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(3 Giugno 2006)
La nostra posizione sul caso Ferrania è nota e molto chiara: sono evidenti le similitudini tra le vicende savonesi legate al processo di deindustrializzazione e alla speculazione edilizia, con quanto sta accadendo al riguardo della più importante fabbrica della Valbormida.
Ferrania muore perché si è rinunciato da tempo a qualsiasi piano industriale, perché si intende consegnare il territorio a noti “squali”, perché si vuole riproporre l'usato ricatto occupazione/ambiente, perché alle Istituzioni, semplice interfaccia del potere economico, nulla interessa delle condizioni materiali della gente che lavora.
Il sindacato confederale è risultato, ancora una volta come è già stato nella storia della Valle, subalterno a queste logiche: nel drammatico frangente che stiamo vivendo si è ristabilita, per di più, l'antica cinghia di trasmissione che passa direttamente tra il sindacato, i Partiti, quell'Unione Industriali ormai trasformatasi in assessorato provinciale alle “chiusure e ai fallimenti”.
Prevale una perversa logica di scambio: tanto per chiarire tra la dismissione di Ferrania e la costruzione del Porto della Margonara.
Quello che maggiormente ci interessa in questo momento è, però, evidenziare le macroscopiche ingiustizie cui sono sottoposti i lavoratori.
L'Accordo di programma ha rappresentato la peggior soluzione escogitata dal Sindacato: adagiarsi sulla Prodi – bis non ha rappresentato altro che la copertura di un cedimento già programmato.
Ciò non di meno questo Accordo non è stato neppure rispettato, laddove l'impegno era per mantenere il livello occupazionale a 450 unità, mentre non si è mai arrivati oltre le 430.
Non si è adottata, per i circa 200 operai interessati, la Cassa Integrazione a rotazione: anzi la Cassa Integrazione è stata usata quale strumento di discriminazione politica e sindacale.
In questo momento, in fabbrica, esiste un reparto “mobile”, dove gli addetti sono richiesti, di volta, in volta, delle più svariate mansioni: è evidente che una diversa disposizione del ciclo produttivo consentirebbe, in questo caso, una maggiore presenza in fabbrica e, di conseguenza, la diminuzione del numero dei cassintegrati.
Paradossalmente: è diventato obbligatorio il sesto giorno lavorativo, mentre sempre più frequente è il ricorso a consulenze da parte di ex-dirigenti andati in pensione. Tutto questo accade in una fabbrica dove è stata abbandonata la ricerca e, ormai, collocata del tutto al di fuori dai settori tecnologicamente più avanzati del mercato.
Deve essere segnalato, inoltre, un atteggiamento vessatorio da parte dei quadri intermedi, legati al sindacato, nei confronti di quanti operano ancora all'interno dell'unità produttiva.
Perché il Sindacato sta dalla parte dei piloti del fallimento?
Da due anni la RSU è scaduta, e non si intende rinnovarla, per evitare il pericolo che emergano nuove rappresentanze dei lavoratori, in grado di reclamare i sacrosanti diritti fin qui calpestati.
Non lasceremo nulla di intentato per opporci a questo disegno di cancellazione della fabbrica più importante della nostra Provincia.
I lavoratori devono esprimere una propria autonoma rappresentanza, svincolata da quei legami di natura politica ed economica che stanno portando, da tempo, alla chiusura della fabbrica.
Savona, li 2 Giugno 2006
A Sinistra per Savona
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