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Terroristi

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(4 Gennaio 2011) Enzo Apicella
Dopo Pomigliano anche a Mirafiori il ricatto di Marchionne: o lavorare schiavi o non lavorare più

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Pomigliano d’arco: oggi è già domani

(25 Giugno 2010)

Il risultato del Referendum svoltosi a Pomigliano d’Arco tra i lavoratori dello stabilimento della Fiat chiamati ad “esprimersi” sul famigerato Piano Marchionne, segnala alcune questioni politiche sulle quali vogliamo appuntare l’attenzione dei compagni e dei tanti delegati onesti e combattivi che in questi anni, a vario titolo, hanno animato mobilitazioni e lotte contro la Fiat e contro l’intero padronato.

a) Sui lavoratori di Pomigliano, come hanno evidenziato in tanti, si è abbattuto un autentico tornado i cui obiettivi travalicano la dimensione aziendale e puntano ad un riverbero negativo in tutto il mondo del lavoro in materia di diritti, di salario e di democrazia reale. Non si spiega, altrimenti, il volume di fuoco che la Fiat, la Confindustria, l’insieme dei poteri forti e i sindacati collaborazionisti hanno messo in campo contro gli operai. Le settimane che stanno alle nostre spalle hanno visto all’opera un sapiente lavorio di convincimento “uomo ad uomo” le cui tecniche e modalità non hanno nulla da invidiare alla propaganda di Goebbels. La stessa attenzione spasmodica dei media, tutta sbilanciata a favore dell’azienda, è lo specchio rivelato dell’importanza della posta in gioco per gli interessi del capitalismo tricolore nell’ambito dell’accresciuta competizione globale internazionale.

b) In queste condizioni si è svolto “democraticamente” il voto: in una fabbrica blindata dalla polizia, con gli agenti della Digos che si aggiravano fin dentro i capannelli di discussione ai cancelli, con i burocrati di Fim e Uilm liberi di entrare nei seggi e con la pletora di capi e capetti che proiettavano il Dvd, realizzato dall’azienda, in cui si illustravano le virtù mirabolanti del Piano Marchionne.
Il voto operaio è stato massiccio dimostrando che, in ogni caso, i lavoratori, seppur contraddittoriamente e con le inevitabili ed oggettive illusioni a tutt’oggi ancora presenti, hanno voluto esprimere il proprio parere.

c) L’azienda, il padronato, il governo, i sindacati collaborazionisti, il Partito Democratico e la stessa Cgil nazionale e campana si sono impegnati massicciamente per realizzare un plebiscito per il SI contando di azzerare definitivamente ogni dissenso in fabbrica verso questo ulteriore incrudimento delle condizioni di sfruttamento. La stessa Fiom – che non ha firmato l’intesa – pur non riconoscendo, almeno fino ad oggi, la legittimità del referendum, non ha dato indicazioni di voto e si è dichiarata disponibile a riprendere il confronto con l’azienda a partire proprio da una delle richieste più perniciose di Marchionne ossia quella dell’indispensabile aumento dei volumi produttivi dello stabilimento.

d) Solo lo Slai/Cobas si è schierato, apertamente, per il NO al Piano Marchionne tentando di rappresentare, nella difficoltà della situazione, una sponda sindacale organizzata a fronte della politica aventiniana della Fiom, la quale – come già è accaduto in altri momenti a Pomigliano e non solo – è suscettibile di una sua trasformazione in una cosciente azione di nuova complicità con le ragioni e gli interessi dell’impresa.

I numeri dei risultati del Referendum registrano una sostanziale manifestazione di un dissenso operaio il quale, anche attraverso le urne, evidenzia una indisponibilità dei lavoratori ad ingoiare i diktat della Fiat.

Gli stessi voti per il SI non significano adesioni al Piano Marchionne ma sono una espressione (in larga parte confusa e costretta ) della volontà operaia di difendere, in ogni modo, il diritto al salario dopo circa due anni di cassa integrazione e di incertezza per il futuro. Del resto, già nei giorni scorsi, alcuni segnali, tra cui il plateale fallimento della Marcia a sostegno dell’azienda, e gli scioperi negli stabilimenti di Termini Imerese, di Melfi, Mirafiori e Piaggio avevano mandato a dire che Marchionne non saranno solo tappeti rossi ma anche mobilitazioni a difesa della dignità dei lavoratori oltremodo calpestata.

La fase che si dischiude per Pomigliano, per gli stabilimenti della Fiat e per tutti i lavoratori (quelli privati, quelli pubblici e per l’universo del precariato e dell’invisibilità sociale) sarà irta di problemi e di complicazioni.

L’offensiva del padronato in corso, mentre il palesarsi della crisi economica accentua i suoi caratteri antisociali, non produce automaticamente una risposta unitaria e lineare. Anzi, nelle difficoltà delle dinamiche in atto, potranno innestarsi fenomeni e comportamenti di competizione tra i vari soggetti sociali colpiti dalle conseguenze della crisi.

Ritorna – quindi – il tema attuale di come implementare una moderna conflittualità confederale ed intercategoriale (fuori e dentro i posti di lavoro) capace di spezzare le inevitabili derive aziendalistiche, localistiche e, spesso, corporative che potranno alimentarsi nelle forme del conflitto che andranno, inevitabilmente, a riaccendersi.

A Pomigliano si è consumata una importante vicenda la quale sarà foriera di conseguenze generalizzate già nelle prossime settimane. Non sappiamo se gli strateghi della Fiat ricatteranno ulteriormente i lavoratori, non sappiamo se e come la Confindustria ricalibrerà la propria azione. I segnali che percepiamo, però, a poche ore dall’esito del voto, ci evidenziano un fronte padronale assetato di vendetta e di odio di classe.

Ed è in tali snodi politici che una soggettività comunista attiva, che si pone il rompicapo teorico e pratico di come trovare e sperimentare modalità di relazioni organizzate con significativi segmenti di classe, investe su una sua funzione espansiva ed attiva ad ampio raggio.

la Rete dei Comunisti

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