, tutto andrà come deve andare (non parliamo poi di chi ritiene che il concetto di coscienza di classe non celi altro che un trivialissimo “educazionismo borghese” e che dunque non gli spetti alcuna funzione). È una tesi comoda, rassicurante, ma non materialista, e che anzi rappresenta il goffo tentativo da parte di autoproclamate soggettività rivoluzionarie di negare quello che a rigori dovrebbe essere il proprio ruolo in quanto soggettività, per autoassolversi dall’incapacità o dall’indisponibilità a svolgerlo.

La coscienza del proletariato viene da sé? È il portato immediato della sua condizione materiale? Sorge miracolosamente nel proletariato, messo in moto dalla crisi del capitalismo, come una Minerva – di tutto punto armata – dal cranio di Giove? Oppure, giace bella e pronta, increata ed immutabile, all’interno di una teca metastorica di purissimo cristallo che il proletariato non deve far altro che “infrangere in caso di emergenza” per appropriarsene? Queste vulgate ci sembrano altrettante banalizzazioni della concezione marxista del rapporto fra classe e coscienza teorica. Riteniamo piuttosto che l’acquisizione della coscienza di classe e la rivoluzione proletaria che conduce dal capitalismo al socialismo siano processi ben più complessi e articolati di quanto si possa desumere da una schematica trasposizione della dinamica storica di precedenti rivoluzioni sociali condotte da altre classi.

Sorti ai margini del modo di produzione feudale e cresciuti al suo interno coesistendo più o meno conflittualmente con i rapporti feudali, i rapporti di produzione capitalistici hanno avuto modo di svilupparsi molto prima di spezzare le sovrastrutture feudali. Il possesso dei mezzi di produzione manifatturieri, del capitale commerciale e bancario, hanno fornito alla borghesia la forza economica, l’indipendenza, e quindi gli strumenti intellettuali necessari a dotarsi di una certa consapevolezza di sé e del proprio posto nella società. Alla borghesia è stato sufficiente svolgere il proprio ruolo sociale per assumere un ruolo rivoluzionario nel contesto feudale; tuttalpiù ha dovuto rivestire i propri interessi con alte idealità prese a prestito dall’Antico Testamento o dall’antichità classica per illudere, e illudersi, sul fatto che la propria liberazione corrispondesse all’universale progresso umano, non soltanto nelle condizioni storicamente date, ma in via assoluta e definitiva.

Ben diversa è la condizione del proletariato. I nuovi rapporti di produzione che la classe operaia rappresenta sono ancora soltanto una potenzialità all’interno del quadro capitalistico, non sono una realtà effettiva che possa svilupparsi nel regime borghese senza preventivamente abbatterne le sovrastrutture. Il proletariato, all’interno del modo di produzione capitalistico, è del tutto spossessato. A differenza della borghesia, il proletariato non può dotarsi della sua coscienza di classe limitandosi a svolgere il proprio ruolo all’interno dei rapporti di produzione dati, perché questi ultimi, a differenza di quelli feudali, non hanno margini, e tantomeno può quindi acquisire quella forza economica che è stata sufficiente alla borghesia per forgiare la sua forma di autoconsapevolezza. Cionondimeno, per il proletariato, una qualche forma di coscienza di classe, una qualche forma di conoscenza teorica dei rapporti sociali, per quanto rudimentale possa essere, è necessaria non soltanto per perseguire i propri interessi storici, ma persino per soddisfare quelli più immediati. Il proletariato deve porre le condizioni politiche – in termini di sviluppo di una propria coscienza di classe, di una teoria come guida per l’azione, di un partito – prima che si affermino i rapporti sociali che corrispondono ai propri, storici, interessi di classe e come precondizione per questa affermazione.

Le alienanti condizioni di esistenza sociale del proletariato generano inevitabilmente delle reazioni a queste stesse condizioni, delle elementari contrapposizioni, e sono precisamente queste reazioni e queste contrapposizioni ad aver prodotto indirettamente la teoria rivoluzionaria e direttamente l’esigenza del proletariato di impossessarsene. In questo senso, la teoria marxista, il socialismo scientifico, non può essere altro che un prodotto storico della classe operaia.

I fenomeni sociali, ci ricorda il marxismo, vanno sempre considerati nel loro divenire, nella loro storicità. Il capitalismo, la borghesia, il proletariato, il socialismo, non sono entità astratte ma concrete realtà storiche, sviluppatesi da un contesto ed in un contesto. Lo sviluppo del proletariato moderno è avvenuto in un determinato momento dell’evoluzione storica della borghesia, in una fase in cui quest’ultima raggiungeva il suo massimo slancio rivoluzionario – arrivando alle soglie della consapevolezza scientifica delle leggi sociali – per poi ripiegare rapidamente nella difesa esclusiva del proprio consolidato privilegio economico e politico; ripiegamento accelerato anche e soprattutto dal minaccioso profilarsi del suo antagonista storico.

In questo contesto, le sempre più frequenti ed estese reazioni, al radicale spossessamento di qualsiasi forma di controllo della propria capacità lavorativa e alla progressiva disumanizzazione messa in atto dalla marcia inesorabile del capitalismo industriale, da parte di un proletariato strappato di recente a forme semi-artigianali di produzione (con tutto quel che ne conseguiva dal punto di vista dell’autoconsapevolezza e del senso di appartenenza ad una determinata comunità), hanno scosso tutti i livelli della società, riverberandosi profondamente su un’intellettualità borghese presso la quale le ultime scintille del pensiero di un’epoca rivoluzionaria che andava spegnendosi saettavano in ogni direzione, alla ricerca di nuovo combustibile sociale per divampare ancora. Un proletariato ancora “in formazione” trovò, all’interno di un contesto intellettuale che era il portato di tutta una storia precedente, gli strumenti concettuali atti ad esprimere non tanto le sue istanze “attuali” quanto quelle di cui sarebbe diventato oggettivamente portatore con il pieno affermarsi del capitalismo industriale e delle classi moderne.

Di quegli strumenti concettuali il proletariato aveva bisogno di appropriarsi. Lo fece, e tale appropriazione rimane storicamente sua anche qualora avvenga al di fuori dei suoi ranghi sociologicamente intesi; è la prassi della lotta di classe a stabilire se la teoria è conforme agli interessi del proletariato oppure se è espressione degli interessi di altre classi e strati sociali, non la provenienza e la collocazione sociale dei singoli che scelgono di farsene interpreti.

Se è indiscutibilmente vero che il proletariato è spinto ad appropriarsi di questa coscienza teorica dalle condizioni materiali della sua esistenza e dalle reazioni e contrapposizioni che queste stesse condizioni materiali generano, è altrettanto vero però che ne è allontanato sia dall’apparenza mistificante con cui si presentano i rapporti sociali capitalistici sia dal dominio ideologico della borghesia, che riposa su questa apparenza oltre che sul suo dominio economico e politico.

Ciò che il proletariato si rappresenta come fine, per usare le parole di Marx, è condizionato sia dall’apparenza mistificante dei rapporti sociali sia dal dominio ideologico borghese, e tale rappresentazione è temporanea non soltanto nella misura in cui le condizioni oggettive – facendo oscillare strutture e sovrastrutture sociali – inducono materialmente la classe operaia a metterla in discussione, ma anche e soprattutto nella misura in cui la teoria si dimostra in grado di leggere correttamente quella «situazione della sua vita» e di «tutta l’organizzazione della società civile moderna» che indicano al proletariato, in modo chiaro e irrevocabile «il suo fine e la sua azione storica».

Se quindi il proletariato è costretto storicamente ad agire in conformità al suo essere[1], lo è soltanto in quanto prende consapevolezza del suo essere all’interno di tutta l’organizzazione della società civile moderna (quindi necessariamente oltre il solo rapporto diretto con il capitalista); soltanto in quanto «la coscienza è una cosa che deve fare propria» affinché la sua prassi ne risulti vittoriosa (a che scopo spiegare al mondo le sue proprie azioni[2] se queste azioni non traessero beneficio dalla spiegazione?); soltanto in quanto diventa classe per sé, in un processo che è sì determinato ma non automatico. Il proletariato tanto più agisce come classe quanto più si comprende come classe, quanto più comprende le leggi che determinano il suo essere e i suoi rapporti con le altre classi, altrimenti è una classe solamente per il suo avversario storico, in quanto oggetto del suo sfruttamento e del suo dominio.

Se si ritiene che la classe operaia agisca in conformità al proprio essere semplicemente esistendo, così come si respira semplicemente vivendo, è opportuno ricordare che se per svolgere il semplice atto del respirare gli uomini non hanno bisogno di conoscere la struttura polmoni, la natura dei gas o il funzionamento della pressione, quando si trovano in apnea ed in profondità l’atto del respirare perde tutta la sua semplicità, e la coscienza della necessità di espirare mentre si risale in superficie può rappresentare la differenza tra la vita e la morte.

Se esistesse un’identità immediata tra la mera esistenza sociale del proletariato e la sua azione cosciente, la teoria marxista non avrebbe alcuna ragione di esistere e la possibilità del comunismo, all’interno dello spettro di cui è composta la necessità storica, non avrebbe bisogno di quella libertà rappresentata dalla coscienza di tutto lo spettro per affermarsi.

Per Marx il proletariato «può e deve necessariamente liberare sé stesso» sia perché «è costretto immediatamente dal bisogno» alla rivolta contro la perdita della propria umanità, ma anche perché – producendo indirettamente la teoria di classe e appropriandosene direttamente – ha «acquistato la coscienza teorica di questa perdita»[3].

Affinché il proletariato acquisti direttamente questa consapevolezza è però necessario che la teoria incontri la dinamica di classe, il divenire dell’esperienza di classe; è necessario che la teoria proletaria e il proletario teorico individuino in ogni fase storica gli ambiti e gli organismi della classe nei quali questo incontro si rende possibile; è necessario che la teoria della lotta di classe rivoluzionaria sia all’altezza di questo compito, il che, dal momento che la teoria non è un’entità metafisica ma si incarna in esseri umani concreti, significa che è necessario che questi esseri umani concreti si pongano all’altezza del compito della teoria.

Dal punto di vista marxista ciò vuol dire che le condizioni soggettive di una fase rivoluzionaria sono frutto di un processo che è determinato da un lato dalla dinamica del capitalismo e dall’altro dalla capacità di comprendere questa dinamica, dalla capacità di allineare la facoltà teorica a questa dinamica e, in una certa misura, di prevederla[4]; ciò rende necessariamente l’appropriazione teorica, e la difesa di questa appropriazione, al contempo un affinamento ed uno sviluppo degli strumenti della teoria. Piaccia o meno a chi confonde la preservazione di un organismo vivente con la tassidermia.

Sostenere, come è stato fatto sovente, che laddove è mancato l’elemento soggettivo di una fase rivoluzionaria sarebbe mancata tout court la fase rivoluzionaria è un escamotage verbale per sfuggire alla necessità di una riflessione critica sull’operato delle minoranze rivoluzionarie nel contesto dato. In effetti, la convergenza delle condizioni oggettive e soggettive non determina una “fase” rivoluzionaria, determina semmai la rivoluzione, che può anche essere sconfitta.

E, d’altro canto, non può considerarsi “pienamente” acquisita una teoria che non sia riuscita, in una fase rivoluzionaria, non tanto a trionfare con le masse ma quantomeno ad “impadronirsi delle masse”. Se ciò non avviene è perché gli elementi coscienti non sono riusciti a stringere legami organici con la loro classe di riferimento, e se non sono riusciti a stringerli è perché la coscienza teorica era incompleta, e/o in ritardo.

Quale che sia la fase storica, la coscienza teorica della classe ha sempre, in ogni momento,un ruolo da assolvere. Ovviamente questo ruolo si articola in modi specifici a seconda delle fasi, tuttavia, l’assolvimento dei compiti richiesti da una fase è reso possibile dall’assolvimento di quelli della fase precedente. Le fasi storiche non sono compartimenti separati da paratie stagne e non può essere la singola fase storica a incaricarsi di risolvere tutti i problemi che al suo interno si manifestano.

Ma c’è di più. Sostenere che la coscienza teorica del proletariato sia generata direttamente dalla sua condizione esistenziale significa, concretamente, condannarlo a ripercorrere ogni volta tutte le sue sconfitte storiche senza poterle ricapitolare. Mentre la classe dominante può codificare e tramandare le proprie esperienze storiche in tutta una serie di istituzioni culturali e politiche, di centri di ricerca e di potere, nelle sue accademie e nei suoi Stati Maggiori, il proletariato non dispone di questi strumenti materiali, ed è in grado di elaborare la propria memoria storica, elemento fondamentale nel definire la coscienza della classe, solo ed esclusivamente se riesce a strappare alla borghesia, e a difendere continuamente e continuativamente dalla sua influenza ideologica e dalla sua violenza di classe, l’unico possibile terreno indipendente: il partito storicamente inteso. Considerato in quanto funzione, e non meramente come forma organizzativa, quindi come coscienza teorica della classe operaia che si organizza nelle forme adeguate all’esigenza di tramandarsi di fase in fase e a quella di svolgere un ruolo specifico in ciascuna fase, il partito di classe non ha, in quanto partito, nulla di borghese. Anzi, per smentire ogni elucubrazione tesa a definire come intrinsecamente “borghese” il concetto stesso di partito, si può aggiungere che, a rigor di termini, un “partito borghese” che abbia avuto la funzione che invece il partito ha per il proletariato, non è mai esistito, neanche nella fase di ascesa rivoluzionaria della borghesia.

NOTE

[1] K. Marx – F. Engels, La sacra famiglia, Opere Complete, Editori Riuniti, Roma, 1972, Vol. IV, p. 38.

[2] Cfr. K. Marx, Lettera a Ruge, settembre 1843, in K. Marx – F. Engels, Opere complete, Editori Riuniti, Roma, 1976, Vol. III, p. 156.

[3] K. Marx – F. Engels, La sacra famiglia, Opere Complete, Editori Riuniti, Roma, 1972, Vol. IV, pp. 37-38.

[4] Viene così meno ogni equivoca dicotomia tra “partito processo” e “partito piano”, essendo il piano, inteso in questi termini, parte del processo.

coalizioneoperaia.com

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