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Gli accademici israeliani devono pagare un prezzo se si vuol porre termine all'occupazione

(23 Settembre 2009)

Alcuni giorni fa, il Dr. Neve Gordon dell'Università Ben Gurion del Negev ha pubblicato un editoriale sul Los Angeles Times. In quell'articolo spiegava perché, dopo anni di attività nel campo pacifista, ha deciso di riporre le proprie speranze sull'esercizio di pressioni esterne su Israele – incluse sanzioni, disinvestimento ed un boicottaggio economico, culturale ed accademico.

Egli crede, e così anch'io, che solo quando i ceti abbienti della società israeliana pagheranno un prezzo reale per l'occupazione, faranno genuini passi in avanti per mettervi fine.

Gordon guarda la società israeliana e vede uno stato dell'apartheid. Mentre le condizioni di vita dei palestinesi si deteriorano, molti israeliani stanno traendo benefici dall'occupazione. Tra i due estremi, la società israeliana sta affondando in un completo rifiuto-ritiro in un odio estremo e nella violenza.

La comunità accademica gioca un importante ruolo in questo processo. Eppure, invece di suonare l'allarme, si sveglia solo quando qualcuno osa rivolgersi alla comunità internazionale e chiedere disperatamente aiuto.

Lo slogan ormai logoro che ognuno recita in questo contesto è quello della “libertà accademica”, ma è tempo che qualcosa rompa questo mito.

L'appello alla libertà accademica nacque durante l'Illuminismo, quando i poteri dominanti cercavano di sopprimere i pensatori dotati di un pensiero indipendente. Già allora, più di 200 anni fa, Immanuel Kant distingueva tra gli accademici le cui competenze (legge, teologia e medicina) servivano la classe dirigente e quelli che non avevano né il potere né gli erano vicini. Per i primi, egli afferma, non ha senso parlare di “libertà” o di “pensiero indipendente” dal momento che qualsiasi uso di una simile terminologia è cinico.

Da allora, il cinismo si è diffuso ad altre competenze. Nel migliore dei casi la libertà accademica era considerata come il diritto a porre questioni problematiche. Nel peggiore come il diritto di attaccare chiunque ponga troppe questioni.

Quando si innalza la bandiera della libertà accademica, è l'oppressore e non l'oppresso che solitamente la sventola. Qual è questa libertà accademica che interessa così tanto la comunità accademica in Israele? Quando ha mostrato, per esempio, preoccupazione per lo stato della libertà accademica nei territori occupati?

Quest'anno scolastico si aprirà a Gaza in aule distrutte visto che non ci sono materiali di costruzione per ricostruire dalle rovine; senza quaderni, libri e materiale per scrivere, che non possono essere acquistati a Gaza a causa dell'embargo (esatto, Israele può boicottare le scuole e non si è udito nessun pianto!).

Migliaia di studenti nelle università della West Bank sono in arresto o detenuti nelle carceri israeliane, di solito perché appartenenti ad organizzazioni studentesche che non piacciono alla classe dirigente.

Gli ostacoli e le barriere di separazione impediscono a studenti e professori di raggiungere le lezioni, le biblioteche e gli esami. Partecipare a conferenze all'estero è quasi impensabile e l'ingresso di esperti che abbiano passaporti stranieri è permesso solo di rado.

D'altro lato, membri dell'accademia israeliana fedelmente difendono il loro diritto a ricercare ciò che il regime si aspetta che loro ricerchino e che è deciso da ex ufficiali militari in posizioni universitarie. L'università di Tel Aviv è orgogliosa di sé stessa per il fatto che il Ministero della Difesa sta finanziando 55 dei suoi progetti di ricerca e perché il DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency – Agenzia della Difesa per Progetti di Ricerca Avanzata) del Dipartimento della Difesa statunitense, ne sta finanziando altri nove. Tutte le università offrono programmi di studio speciali per la Difesa.

Quei programmi hanno dovuto far fronte a qualche protesta? A differenza dell'impressione solitamente accolta, solo pochi docenti parlano decisamente contro l'occupazione ed i suoi effetti, e contro la natura sempre più bestiale dello stato di Israele.

La grande maggioranza è indifferente alla propria libertà fino al momento in cui non esca fuori qualcuno che chiede aiuto alla comunità internazionale. A quel punto si levano voci da destra e da sinistra, l'indifferenza scompare, sostituita dalla violenza: boicottare le università israeliane? Ma questi sono attacchi alla cosa più sacra tra le sacre, la libertà accademica!

27 agosto 2009

L'autrice è professoressa presso il Dipartimento di Filosofia dell'università di Tel Aviv.

Tratto da: http://www.pacbi.org
Traduzione a cura del Collettivo Autorganizzato Universitario – Napoli
coll.autorg.universitario@gmail.com
http://cau.noblogs.org

Anat Matar

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