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Per i tre operai della Fiat

Per i tre operai della Fiat

(25 Agosto 2010) Enzo Apicella
Melfi. La Fiat licenzia tre operai, il giudice del lavoro li reintegra, la Fiat li invita a rimanere a casa!

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Occorre mobilitare tutta la sinistra sulle pensioni

(1 Agosto 2007)

Di una cosa sono intimamente convinto riguardo al gran polverone sollevato sul problema delle pensioni: che ci troviamo di fronte ad un accordo deludente, figlio di un allarmismo ingiustificato riguardo alla dimensione finanziaria del problema previdenziale, abbinato alla sottovalutazione delle ricadute sociali. Ritengo che noi Comunisti Italiani, insieme alle altre forze politiche della sinistra di classe, dobbiamo lanciare una sfida a tutta la maggioranza di centrosinistra al fine di ragionare assieme sul significato politico dell’accordo, rapportandone gli esiti alle aspettative coltivate tra i lavoratori in questi mesi. Mi chiedo: che filosofia sottintende l’intesa? E ancora: è in grado di raccogliere le istanze di cambiamento manifestate dal nostro popolo? Risponde alla sacrosanta rivendicazione di risarcimento sociale dopo cinque anni di berlusconismo?

E se scegliamo di condurre un’operazione-verità non possiamo nasconderci l’errore di fondo che ha alimentato l’intera trattativa sulle pensioni: vale a dire l’aver concentrato ogni energia sulla riduzione delle uscite senza ragionare concretamente sull’incremento delle entrate. La trasposizione pratica di tale errore l’abbiamo vissuta giorno dopo giorno scorrendo le agenzie di stampa ricolme di proclami sull’innalzamento dell’età (per posticipare l’accesso alla pensione e spostare in avanti i costi che gravano sull’Inps) mentre un silenzio assordante avvolgeva il tema della precarietà (affrontando il quale sarebbe possibile regolarizzare tanti giovani allargando la platea contributiva). Questo strabismo, ritengo, è alla base dell’insuccesso. E ai danni si aggiungono le beffe, se è vero che gli ispiratori di tanta demagogia, di altrettanti luoghi comuni e, in ultima analisi, della mediazione al ribasso (leggi: il ministro Bonino, l’economista Giavazzi e tutti coloro che da mesi contrappongono i destini dei figli ai diritti dei padri) si proclamano insoddisfatti e qualcuno di loro si permette addirittura di sparare a zero “da destra” sul governo. Se al contrario si fosse scelto di ragionare sull’aumento delle entrate, si sarebbe collocato il tema-pensioni nell’ottica della ricostruzione del patto tra generazioni, e della necessità di aggredire il precariato.

Ecco perché l’accordo sulle pensioni spicca di più per tutto ciò che non contiene piuttosto che per le misure inadeguate che introduce. Pensiamo all’irrisolta separazione tra assistenza e previdenza (che finisce col caricare costi impropri sui lavoratori), alla mancata scelta di alzare le aliquote contributive a chi utilizza lavoro precario con l’obiettivo di renderlo meno conveniente, o alla reiterata penalizzazione del lavoro dipendente che continua a pagare le anomalie del sistema annidate altrove. Basti ricordare che il fondo pensioni dei dirigenti d’azienda ha accumulato, nel 2007, oltre 2 miliardi di deficit; vien da chiedersi retoricamente se è giusto che un impiegato o un operaio paghino con l’innalzamento della loro età previdenziale la cattive gestioni di chi procura pensioni d’oro ad una minoranza privilegiata. Come troppo spesso accade in Italia, si è preferito nascondere la polvere sotto il tappeto, rifiutando un approccio realmente riformista e scegliendo di diluire negli anni la “Maroni” con un meccanismo di quote abbinate ad aumenti rigidi di età anagrafica; reintroducendo così dalla finestra i discussi “scalini” fatti uscire dalla porta.

Il diritto-dovere dei comunisti era ed è quello di mobilitarsi su un tema così rilevante, ben sapendo che le battaglie necessarie spesso sono quelle più scomode. Alternative non ne esistono, pena il rischio di appiattirci sui peggiori luoghi comuni e rendere un pessimo servizio alle classi lavoratrici.

DARIO MARINI – Comunisti Italiani di Padova
(dario.marini@pd.camcom.it)

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