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(2 Maggio 2012) Enzo Apicella
A Torino contestato Piero Fassino al corteo del primo maggio. La polizia interviene con una carica pesante e immotivata.

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A proposito della sentenza di Milano contro gli imputati accusati di far parte del Partito Comunista Politico-Militare (PCP-M)

(23 Luglio 2009)

“Ti puniamo non per quello che hai fatto ma per quello che sei”, questa è la filosofia preventiva della sentenza di Milano, di cui ci parla con questo primo commento l’avvocato Giuseppe Pelazza, difensore di molti imputati.

La sentenza della 1^ Corte di Assise di Milano, letta il 13 giugno scorso nell’aula bunker di piazza Filangieri, a conclusione del processo agli arrestati del 12 febbraio 2007, è significativa sotto diversi profili.

Se da una parte ha minimamente corretto l’impostazione del pubblico ministero, assolvendo tre imputati e diminuendo le pene assolutamente fantasmagoriche richieste dall’accusa, dall’altra ha ritenuto sussistente il capo d’imputazione principale, relativo ai delitti di banda armata (306 CP) e associazione con finalità di eversione (270 bis CP).

Ora, prescindendo dalla paradossalità di una accusa che sostiene che si sarebbe dato vita a una banda armata per realizzare un “minus” quale è l’associazione sovversiva, sostenendo, per giunta, la duplicazione delle imputazioni “associative”, il centro della questione sta nell’utilizzo dell’accusa per reati associativi per colpire, nell’assenza di fatti specifici di qualche peso, chi si muove su un progetto politico rivoluzionario (la costruzione del Partito Comunista Politico-Militare) o ha comunque una identità antagonista rispetto allo Stato.

Invero, in relazione agli unici due fatti specifici – comunque di scarsissima gravità – contestati (uno sparo notturno, nel 2003, contro le finestre di una sede di Forza Italia, e l’incendio, nel 2006, della porta d’ingresso di una sede di Forza Nuova) vi è stata assoluzione generale.
Come fatti rimanevano dunque – per alcuni imputati – solo una esercitazione, della durata di una decina di minuti, con armi da fuoco, ed il tentato furto ad un bancomat (con i connessi reati di furti d’auto e targhe).

Ora, numerose sentenze della Cassazione sostengono che, perché possa ritenersi la sussistenza di un 270 bis (o anche, dell’aggravante della finalità di eversione o di terrorismo), debba esistere una associazione (o un comportamento), in grado di mettere in pericolo il bene protetto da queste norme, cioè la personalità dello Stato e/o l’Ordinamento Costituzionale, e che sia cioè in grado di ostacolarne effettivamente il funzionamento.

E perfino il Tribunale Speciale, negli anni del fascismo (sentenza Damen 31.1.1928 n. 4), assolve dall’imputazione di banda armata mancando “un corpo stabilmente organizzato per l’attacco e per la resistenza, un’associazione avente un valore militare, composta di persone armate pronte all’attacco e capace di sostenere l’urto di una forza organizzata dello Stato, un’organizzazione con legame permanente, gerarchico e disciplinare…”.

Il nostro processo, evidentemente, non ha portato alla luce nulla di simile.
Ma ormai i processi politici, e questo in particolare, svelano una natura di tipo penal-preventivo: ossia non si comminano sanzioni per fatti commessi, ma si tolgono dalla circolazione coloro che, in futuro, potrebbero commetterne. E così si lancia anche un pesante avvertimento ad una intera area politica e a vasti settori sociali.

Ancora, si può affermare che riprende vigore (a fianco del ricostruirsi di una sorta di “diritto penale del nemico”) una effettiva applicazione della teoria della colpa di autore (propria della Germania degli anni 30), e cioè “ti punisco non per quello che hai fatto ma per quello che sei”.

E le punizioni inflitte non sono state da poco: dai 3 anni e 6 mesi si sale fino ai 15 anni, passando per i 7, gli 8, gli 11 e i 13. E se consideriamo che ad uno degli imputati, cui era mossa solo l’accusa per il reato associativo, sono stati inflitti 11 anni e 4 mesi, risulta evidente come sia il dato “ideologico” a determinare la quantità della pena.

Ancora, voglio rilevare come la sentenza si colloca, altresì, quale momento finale di un utilizzo politico-mediatico (altro significativo aspetto dei processi politici), del procedimento: ricordo come gli arresti, che ben avrebbero potuto essere richiesti ed eseguiti o molto prima o molto dopo, avvennero, guarda caso, il 12/2/2007, nell’imminenza della grande manifestazione di Vicenza contro la costruzione dell’aeroporto USA e nel contesto di una situazione di grande difficoltà per il Governo, consentendo una enorme, e demonizzante, grancassa mediatica.

Del resto è stata caratteristica anche della fase finale del processo l’interazione con altre indagini e la loro gestione mediatica. Basti pensare che, terminate le arringhe difensive il 4 maggio, il p.m. anticipò che all’udienza finale (11 giugno) non avrebbe replicato alcunché, nonostante sembrasse assolutamente indispensabile per l’accusa : ci hanno, infatti, pensato, a creare il “clima” per la sentenza, altre indagini, altri arresti e la gestione, su giornali e TV, di queste indagini e di altri fatti “di movimento”. Così ricordiamo come, a proposito dell’episodio torinese Palco Fiom – Rinaldini – Slai Cobas, i media abbiano immediatamente evocato le dichiarazioni di solidarietà con i lavoratori di Pomigliano tempo addietro giunte dalla gabbia degli imputati; come, dopo la prima manifestazione studentesca torinese sul “G8 dei Rettori”, i giornali abbiano “stranamente” ricordato l’esistenza di un compagno operaio torinese assai attivo sindacalmente e ora nella gabbia del processo, e come il giorno successivo proprio suo nipote venisse arrestato a Torino, con il prevedibile corredo di richiami giornalistici. E, infine, non può sfuggire la tempistica dell’operazione, con sei arresti e numerose perquisizioni, condotta dalla Procura di Roma (ma è lecito pensare a un qualche collegamento…), sempre sotto l’insegna della “caccia alle BR”, guarda caso alla immediata vigilia della entrata in Camera di Consiglio della 1^ Corte di Assise milanese.

Che dire poi della disinvolta violazione delle regole processuali (trascrizione delle intercettazioni ambientali fatta non sui nastri originali, ma su copie effettuate senza alcun controllo o garanzia, esonero all’ultimo minuto, di alcuni giudici popolari con motivazioni assolutamente incongrue – quali, ad esempio, contusione ad una caviglia avvenuta 4 giorni prima dell’ingresso in Camera di Consiglio, poliziotti sentiti come testi dietro paraventi, il mini-collaboratore di giustizia sentito in collegamento audio-video)?

Ora, però, mi manca lo spazio temporale per dilungarmi, e sottolineo solo che, se il processo è diventato strumento di “lotta contro”, è evidente che le regole processuali non possono che subire una drastica “caduta”.

E, infine, voglio soltanto ricordare come la cosiddetta custodia cautelare abbia assunto, in questo procedimento, valenze del tutto estranee alle previsioni codicistiche: i trasferimenti e lunghissimi – e illegali – periodi di isolamento sono infatti stati utilizzati per cercare di modificare l’identità degli imprigionati.

Questo rapido, e sicuramente insufficiente, intervento, non può che concludersi richiamando l’importanza di mantenere alta l’attenzione su queste dinamiche istituzionali, sul complessivo rimodellamento dello Stato, e, da ultimo, ma non in ordine di importanza (e senza che ciò voglia dire identificazione con chi è imprigionato), sulla realtà carceraria, in complessiva espansione, con mirata riorganizzazione dei settori “differenziati” (e cioè con vanificazione delle normali regole).

Milano, 19 Giugno 2009

Avv. Giuseppe Pelazza.

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