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La “sinistra” al capolinea

Sul Partito Democratico.

(18 Ottobre 2007)

E’ quando si commentano avvenimenti di questa portata che esce fuori il piglio del giornalismo accorsato. Infatti il titolo de L’Unità - di lunedì 15 ottobre” -sulla elezione di Walter Weltroni alla segreteria del nascente Partito Democratico (La rivoluzione d’Ottobre) da il senso vero di cosa sta succedendo. e dei profondi sconvolgimenti in atto nel sistema dei partiti e negli assetti istituzionali italiani.

La scomparsa dei Democratici di Sinistra e la loro fusione con la Margherita è un risultato che va oltre la sommatoria (al centro del sistema politico) di due formazioni che provenivano da filoni ideologici e culturali diversi. Questa operazione politica, lungamente incubata e rettificata nel corso degli ultimi anni, sancisce, definitivamente, la scomparsa della “sinistra” dalla geografia politica e relega chi ancora si attarda (con sempre più difficoltà e con continue abiure) a questa dimensione ad un ruolo mortificante (..do you remembar i comunisti/folkoristici derisi da Prodi) e marginale nei processi e nelle dinamiche in atto nella società.

E’ questo un dato di fatto, regolato e determinato dai vigenti rapporti di forza, su cui occorre, ulteriormente, riflettere in questo passaggio congiunturale della vita politica italiana [1]. Relegare la nascita ufficiale del Partito Democratico ad un mero episodio di ordinaria cronaca politica sarebbe esiziale a quanti sono interessati, e si battono, per mantenere viva, con le difficoltà e le contraddizioni che questa funzione comporta, una opzione comunista nel nostro paese.

La scesa in campo di Weltroni: capitalismo a tutto campo!!

E’ bastato ascoltare i discorsi del Walter-nazionale (dal comizio d’investitura del Lingotto ed oltre..), è bastato seguire il suo dialogato con Luca Corsero di Montezemolo, con i tecnocrati della Banca Centrale Europea, con le gerarchie del Vaticano e, soprattutto, analizzare la sua “politica sociale” per cogliere il messaggio antipopolare di questa nuova avventura politica. Dopo anni di inviti, da parte di schieramenti trasversali, ad “abbandonare i vecchi schemi dello stato sociale” il buonista Weltroni (noto, però, anche come l’americano…) a passato il Rubicone e si è attestato su un programma per l’Italia attento alle esigenze del capitalismo tricolore nell’ambito della sfrenata competizione globale.

Si spiega – in questo modo – il fastidio, addirittura, con cui questa “nuova classe di governo” tratta i “residuali” e li chiama a piegarsi alle leggi della flessibilità, del salario e gli stipendi legati alla produttività, dei valori dell’imprenditoria contro l’assistenzialismo del lavoro salariato, dell’ubbidienza cieca ed assoluta alle leggi del capitale e della suprema civiltà occidentale e delle lacrime e sangue addolcite da un liberismo appena temprato.

A fronte di questa riscrittura programmatica degli obiettivi dei poteri forti lo stesso esecutivo di Romano Prodi - fondato sull’Unione in alleanza con la “sinistra radicale” – diventa un arnese inservibile e non adatto agli ulteriori passaggi ristrutturativi che l’Azienda/Italia deve compiere per continuare a collocarsi nella cuspide dei paesi imperialisti.

Con questa consapevolezza la scesa in campo di Weltroni, il rafforzamento attraverso l’astuto meccanismo mediatico delle primarie, sono, comunque, un forte messaggio di discontinuità con cui si segna il ciclo politico italiano.

L’azzeramento dei Democratici di Sinistra, la fine dell’esperienza della Margherita (che – di fatto – era l’ulteriore erede, alle nuove condizioni della fase politica, della grande famiglia della Democrazia Cristiana) sono una tappa importante i cui riverberi saranno, a parere di chi scrive, superiori alla cosiddetta rivoluzione di Tangentopoli agli inizi degli anni ’90.

La “sinistra” e i suoi epigoni (residuali): rottami inquinati da cui rifuggire!

A fronte di questo sconvolgimento in atto la “sinistra radicale” appare come un pugile suonato sul ring. I leader di questo caravanserraglio, mentre una tempesta antisociale si abbatte sui ceti subalterni, balbettano di “rispetto del Programma elettorale” e nel contempo non viene abolita una sola delle leggi del vecchio governo del Cavaliere Silvio Berlusconi. Inoltre sul piano della prospettiva strategica si registra una Caporetto politica, con tanto di ritirata disordinata, che travolge ciò che residuava dei richiami, seppur verbali, ad una trasformazione della società e ad una difesa intransigente dei ceti popolari. Lo stesso orizzonte socialdemocratico e tardo/laburista, qualsiasi suggestione di riformismo, viene abolita dentro un dibattito che allude ad una indistinta “Cosa Rossa” che ognuno, di questo ceto politicista ed infettato di bieco istituzionalismo, immagina a proprio uso e consumo.

Le voci dissonanti di un Giordano, di un Diliberto, le raccomandazioni di un ecumenico Bertinotti (che pure si presentano immune da ogni "estremismo ribellistico" e "residuale", come tutti ben sappiamo) segnalano, tuttavia, che le ragioni storiche ed immanenti dell’antagonismo restano saldamente in piedi. Conciliare la "sinistra di governo" con la "protezione degli strati deboli", come pretenderebbero costoro [2] è, semplicemente, una impossibile quadratura del cerchio. Lo proveranno - lo stanno già provando - i lavoratori, i precari, i migranti sulla propria pelle. In Italia come altrove.

Attardarsi – quindi – in un opera di “rigenerazione” di questa “sinistra” sarebbe un esercizio alchemico al limite dei codici magici. Nel codice genetico e nella pratica concreta di queste formazioni – fatto salvo le tante soggettività che militano con abnegazione e sincera onestà intellettuale – sono ascritti tutti i limiti di una politica fondata sulle compatibilità con il capitale, sulla perdita di ogni autonomia ideale e culturale e su un paradigma eurocentrico che depotenzia e trasforma qualsiasi restante barlume di “richiamo al sociale” in un operato sciovinistico, razzista e differenzialistico. E che questa analisi sia fondata su elementi di concretezza è confermata dalla attenta osservazione di ciò che accade nelle aree metropolitane, nei segmenti operai e di nuova proletarizzazione della moderna composizione di classe e nell’evoluzione autoritaria ed antidemocratica delle forme partito, dei sindacati concertativi e nel complesso degli intrecci ideologi ed economici tra la “sinistra” ed i dispositivi di comando e controllo [3] della società.

In questa situazione – volendo parafrasare l’editoriale dell’ultimo numero di Contropiano – la “sinistra” è quella porzione della maionese che dall’impazzimento si avvia, inesorabilmente, verso il marcio e l’imputridimento dell’ambiente politico.

Un'altra via d’uscita è possibile?

I nodi principali che abbiamo di fronte sono quelli della soggettività e dell'organizzazione che nascono dalla necessità di individuare, nuovamente, dopo la debacle di questo fine/inizio secolo, la prospettiva storica della trasformazione sociale: la passione del comunismo. Questo afflato non può essere una dichiarazione di fede o un liturgico richiamo ad un lontano “sole dell’avvenire” ma deve fare i conti anche con l'esperienza storica del movimento operaio e dei partiti comunisti e rivoluzionari del secolo appena trascorso. Scansare l’analisi del Novecento non ci porterebbe lontano. Evitare di affrontare seriamente questa mole di contraddizioni ci consegnerebbe ad un continuismo senza senso e possibile di essere ridotto ad una spuntata icona inoffensiva.

Ogni tentazione di “ricostruire il partito comunista” incollando pezzi spuri e scollegati tra loro, naufragherebbe alle prime prove teorico/pratiche, incentivando, anche inconsapevolmente, il disorientamento e la polverizzazione/atomizzazione del quadro militante. Nelle difficoltà della situazione occorre essere fortemente convinti che la ripresa di un processo concretamente unitario che riguardi una sinistra coerente, i comunisti ed il movimento democratico nel nostro paese può avvenire solo se si ricuce il rapporto con il blocco sociale, con il mondo del lavoro e con i settori popolari.

La migliore tendenza al partito, la migliore scuola di comunismo – l’attitudine allo scontro e la prospettazione in avanti della necessità dell’alternativa di sistema – potranno enuclearsi in un rapporto di osmosi con la classe (…con tutte le sezioni in cui è stata frantumata la classe), sporcandosi le mani nei processi reali e nel contraddittorio compito di dare una rappresentanza indipendente ed organizzata dalle compatibilità e dagli effetti del dominio del capitale. Intanto va salutato il lavoro di ricerca e di approfondimento che inizia a dipanarsi anche nelle aree militanti e classiste che hanno scelto di non dismettere da una funzione avanzata e rivoluzionaria.

Progetti teorici come quello denominato “Il bambino e l’acqua sporca”, lo sviluppo di forme associazionistiche e di coordinamento tra forze comuniste, riviste e collettivi di lavoro sono un buon viatico di come si può lavorare e contribuire alla rimessa in carreggiata di una azione organizzata e propulsiva dei comunisti.

Ci piaccia o meno è questa la porta stretta in cui dobbiamo transitare per ancora molto tempo con la pazienza e la caparbietà di chi è convinto che una ricostruzione/riqualificazione di un pensiero comunista potrà darsi esclusivamente in una prospettiva internazionale ed internazionalista.


[1] Ci concentriamo sul quadrante italiano ma un simile ragionamento, pur considerando alcune specificità nazionali, è omologabile a ciò che accade in Europa. Anzi – negli ex paesi del “blocco dell’Est” – è in atto una campagna anticomunista di stampo maccartista ed autoritaria su cui le tante vestali della democrazia, sempre pronte ad indignarsi per il rispetto dei “diritti politici”, mantengono un vergognoso silenzio;

[2] Al di là degli orpelli propagandistici e mistificanti è questo lo scopo (illusorio e per alcuni tratti avventuristici) della manifestazione del 20 Ottobre. Un escamotage ancora più assurdo di quello messo in atto il 4 Novembre del 2006 con il surreale invito al governo Prodi di “fare una cosa di sinistra”;

[3] Centralità del mercato, assunzione del dogma della governabilità a tutti i costi, primato del cittadino, della meritocrazia ed esaltazione dell’occidente sono i cardini teorici della “sinistra”: Siamo oltre Marx, oltre Gramsci, oltre Togliatti, oltre la “democrazia progressiva”, oltre le “riforme di struttura” ed…… oltre il primo centro- sinistra nei primi anni ’60;

Michele Franco

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