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(12 Novembre 2007)
Ricostruire la sinistra, uscire dal provincialismo (anche quello di una certa retorica rievocativa della rivoluzione d'Ottobre): questa potrebbe essere una indicazione valida, per i molti che stanno cercando di uscire dalla sconfitta subita nel corso di questi ultimi decenni.
Si tratta, essenzialmente, di saper leggere la fase storica: quello, cioè, che seppero fare i raffinati intellettuali bolscevichi novant'anni (che non si parli più , per favore, di prima occasione nella storia della classe operaia al potere e via dicendo: quella fu una operazione squisitamente politica, condotta sulla base di teorie ed analisi sofisticate e rigorose, almeno per quel momento. Insomma ho sentito tante lodi “all'assalto al cielo”, che tanto oggi come oggi fanno retorica e non fanno male a nessuno e poche analisi attorno al genio politico di Lenin: almeno al Lenin delle “Tesi di Aprile”, che nessuno, ma proprio nessuno, mi pare abbia citato).
E' stata propria la lettura e l'ascolto di molti dei commenti rievocativi dell'Ottobre 1917 a indicarmi come risulti prioritario (e difficilissimo) da superare questo pesante limite di provincialismo che ci attanaglia: un provincialismo ben rappresentato da Rifondazione Comunista e PDCI, stretti dal gioco del governo, della riforma delle istituzioni, dal parlamentarismo di più basso livello (senza alcuna idea, da parte mia, figuriamoci, di rifiutare il Parlamento e le Istituzioni, in genere: ma c'è un limite a tutto, che diamine!).
Proviamo allora ad analizzare ciò che accade: nello scontro tra biopolitica e geopolitica, pare affermarsi la seconda, quella usata e antica geopolitica (cui accenna anche Mario Tronti, nella sua intervista rilasciata ad Ida Dominijanni ed apparsa sul “Manifesto”).
Una geopolitica che si basa sullo scontro inedito tra gli USA e le grandi potenze asiatiche (comprendo, con India e Cina, anche la Russia) attorno a tre nodi:
a) il predominio nell'utilizzo delle risorse (non semplicemente il petrolio, si pensi al disboscamento del centro dell'Africa per l'utilizzo del legname, o al commercio d'armi e di droga); b) il peso del debito statunitense, quasi completamente rivolto al bilancio militare; c) il controllo dell'imponente movimento migratorio, in atto da Est verso Ovest e da Sud verso Nord, in tutti i continenti.
Sta per aprirsi (o si è già aperto?) un conflitto per la modificazione dei confini a livello di Oceani, che potrebbe anche sfociare in una guerra, collocata oltre i limiti geografici del Medio Oriente: la guerra come elemento caratterizzante della nuova globalizzazione.
La prima guerra del “dopo Stato – Nazione”: una guerra tra continenti (altro che i contingenti in Libano o in Afghanistan): in questo, in questa debolezza d'analisi sta tutta la colpevole incapacità anche della nostra cosiddetta “sinistra radicale”.
Questi, elencati molto sommariamente, i punti di analisi che ci sarebbero richiesti dallo stato di cose in atto:
“Ricostruire a sinistra”: uno slogan che andrebbe verificato almeno a livello europeo (una Europa che, tra Sarkozy e Veltroni sta riscoprendo un atlantismo “vetero”, dal sapore antico quasi come quello delle già citate rievocazioni dell'Ottobre russo), perché ci si misuri subito con un solo obiettivo: l'Europa fuori dalla guerra (a partire dalla partecipazione proprio delle varie “missioni di pace” in atto). Altro che “Sinistra Europea”. Subito una Internazionale di opposizione alla diplomazia bellica dei governi;
Recuperare la prospettiva di una soggettività politica radicata in una identità sociale. Dal punto di vista dei diritti delle persone e dei diritti collettivi stiamo subendo un attacco che pare collocarsi all'indietro rispetto ai principi dell'89 francese: le prime vittime di questo stato di cose sono sicuramente gli immigrati. Gli immigrati, penso sempre alla dimensione europea, vanno considerati il nuovo soggetto sociale centrale per la costruzione del blocco storico del cambiamento; applicando per intero le antiche, ma sempre nuove, idee dell'internazionalismo proletario e costruendo questo blocco con la classe operaia (numericamente ridotta, ma esistente) e gli sfruttati;
Costruzione di una visione del futuro, basata su equilibri nelle idee di eguaglianza e di nuova democrazia rapportati alla nuova qualità delle contraddizioni: dall'ipotesi di “società sobria”, al concetto di “limite”, ad esempio (si badi bene: ho scritto “limite” e non “decrescita”).
Savona, li 11 Novembre 2007
Franco Astengo
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