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Hariri verso Damasco

(13 Dicembre 2009)

Incassata nei giorni scorsi un’amplissima fiducia al suo programma Saad Hariri s’appresta a visitare la confinante Siria per iniziare a scongelare i rapporti con l’ingombrante vicino. La data non è fissata il viaggio è comunque prossimo. L’assetto regionale, dopo l’ennesima guerra provocata tre anni fa da Israele, è sempre a rischio ma le novità non mancano. Sul Libano Assad ha mutato strategia rispetto alla politica paterna che in concomitanza con le invasioni israeliane pensava a incamerare una parte del Paese dei Cedri. Dopo le accuse dell’attentato a Rafiq Hariri il governo di Damasco ha ritirato le truppe dal territorio libanese, iniziando a tenere un basso profilo in occasione delle nuove devastazioni israeliane segnate dai bombardamenti del luglio 2006. La capacità di reazione contro Tsahal mostrata dalle milizie Hezbollah è una realtà di cui ha preso atto anche il panorama istituzionale col voto della Baabda contro cui si sono levate solo le voci dei reazionari più sguaiati: l’ultimo epigono dei Gemayel, Sami, e Nicolas Fattoush battitore libero nello schieramento “14 marzo” che ha accusato Hariri junior di averlo abbandonato nella cercata e non ottenuta investitura a ministro. A metà fra la vendetta e il dissenso è giunto il suo voto contrario all’esecutivo cui viene contestato il riconoscimento delle forze armate Hezbollah come componente resistenziale che ha difeso e può difendere la Patria da attacchi esterni. George Adwan e Sami Gemayel delle Forze Libanesi sono gli altri deputati che hanno contestato il premier sulla questione delle milizie sciite.

Due grandi opportunisti del quadro politico interno: il generale Aoun, un tempo feroce nemico dei siriani e dei combattenti palestinesi, si è ormai schierato con l’opposizione Hezbollah sparigliando il fronte maronita e dopo la lunga crisi di governo anche il druso Jumblatt guarda con attenzione alla componente del “Partito di Dio”. Questa insieme ad Amal, e agli alleati pur di comodo, rappresentano un blocco che oggi vale più dei dieci ministri messi a disposizione dal patto “15+10+5”. Perciò Hariri presta continuamente attenzione agli umori d’una componente che può condizionare le scelte politiche del Paese ben oltre il diritto di veto, e come capo dell’esecutivo segue la via della collaborazione più ampia. Da parte sua Hezbollah per bocca del vicesegretario Naim Qassem ha apprezzato l’articolo sei della dichiarazione di governo che sottolinea l’importanza dell’azione resistenziale nella politica libanese. Lunedì il presidente della repubblica Suleiman incontrerà Obama e accanto a questioni riguardanti la sicurezza dell’area, che coinvolge i dialoghi con Bashir Assad aperti dalla Casa Bianca, si parlerà anche della non facile situazione economica libanese del suo debito di 50 miliardi di dollari, dell’economia basata esclusivamente su attività immobiliare e servizi (soprattutto bancari), della disoccupazione e sottoccupazione che assieme superano il 50%, della ricchezza concentrata nel 10% della popolazione e delle sempre più ampie fasce di povertà che raccolgono persone costrette a vivere con due dollari al giorno.

Fra le fasce giovanili più fortunate che riescono a raggiungere gli studi universitari questo fine settimana ha visto le elezioni in due importanti atenei: la Lebanese American University e l’American University of Beirut. Come sulla scena politica maggiore gli schieramenti erano divisi fra gli haririani del “14 marzo” e gli oppositori dell’ “8 marzo”. Ago della bilancia nelle votazioni è stato lo schieramento progressista di Jumblatt, i cui esponenti giovanili, seguendo le orme del leader, si sono barcamenati fra l’appoggio all’opposizione dello schieramento “8 marzo” legato principalmente a Hezbollah che ha prevalso nella prima università e quello dato all’altro gruppo all’AUB. Scelte dettate dall’intento di poggiarsi su chi gli garantiva le maggiori chances di entrare nei parlamentini universitari, insomma una questione di scranni più che di programmi. Buone notizie invece per i rifugiati palestinesi per i quali il ministro della salute Khalifa ha stabilito un protocollo con Unrwa per fornire a chi ne necessita assistenza pubblica negli ospedali. Dopo i recenti pronunciamenti del leader di Hezbollah Nassrallah per assicurare ai profughi dei campi che vivono in condizioni miserrime un aiuto governativo per salute, istruzione dei giovani, lavoro per gli adulti, senza per questo rinunciare al diritto a tornare nella propria terra, l’iniziativa assume il sapore d’un primo importante passo per far seguire alle buone intenzioni fatti concreti. S’inizierà coi malati di tumore e quelli cronici che vedranno applicato il medesimo trattamento dei cittadini libanesi con un contributo del 25% del spesa che sarà poi ulteriormente integrata dall’agenzia Onu. Poiché per parecchi nei campi l’arte dell’arrangiarsi prevede magari il baratto di generi alimentari ma neppure la possibilità di maneggiare quel paio di dollari al giorno del libanese povero.

13 dicembre 2009

Enrico Campofreda

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