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La bufala della lapidazione

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(20 Settembre 2010) Enzo Apicella
Il presidente iraniano Ahmadinejad: Sakineh non è mai stata condannata alla lapidazione, il "caso" è una montatura giornalistica del governo USA

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Iran, le piazze e le lotte di potere

(6 Novembre 2009)

Dalle elezioni contestate dello scorso 12 giugno ogni occasione è buona perché decine di migliaia di iraniani si ritrovino nelle piazze di Teheran gridando “Morte al dittatore”, attualmente indicato nel presidente Ahmadinejad. E’ accaduto più volte in questi mesi e sempre durissime sono state risposte e repressione sia dei polizieschi reparti antisommossa sia delle milizie Basij, braccio militante dei Pasdaran. Repressioni terminate col sangue versato da un numero imprecisato di manifestanti, l’opposizione ha parlato di decine di morti e migliaia di arresti, le voci ufficiali sono colpevolmente rimaste sul vago. Eroina assurta a simbolo della ribellione di giugno è la studentessa Neda colpita da proiettili quando più feroce s’è mostrato l’attacco coercitivo del governo che ha usato l’omicidio con l’intento d’intimorire e sedare le rivolte. Intento che si sta rivelando fallace perché i cosiddetti riformisti pro Moussavi allargano il consenso oltre l’appartenenza all’area “verde” in cui si riconoscono i sostenitori d’un personaggio comunque ambiguo. Anch’egli fino a poco tempo addietro legato all’establishment alla stregua d’altri navigati contendenti del potere iraniano, per tutti l’ayatollah-imprenditore Rafsanjani.

Né le uccisioni, né i processi in corso stanno fermando l’ondata di proteste antiregime e ieri, puntualmente, l’occasione per scendere in piazza s’è ripresentata con la ricorrenza dell’assalto ambasciata statunitense di Teheran del 4 novembre 1979. Allora 52 cittadini americani vennero presi in ostaggio a causa del rifiuto di Washington di consegnare alle autorità iraniane lo Shah, deposto dalla Rivoluzione Islamica e riparato all’estero. Quel sequestro durò 444 giorni. Si risolse con la liberazione degli ostaggi ma decretò quella frattura che dura da trent’anni e s’è trascinata dietro una lunga scia di ritorsioni fra i due Paesi, con l’aggravante per l’Iran delle famose sanzioni che tanti problemi economici hanno creato alla popolazione per l’ampia rete delle alleanze politico-finanziarie di cui gli States godono. Rammentando l’avvenimento l’ayatollah Ali Montazeri, ormai anziana ma sempre prestigiosa figura religiosa, ha dichiarato che quella mossa fu un errore. Lui lo condivise a fianco di Khomeini di cui era il delfino, col senno del poi afferma come sia doveroso “considerare le ripercussioni negative create dal gesto nel popolo americano“.

Al presidente statunitense Obama che, ricordando egli stesso l’evento, invita il governo di Teheran a “scegliere un percorso futuro anziché concentrasi sul passato” ha fatto eco la Guida Suprema Khamenei che ha ricondotto i discorsi generali alla real politik ed è tornato al tema del nucleare. Verso gli statunitensi ha usato taglienti metafore “Ogni volta che hanno un sorriso sulle labbra nascondono un pugnale dietro la schiena. Ci dicono di negoziare ma accanto alla trattativa c’è la minaccia, noi non vogliamo accordi con risultati già determinati”. Sugli scontri di piazza, come fa da tempo, la tivù iraniana offre versioni di parte. Le notizie su quanto s’è verificato ieri passano per altre vie, dalle sempre presenti Al Jazeera e Cnn ai siti web su cui immagini pur tratte da riprese di fortuna continuano a dribblare le strette maglie dell’informazione ufficiale. Negli attacchi ricevuti dai manifestanti a piazza Haft-e Tir potrebbe essere coinvolto anche il leader Karroubi le cui due guardie del corpo sono state ferite, mentre Moussavi non era in strada perché impossibilitato a lasciare la sua abitazione.

Contemporaneamente in altre zone di Teheran sfilavano – com’è già accaduto a giugno - i sostenitori di Ahmadinejad inneggiando all’atto rivoluzionario dell’assedio dell’ambasciata Usa. Anche loro erano decine di migliaia. La lotta politica nel Paese ha nell’uso della piazza, spontaneo o indotto, uno strumento d’indubbio impatto visivo ed emotivo. In trent’anni tutti i volti della Rivoluzione Islamica, dalla più intransigente militanza khomeinista ai più moderati cortei di Khatami, hanno attraversato le strade. Coi fieri e armati pasdaran, le “malvelate” ripropositrici insieme alle islamiste moderniste di un’emancipazione femminile che non vuol essere semplice vezzo occidentale. Questioni tuttora all’ordine del giorno con disoccupazione e sbocchi futuri per i nuovi soggetti giovanili, ma allo stesso tempo lavoro e distribuzione di beni sociali e ricchezza che riguardano milioni di mostazafin, i diseredati. Inoltre la generazione che ha difeso patria e rivoluzione islamica si dice pronta a immolarsi ancora assieme ai figli, allevati secondo princìpi combattenti e non opportunisti. Sono i Guardiani della Rivoluzione sostenitori del cosiddetto Partito dei militari che appoggia l’attuale presidente e, in occasione del suo primo mandato, lanciarono l’attacco al potere del clero facendo poi retromarcia. Non è detto che non trovino presto un altro figlio di fabbro da opporre ai mostakbarin (oppressori) al posto d’un logorato Ahmadinejad.

Bisognerà vedere quanto reggerà il compromesso intrapreso col clero fondamentalista, che ben oltre Khamenei ha negli ayatollah Yazdi e Shirazi gli strenui difensori del velayat-e faqih, la legittima superiorità del governo religioso. Esistono comunque chierici critici a tale principio (fanno capo agli ayatollah Sorush, Kadivar, Shabestari) che pur attualmente minoritari non sono scomparsi. L’indole intellettuale, che li fece consiglieri del riformista Khatami durante i suoi due mandati, li pone in relazione agli ayatollah modernisti (Ardibili e Sanei) e ai tradizionalisti (Khorasani e Mussa Zanjiani) in confronti prevalentemente teologici. Ribadendo la distanza dalla politica vissuta in prima persona potrebbero far perdere peso a quella norma che fu fortemente voluta da Khomeini ma non appartiene all’originaria religione sciita. Nonostante le apparenze in Iran tutto si muove, il quadro socio-politico è complesso e assolutamente vivo. E con esso l’intreccio fra vicende interne e internazionali.

5 novembre 2009

Enrico Campofreda

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