">
il pane e le rose

Font:

Posizione: Home > Archivio notizie > Imperialismo e guerra    (Visualizza la Mappa del sito )

La marea bianca e blu

La marea bianca e blu

(29 Maggio 2010) Enzo Apicella
Mentre l'attenzione dei media è tutta rivolta alla "marea nera" nel Golfo del Messico, continua il blocco navale di Gaza

Tutte le vignette di Enzo Apicella

costruiamo un arete redazionale per il pane e le rose Libera TV

SITI WEB
(Palestina occupata)

I palestinesi non finiranno come i pellerossa

intervista a Samir Al-Qaryouti

(4 Febbraio 2009)

Samir Al-Qaryouti è un giornalista palestinese che da oltre trent’anni vive in Italia, dove ha studiato. Nato vicino a Nablus è passato per i campi del Libano. Come l’intero suo popolo si ritiene un profugo degli eventi storici del Novecento, anche quelli coloniali che riguardano il protettorato britannico e dunque precedenti la nascita dello Stato d’Israele e della Nakba. Profughi dell’esodo, sfollati già ai tempi della caduta dell’Impero Ottomano. Gli rivolgiamo alcune domande sulla situazione attuale dei Territori occupati e martoriati.

Cosa significa essere palestinese dopo Gaza?
Ormai ho qualche anno e ricordo la Palestina d’un tempo. Per il lavoro di mio padre, ch’era un comandante dell’esercito giordano, vivevamo a Ramallah, al terzo piano della Moqata. Ho vissuto sulla pelle l’anno ’67 che per un arabo e un palestinese è il simbolo dell’insuccesso più profondo. Dopo giugno riparammo in Giordania. Ero sempre in Giordania - arrivando da Perugia dove studiavo - nei tragici giorni del settembre nero. Poi pur dall’Italia ho vissuto altri momenti drammatici come l’allontanamento dell’Olp da Beirut. Ecco cosa significa essere palestinese della mia generazione: vivere in qualsiasi luogo la storia del mio popolo. Viverla con la mente, col cuore, col portafoglio ovunque ci si trovi non ci si può staccare dalla condizione della propria gente. Chi è nei Territori occupati subisce in prima persona ogni violenza e rischia di morire come a Gaza, ma noi della diaspora viviamo un’enorme pressione psicologica perché non è facile affrontare falsità, mistificazioni, insulti che vengono rivolti da avversari e negli ultimi anni anche da chi un tempo sosteneva la nostra causa. Per non parlare di chi sale in cattedra e vuole insegnarci come vivere questa tragedia. Conosciamo benissimo la storia, vorremmo soprattutto evitare tragedie future.

L’ultima l’abbiamo vissuta modo tremendo perché Gaza non ha difese, era accerchiata e soffocata ben prima dell’assedio dell’esercito d’Israele. Era soffocata nei suoi bisogni primari. Eppure sono stati usati gli F16 contro bambini riparati nelle scuole dell’Onu, oltre la morte quello che faceva più male erano le affermazioni della presunta legittimità di quei massacri enunciati non solo dai politici israeliani ma da molti, troppi media del mondo. Nessun grande organo d’informazione si chiedeva come mai nel 2009 si uccidono inutilmente bambini. In quei giorni anche chi non aveva parenti a Gaza non dormiva, era angosciato. Un caro amico che ha la mia età sentendo i tiggì italiani diceva: “Samir non ce la faccio più, vado via da questo Paese”. Non mi piace fare la conta dei morti. La nostra tragedia si chiama Nakba, il nostro dramma è il saccheggio e la rapina della terra, l’assedio, l’uccisione, la tortura, la prigionia quotidiani. Il nostro popolo non è stato mai vittimista. Mai. Basta guardare le facce dei feriti di Gaza, compresi i bambini. Molta stampa dovrebbe vergognarsi per quello che racconta avallando l’immagine di terroristi e dipingendoci come lacrimosi inetti. Il continente europeo è stato il creatore della tragedia palestinese, ora si rende complice delle conseguenze”.

Alcuni analisti affermano che i palestinesi sono un popolo sconfitto
“Da sessantadue anni cercano di annientarci o farci sentire sconfitti, noi non lo siamo. La nostra battaglia è l’esistenza e la stiamo vincendo, non faremo la fine dei pellerossa. Saremo l’incubo di chi punta alla nostra estinzione. Al di là di aiuti umanitari nessun sostegno politico ci è stato mai offerto a cominciare da vari regimi arabi che hanno costruito la propria gloria sulla nostra pelle. Israele ha creduto in una certa fase di averci piegato ma non è così perché resistiamo, magari solo con le pietre delle Intifade. Alla propaganda manipolatrice israeliana interessano prevalentemente le notizie da diffondere alle comunità ebraiche nel mondo, volte a esaltare la forza dello Stato sionista anche quando la realtà la mette in discussione com’è accaduto nel 2006 in Libano e ora a Gaza. Due operazioni infruttuose per Israele. La prima persa militarmente, la seconda politicamente perché i massacri di civili hanno dimostrato solo cinica forza criminale. La nostra identità l’abbiamo introdotta in ogni momento di vita collettiva ricominciando sempre dal nulla in cui venivamo gettati. Continueremo a farlo”.

Che possibilità hanno una screditata Anp e fazioni in lotta come Hamas e Fatah di stabilire trattative con Israele? I palestinesi si sentono rappresentati?
“Dal momento dell’aggressione alla Striscia di Gaza i palestinesi si sono sentiti uniti e solidali come non lo erano da tempo. Questa è la prima guerra scatenata dall’esercito israeliano su un territorio palestinese dal 1948 quando in azione accanto ai militari c’erano le bande sanguinarie (Banda Stern, Irgun, ndr). Noi siamo cananei (popolazione preesistente all’invasione ebraica del 1200 a.c., ndr) ci distinguiamo per la nostra multiconfessionalità, siamo musulmani, cristiani, perfino ebrei e abbiamo sostenuto la nostra battaglia in maniera laica attraverso l’Olp, la religione non può intralciare un disegno nazionale. Abbiamo dato un contributo a tutte le posizioni presenti nel panorama politico del mondo arabo: nazionalisti, comunisti, conservatori finché non siamo riusciti a unirci tutti nell’Olp. Abbiamo sempre rifiutato di nazionalizzarci all’interno di altri Stati che ci hanno ospitato perché in questo modo avremmo fatto la gioia del sionismo razzista che vuole cancellare la nostra identità. A Gaza la popolazione pur stremata e massacrata ha resistito, nessuno ha alzato bandiera bianca.

Si sta tanto parlando della divisione delle fazioni palestinesi ma se si pensa a quel che è accaduto dopo il Libano ’82 si comprende le enormi difficoltà che il disegno dell’Olp ha avuto successivamente. E poi distinzioni e divisioni ci son state su vari fronti resistenziali in altre epoche e con altri popoli. Non potendo metterci gli uni contro gli altri per questioni religiosi viene lanciata la questione Hamas come presunta filiale iraniana. E’ una grande balla. Innanzitutto quest’organizzazione è sunnita, come tutto l’Islam palestinese, altra cosa dal mondo sciita che rispettiamo ma non appartiene alla nostra tradizione. Il problema reale che vivono i palestinesi è la mancanza d’un leader carismatico della statura di Arafat. La sua figura pur discussa riusciva a superare anche le divisioni più nette. Purtroppo ha l’enorme responsabilità di aver tollerato e coperto nel movimento resistenziale quei comportamenti di lassismo, corruzione, servilismo che hanno prodotto tante crepe nell’istituzione dell’Autorità Nazionale Palestinese. Per non parlare di figure che hanno sequestrato Al Fatah, hanno inquinato l’Olp che invece ha bisogno di rinnovamento e capi degni di questo nome. Ha bisogno di condurre anche Hamas al suo interno”.

Ma una ricomposizione dell’Olp che possa comprendere Hamas oggi è possibile?
Sono convinto di sì. Sempre più la politica dei vari partiti non può prescindere dalle condizioni vissute dal popolo, non tenerne conto per chiunque sarebbe una follia. E per raggiungere risultati oggi più che mai occorre unità. L’Anp è figlia deformata degli Accordi di Oslo, l’Olp è altra cosa, Hamas ha vinto le uniche elezioni democratiche in tutto il mondo arabo, Fatah non ha voluto riconoscere la sconfitta. La guerra civile per fortuna non c’è stata, ci sono stati colpi di mano anche a colpi di mitra con arresti e militanti morti da entrambe le parti. La drammaticità delle ultime settimane riconduce la questione fuori da faide e interessi di parte. Stiamo tutti lavorando per un disegno unitario, c’è anche una classe d’intellettuali che s’impegna. Noi all’estero, ad esempio nei ventisette Paesi europei, stiamo preparando un piano per la ricostruzione d’un fronte palestinese unitario. Nelle maggiori manifestazioni in Europa, anche quella di Roma, la maggioranza dei palestinesi in corteo erano filo-Hamas, sono stati disciplinatissimi, urlando magari qualche slogan rabbioso ma senza azioni estreme. Le scritte o i fuochi antisemiti di Parigi non c’entrano coi cortei che sono stati duri però correttissimi. Io che non mi riconosco in Hamas ho l’obbligo di trattare con loro e resto fiducioso sul disegno unitario. L’attuale classe dirigente di Hamas è giovane e radicata nella popolazione, è nata e vissuta nei Territori. Anche Fatah avrebbe bisogno di linfa nuova ma non riesce a rinnovarsi perché da vent’anni – complice Arafat – non s’è più tenuto il congresso del partito. C’è un ceto che ha occupati posti di potere e non vuole mollarli, promettono il ricambio e non lo fanno. Anche a me, parecchi anni or sono, è capitato di gridare in faccia ad Arafat questo gravissimo problema”.

Per quali nomi e strade passa il rinnovamento?
“I nomi è difficile farli, certo non saranno volti noti come i Bargouti (Marwan sempre prigioniero nelle carceri israeliane, e il professor Moustafa, ndr) che appartengono a una generazione che ha fatto il suo tempo. Sono sempre gli eventi e la lotta a forgiare i capi, giovani preparati non mancano. Ma in primo luogo bisogna rinnovare il Consiglio Nazionale Palestinese - rappresentativo della diaspora e di chi vive nei Territori - che è stato disattivato con l’elezione del Consiglio Legislativo. Sia Hamas sia Fatah pensano a riattivare il Cnp con una rappresentanza frutto di vera consultazione non di sole nomine, per ricambiare i quadri e creare una leadership unificata come filtro di tutte queste riforme. In tal modo l’organizzazione islamica si troverà davanti alla scelta di rientrare, tramite il consenso generale, all’interno di strutture di rappresentanza ufficiali o restarne fuori. Chi pensa di riproporre la nostra questione solo attraverso l’intervento dei carri armati o con trame che lanciano figure di rappresentanza di comodo, com’è stato con Abu Mazen, sbaglia tattica. E non parlo dell’aiuto dei regimi dittatoriali arabi: con quale faccia Mubarak, che continua a governare il Paese da trent’anni grazie a leggi d’emergenza, può criticare Hamas?”

Ma attualmente sullo scacchiere internazionale, seppure i primi passi di Obama siano stati misurati e d’apertura con tutti, le trattative sono condotte da Mubarak e dai partner dell’Ue e relegano i palestinesi a popolo assoggettato a una sorta di protettorato
“Il presidente dell’Egitto è un cadavere politico, ha venduto il Paese alla Banca Mondiale, ha privatizzato ogni cosa spingendo decine di milioni di egiziani al di sotto della soglia di povertà. Non avendo alcuna funzione nella regione si presta a fare il cavallo di Troia dell’Occidente, dopo aver umiliato il passato della leadership egiziana nel continente africano usa strumentalmente la questione palestinese per avere qualche visibilità internazionale. E in quest’impegno diplomatico non riesce a spendere un volto migliore di quello d’un suo uomo dei Servizi che fa immediatamente pensare a intrallazzi e lavoro sporco. Naturalmente Abu Mazen s’è affidato a costoro, che non sono neppure mediatori onesti e neutrali, pur di conservare il plauso della comunità internazionale e sperando di mantenere la carica di Presidente d’un popolo che gli girerà le spalle“.

C’è chi obietta che a strumentalizzare la questione palestinese sia l’Iran che, per interessi d’egemonia nel grande Medioriente e in contrapposizione al ruolo israeliano di controllo nella regione, finanzia Hamas
“Che l’Iran sciita o la Siria sciita e alauita abbiano interessi nella regione risulta assolutamente logico. L’Iran è una nazione che storicamente ha sempre guardato al Medioriente mediterraneo; nella storia recente durante il regime dello Scià gli israeliani erano strettissimi alleati e collaboratori di questo Paese, poi con la rivoluzione komeinista sono diventati avversari. Certo dopo la durissima guerra contro l’Iraq gli iraniani hanno rilanciato le proprie mire sull’intera area nella quale Israele vuole dettar legge e ciò crea un’instabilità elevatissima. Se a questo s’aggiunge il discorso della deterrenza nucleare tutto s’ingigantisce. Israele non è più convinta della sua imbattibilità, non vince guerre dal 1967, ha messo su le stragi di Gaza per ridare morale alle truppe sconfitte tre anni fa in Libano, una terra con cui l’Iran ha legami antichissimi tramite la matrice religiosa sciita, legami rinnovati politicamente col Partito di Dio. L’Iran sarà sempre più nella regione per contrastare ritorni di fiamma dell’ipotesi della Grande Israele rilanciata dopo la “guerra dei sei giorni” con l’invasione del suolo libanese dell’82. Perché Israele dovrebbe perseguire i propri interessi nella regione e l’Iran no? Quest’ultimo ha interessi di buoni rapporti con la Russia e con l’Afghanistan che continua a subire ingerenze imperialiste.

Le accuse rivolte all’Iran circa gli aiuti e i finanziamenti forniti ad Hamas fanno sorridere. Perché Israele non fa lo stesso proprio nei Territori direttamente con le truppe occupanti o armando i coloni ultraortodossi oppure pagando i delatori palestinesi? Gli iraniani non strumentalizzano la causa palestinese, la sentono. La mentalità di certo sionismo è negazionista, nel linguaggio dei militari e anche di molti politici il termine palestinese non esiste, parlano genericamente di arabi. Nei propri legami culturali e religiosi l’iraniano sente la causa palestinese ricollegandola all’usurpazione di Gerusalemme capitale negata, la città della Moschea di Al Aqsa non può vedere i musulmani umiliati come attualmente accade ai palestinesi. Tutto ciò viene ignorato dalla stampa occidentale. Eppure l’Occidente dovrà accantonare la politica della demonizzazione che ha investito l’Iran negli anni passati, fattori strategici ed economici orienteranno questo cambio di rotta. L’attacco a Gaza ha risvegliato l’orgoglio sopito dei popoli musulmani, paradossalmente Israele in 22 giorni ha riequilibrato i disastri politici dell’Olp dell’ultimo quindicennio. Oggi ogni arabo, anche qualunquista, s’identifica con la causa palestinese. Un sentimento che non sarà facile cancellare”.

2 febbraio 2009

Enrico Campofreda

Fonte

Condividi questo articolo su Facebook

Condividi

 

Ultime notizie del dossier «Palestina occupata»

Ultime notizie dell'autore «Enrico Campofreda»

Commenti (1)

I palestinesi non diventeranno i nuovi pellerossa

Interssante l'inyervista a Samyr al Qaryouti e condivisibili le risposte. Solo su un punto non sono d'accordo : l'uscita di scena di Marwan Barghouti. Hamas, tagliato fuori dalle potenze occidentali, può ritornare in gioco scegliendo come presidente dell'Anp, al posto del collaborazionista Abu Mazen, Marwan Barghouti. Non vedo altre scelte che possano riunire tutta la resisteza palestinese.

(10 Febbraio 2009)

Bono Ireo

ireobono@mail.com

3220