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(4 Gennaio 2011) Enzo Apicella
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Lettera aperta ad Oscar Giannino, Giornalista economico e conduttore su Radio 24

(23 Agosto 2010)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.webalice.it/mario.gangarossa

(emittente radiofonica del Sole 24 Ore)

Gentile Oscar Giannino,

le scrivo dopo aver seguito il suo recente intervento, incentrato sulle vicende Fiat, a "TG3 LineaNotte". Poiché apprezzo la sua onestà intellettuale e la sua correttezza nel cercare di capire anche le ragioni dell'interlocutore, le sottopongo qualche tema di riflessione che cercherò di esporre in modo non polemico e possibilmente accettabile anche se proveniente da un'ottica e da un percorso di formazione, che suppongo sia stato lontano dal suo. O magari non così tanto distante. Infatti,al di là della contingenza presente, che oggi, pur laureato al Politecnico di Torino e professionista nel settore "automotive", mi vede "cassintegrato" dell'indotto Fiat, sono pur sempre un architetto che ha fatto parte per anni del "popolo delle partite IVA", e si è confrontato sul campo con le difficoltà, ma anche con i privilegi e le soddisfazioni, di quella "libera professione" che ho sempre esercitato, spostandomi anche in città diverse dalla mia Torino, investendo tempo e danaro, su me stesso e sui miei collaboratori.

Dico questo solo per premettere che, nel mio piccolo, so cosa vuol dire essere, o cercare di essere,"imprenditore"... ma soprattutto so quali errori non bisogna commettere, per poterlo essere.Che poi è quasi paro paro ciò che invece vedo fare oggi da molti sedicenti imprenditori. Usare i "soldi degli altri", per dirla alla Luciano Gallino, indebitarsi ricorrendo al credito bancario per coprire debito su debito, creare e disfare Spa vuote di contenuti e denaro, Holding e Gruppi industriali sempre più grossi e indebitati, spesso al mero fine di ricavarne più o meno leciti benefic ifiscali, costruire un avvolgente sistema di fatturazioni ombra, inoltrarsi, per cercare liquidità facile, in speculazioni finanziarie azzardate e spesso fallimentari, tentare la via dei business paralleli alla propria attività "core business", con esiti spesso disastrosi e capaci solo di prosciugare il residuo patrimonio finanziario, di "know how" e umano dell'azienda stessa.Se tutti questi comportamenti suicidi li pagasse l'imprenditore, non sarebbe poi un grave danno. Il Mercato produce, ma anche consuma. E determina la nascita o la chiusura di molte imprese. Ed è giusto che sia così. Nel mercato non esistono"spazi vuoti". Morto un suo "attore", ne emerge un altro,magari più attento e più capace. E la forza lavoro non va perduta, né il"know how", che passa solo da azienda a nuova azienda, magari anche crescendo e rafforzandosi. Magari.Ma il nostro tutto sembra essere fuorché "libero mercato". L'imprenditore, generalmente sostenuto, se non addirittura "creato" dalla Politica, più o meno corrotta o ricattata, non affonda, ma galleggia in un limbo di incentivi, aiuti di stato e salvataggi bancari.

Per il Lavoratore non c'è via d'uscita... non può lasciare l'azienda di origine... non ne troverebbe altre del resto... e non può sostenersi che con l'aiuto dello Stato. Un aiuto tattico, ma ben poco strategico, dato che i soldi delle Casse Integrazione sono, in realtà, gli accantonamenti contributivi e pensionistici degli stessi lavoratori, che si stanno consumando, senza sufficiente immissione di nuovo gettito previdenziale.E questo perché molto lavoro, più o meno giovanile, contrassegnato da contratti di (pseudo)formazione, cococo, cocopro o a tempo determinato che sia, da molti anni versa nuovi contributi in misura molto ridotta.Ed il lavoratore è pure costretto a pregare che la sua azienda non chiuda e non fallisca, come sarebbe naturale e "mercantile", liberando l'azione di altre aziende ed altre energie... ma continui invece per anni ad ammorbare il cosiddetto"mercato" con la sua opaca presenza, da morto che cammina.Concordo appieno, dunque, con la posizione liberista, da lei espressa, che Fiat abbia fatto male, omeglio, si sia fatta del male, a vivere per tanto tempo con gli"alimenti"che lo stato le passava.Questo ha soprattutto provocato due cose.La prima è la mancanza di innovazione nei processi produttivi (innovazione che non vuol dire, comecredono da anni in Fiat, abbassare gli stipendi agli operai e ridurre i marginidei fornitori).La seconda è stata la poca attenzione alla creazione di feeling verso il prodotto auto, con la produzione di una pletora di modelli "nati vecchi", tutti insistenti sui medesimi "segmenti" (generalmente B e C, da sempre i più saturi di modelli), con una evidente sovrapposizione sulla medesima fascia di mercato e conseguente "cannibalizzazione" del potenziale cliente (quindi parcellizzazione del mercato stesso, con contrazione dei volumi di vendita).Il risultato é una spiccata propensione del prodotto Fiat a restare invenduto.I piazzali Fiat, infatti,sono da sempre sovraffollati di prodotto invenduto.Serve davvero, allora, produrre di più senza preoccuparsi di cambiare la filosofia stessa del prodotto auto, o non sarebbe meglio concentrarsi sul produrre prodotti più ricchi di contenuti e tali da accattivare un cliente evoluto, come quello italiano ed europeo in generale?Fiat, infatti, vende a fatica - sempre che si voglia considerare come "venduto" ciò che è solo "immatricolato" a carico dei concessionari e della rete divendita, costretti a questa procedura dalla stessa Casa madre (cosa da cui poi deriva l'immenso parco dei "Km0") - duemilioni e mezzo di veicoli all'anno.Fiat lo sa, tant'è che pr il rilancio delle vendite in Europa, punta soprattutto sui modelli di alta fascia della Chrysler (in primis i SUV), che negli Usa, oggi, vendono pochino, portando là le utilitarie più "risparmiose" (idea che già di per sè lascia attoniti e preoccupati),Vale la pena, allora, solo per produrre altri veicoli che probabilmente resteranno parimenti invenduti, dilapidare un patrimonio di legislazione sul lavoro, di cultura contrattuale e di tutela dei lavoratori?Tutele che, conviene ricordarlo, sono anche fonte di sicurezza sul posto di lavoro, di correttezza e trasparenza di rapporti, di salvaguardia della praticabilità e sostenibilità dell'impiego in fabbrica della forza lavoro, oltre che della dignità del lavoratore in quanto persona.E a proposito di rispetto e trasparenza, fra le cose da ricordare, senza tema di smentite e buste paga alla mano, c'è pure il fatto che a fronte della sempre maggiore richiesta di disponibilità e flessibilità, i lavoratori italiani (operai, impiegati e quadri) prendono, a parità di mansione, dalla metà ai due terzi dello stipendio dei colleghi di Francia e Germania. Non hanno mai prospettive di crescita. Non sono quasi mai avviati dalle aziende nostrane (diversamente a come si fa in Germania, o alla Toyota, o anche alla Renault) ai previsti (anche dalla normative europee) corsi di aggiornamento e formazione, cosa che forse non sarebbe proprio inutile per migliorare il livello qualitativo delle produzioni.

Sorvoliamo poi, per carità di patria, sui corsi "interni" per la "sicurezza sul lavoro"... questa sconosciuta.

Ma su questo, che pure tornerebbe a loro vantaggio, le nostre aziende fanno spallucce, perché la formazione costa e intralcia gli attuali ritmi di produzione... e l'aggiornamento del dipendente, poi, a cosa serve ... "che una volta che l'ho formato e istruito, lui prende e se ne va da un altro per dieci euro in più". Parole vere di pseudo-imprenditore reale, ascoltate con le miestesse orecchie.

Non sarà, infatti e stando così le cose, che Citroen, o il Gruppo PSA, o la Opel o Volkswagen, tanto per restare nell'ambito dei più diretti competitors di Fiat, semplicemente producano un prodotto-auto "migliore"?

E se il "Made in Italy" non "tira" più, non sarà perché Fiat si è beata per decenni dei suoi allori da dopoguerra, quando, in un clima di motorizzazione agli albori di un intero Paese, era forse un po' più facile vendere, rispetto ad oggi... dove si andava di certo un po' meno per il sottile, nel giudicare un modello, essendo quanto mai necessario quale che fosse, (come avviene oggi in Brasile ed Est Europeo, soprattutto Polonia e Romania, ma anche in Ungheria enella stessa Russia) dove Fiat, escluse Lancia e Alfa Romeo nel segmento più ussuoso, godeva del suo bel "quasi monopolio"?

A me pare un classicissimo esempio di arrogante abuso di posizione predominante in un dato mercato.

E questo dormire sugli allori è entrato a tal punto nel DNA di Fiat, da aver effettivamente ostacolato quella che, con espressione tanto abusata quanto ormai priva di senso, va sotto il termine di "Ricerca e Innovazione". Tradotto vuol dire,ormai, ricerca di sempre nuovi paradisi fiscali e angoli di mondo "terzo" i cui governanti siano così alla canna del gas da essere disposti a concedere di tutto pur di portare a casa qualche investimento straniero, come la Serbia che ha concesso a Fiat 10 anni "no tax".

Che poi mi chiedo quale"investimento" Fiat si debba sentire impegnata a fare in un paese dove, già solo per il fatto di esserci,ottiene sconti fiscali, agevolazioni statali e costo della manodopera fra un quiarto e un quinto di quello "patrio" . L'"investimento" è già tutto lì. Non occorre ingegneria di processo, non occorre qualità del fare, non occorre ottimizzazione della catena produttiva, non occorrono sinergie e non occorrono economie di scala. Tutto è già pagato dal risparmio fiscale, contributivo e salariale.

Cioè si fa sempre lo stesso errore.

Perché su queste basi, si transita solo dall'Italia alla Polonia... e poi dalla Polonia al Sud Italia (forse e con il coltello alla gola dei lavoratori e delle rappresentanze sindacali)... e intanto si va anche dalla Polonia e da Torino,fino in Serbia. Sempre grazie alla famosa "Ricerca".

Per quanto concerne l'"Innovazione", bhè... anch'essa non è poi così necessaria. Basta rinnovare al ribasso i contratti... o trovare altri Paesi poveri dove una qualunque forma di contratto "alla Padrone delle Ferriere", per quanto possa rappresentare un passo in dietro là dove la civiltà giuridica e del lavoro si sia adeguatamente evoluta ed affermata, come è in Occidente, possa risultare persino innovativo"... rispetto alla schiavitù o ai lavori forzati, intendo.

Tornando alla mancanza di"produttività", se si intende con ciò la capacità di produrre auto,allora i discorsi delle ore lavorate in più, della massima utilizzazione del ciclo produttivo degli impianti, del non fermarsi mai e del fare più auto...edi più... e di più, decadono completamente, perché il problema non sta nel "produrre di più", ma nel "vendere di più". In altreparole "produrre auto che si vendano". Perché senza la capacità di vendere il prodotto, è desolantemente inutile vessare e colpevolizzare un'intera classe sociale, fatta di operai, impiegati e rappresentanti sindacali, come fosse addebitabile a questa, lo scarso volume di vendite di un modello piuttosto che di un altro.

Se invece, come dovrebbe essere, per produttività aziendale, intendiamo piuttosto la "produzione di utili", si può a buon diritto affermare che questa incapacità di produzione di reddito sia causata anche, anzi soprattutto, da un'evidente carenza di capacità ideative e progettuali, da un marketing furbetto e ottuso, da un post-vendita Fiat inesistente, da un drastico calo di valore dell'usato Fiat, pur in casa Fiat, e ricomprando Fiat.

Pensare che tutti questi "gap" manageriali - su cui operai (ed impiegati) non hanno nessun controllo, semplicemente perché loro producono bene o male allo stesso modo, nello stessotempo e allo stesso costo, sia un gioiello di design automobilistico,sia uncompleto "aborto" - debbano ricadere come costi da tagliare sulle loro spalle è semplicemente ridicolo ed insopportabilmente offensivo. Semplicemente non esiste un problema di produttività dell'operaio Fiat, o non solo. Esiste piuttosto un forte problema di incompetenza del Management Fiat e del suo Marketing.

Un esempio per tutti, un po' noioso, ma illuminante di certa ottusità strategica nostrana.

Nel segmento A la Volksvagen aveva la FOX, nel mercato sudamericano, e la LUPO, in quello europeo. Nel segmento "B" la POLO e la AUDI A2, uscita di produzione al terzo restyling della Polo,restata ora sola. Nel segmento C compaiono la famosissima bestseller GOLF e l'AUDIA3, ben distinte dal target di vendita e dalla filosofia intrinseca ai due prodotti. Talmente differenziate, inq uanto a target di clientela e prezzo, da non rappresentare una sovrapposizione, ma fette di mercato totalmente distinte, sono i prodotti Seat e Skoda verso il basso profilo, Saab, Porsche e Lamborghini verso il "top digamma".

Negli stessi segmenti Fiat ha la PANDA in 18 versioni, la recente 500 (che riveste in modo differente meccanica e componentistica Panda), la PUNTO "CLASSIC" (quella di due restyling fa), la NUOVA PUNTO (lapenultima,restata in produzione perché preferita dal mercato all'ultimo restylig), la PUNTO EVO (quella che non piace dalle cromature e fanaleria ispirate all'estetica di una plafoniera da interno frigorifero), l'IDEA (c'è sotto la vecchia punto prima serie di Giugiaro) la MUSA (è l'Idea con marchio Lancia), la Lancia YPSILON (sotto c'è sempre la vecchia Punto), La NUOVA PANDA, di cuitanto si parla (c'è il nuovo pianale delle future Ipsilon e piccolemonovolume,derivato da quello della 500), l'ALFA ROMEO MITO (che"sotto" è anch'essa una 500). Per il segmento"C", ci sono: la FIAT BRAVO, la LANCIA nuova DELTA, l'ALFA ROMEO GIULIETTA (sullo stesso pianale ci sono la BRERA, la CROMA, la 159 e la futura"MULTIPLA" serba.

Diciassette modelli, inluogo di cinque, divisi quasi equamente in due gruppi di prodotti del tutto sovrapponibili, insistenti sulla stessa fascia di mercato, rivolti alla stessa utenza. Uguali sotto l'aspetto meccanico, motoristico e componentistico. Trazione anteriore per tutti (vera"bestemmia" per gli Alfisti, ad esempio... ma così vuole una malintesa economia di scala), "frutti" (si dicono così tutti gliinterfaccia auto-utente: strumentazione, leve e pomoli di regolazione deiservizi,bocchette aria , quadri elettrici, apertura porte, etc) clonati da modello a modello... e nelle stesse posizioni, omologando, uniformando ed appiattendo il design e l'originalità degli interni di vetture che dovrebbero avere anima e conseguente aspetto, ben caratterizzato e distinto, ma che invece, non solo hanno "sottopelle" lo stesso DNA meccanico, ma pure lo stesso styling, la stessa ergonomia, gli stessi materiali e, in definitivalo stesso aspetto.

Un'uniformità degna delle produzioni automobilistiche del Socialismo Reale, che, dicono, ti lasciasse scegliere solo il colore dell'eterna stessa Trabant, ma che almeno non aveva la sfacciataggine di offrirti come "gamma" differenziata, la stessa auto... con sette od otto loghi diversi, ma la stessa meccanica, con gli stessi motori e con le stesse finiture.

E dove non c'è nessuna caratterizzazione, non c'è nessuna personalità... c'è, invece, scarso appeal...quindi inevitabile e scontato insuccesso commerciale.

Semplice. Come semplice è la conclusione che si venderà di più quando si faranno "auto migliori",non "più auto".

E si faranno auto migliori quando il Management industriale che oggi comanda, capendo solo, e anche poco, di sondaggi e numerini, si farà da parte, riconoscendo di aver portato il prodotto auto in un vicolo cieco dal quale non sa come farlo uscire, e verrà sostituito da chi amerà l'auto per quello che è, e non solo per i soldi che fa fare.

Al centro dell'Auto c'è l'Uomo. Al centro di quell'"Abitacolo in movimento", c'è il suo"Spazio di Relazione". Dell'Uomo con Se stesso, con gli Altri e con l'Ambiente esterno.

Dall'attuale Management e dall'attuale Marketing Fiat, possiamo aspettarci che capiscano questa logica del processo creativo?

Non direi proprio, visto che la formazione di certi personaggi, anche di peso, all'interno di aziende delle dimensioni di Fiat, non andava oltre al livello culturale di trasmissioni televisive del tipo"NonSoloModa" o "Sex and The City". Da queste pretendevano di formarsi un'idea del "Mercato Globale". Non era raro sentir dire che un’auto doveva “avere Kung-Fu”. E per loro l'Auto, piccolo, ma significativo ambiente di vita e spazio di relazione dell'Uomo, diventava ora una scarpa, ora una borsa, ora un giocattolo, ora un"coltellino svizzero" dai mille usi. Ma mai un'Automobile. E non sono battute...ma la mia esperienza diretta.

E' tutto qui il problema, ma anche la soluzione, se vorremo mai affrontarla con coraggio, magari andando controcorrente... magari "nazionalizzando" le aziende degli incapaci,visto che lo Stato le ha già quasi comprate, finanziandole per anni.

Magari ricominciando a dare dell'arrogante all'arrogante... e dell'imbecille all'imbecille, invece di applaudirlo tremebondi.

Queste sono tutte problematiche, si abbia tutti l'onestà di riconoscerlo, dovute alla fondamentale incapacità previsionale e decisionale di molti manager del settore auto, in genere provenienti dai più disparati settori finanziari, magari capacia far di conto (e neppure sempre), i quali, non essendo in grado di "pensare" un'auto innovativa si affidano al marketing, ai benchmark e ai"sondaggi a intervista", per scoprire cosa piace, in un dato tempo"T zero" del mercato auto, lo copiano e obbligano la progettazione ad inserirlo in quell'agglomerato di tendenze mal capite, di vezzi inutili e orpelli (secondo loro) "di moda", che poi chiamano AUTO.

Dimenticandosi che nell'"oggi", non vi è alcunché di innovativo. Che copiando la moda del momento, non fai, né puoi fare, un modello in grado rappresentare il futuro, di anticipare i tempi, di rispondere alle ancora inespresse, ma già esistenti per chi sa davvero ascoltare, domande del Mercato di domani.

Quello, per intenderci, che prima dell'arrivo della malarazza dei "manager", sapevano magnificamente fare inostri dimenticati "carrozzieri". Creare lo stile e una moda, non seguirli.

E guarda caso sono proprio queste le qualità che renderebbero "desiderabile" un modello e "vendibile" un'auto. Loro pensano, invece, a scopiazzare ciò che qualcuno gli dice piaccia oggi al momento storico "Tzero". E così si precludono (e"ci" precludono – intendo a noi designer e progettisti,dato il potere assoluto di cui godono nelle aziende, a causa di titolari, imprenditori e consigli di amministrazione che di tutto capiscono, meno che di auto - la possibilità di creare auto (ma ciò vale anche per qualsiasi prodotto) che non seguano la moda, ma la anticipino, pensando un prodotto che sia già al tempo "T1", o "T2"... o "T1000" se si è capaci.

Ma questo lavoro essenziale, tanto management, anche blasonato, non lo sa fare. In genere sa più spesso fare banalmente i "conti della serva", necessari, ma non sufficienti... e soprattutto sempre col segno meno davanti. Meno costi, cioè meno investimenti e meno ricerca, ma anche, in conseguenza della poca innovazione,meno qualità del prodotto e sua conseguente minor vendibilità, cioè minor fatturato, che si cerca poi di riguadagnare con meno tutela del lavoro, minore certezza dei contratti, minore sicurezza, meno ferie, meno permessi, meno legislazione (quella cosa sconosciuta che la media degli imprenditori definisce"lacci e lacciuoli") e in definitiva meno diritto per tutti.

Soprattutto per le generazioni future, vero "utente finale" di questo "appello" atipico che io, con tutta la modestia del caso, ma con tutta la forza necessaria e la convinzione che viene dall'osservazione reale della propria esperienza, sto rivolgendo a lei.

Perché come lei, altre persone capaci di incidere nel mondo della Cultura e dei Media, possano, anche a piccole gocce, metabolizzare, se validi come io credo, pensieri un po' diversi dai propri e magari riproporli, con altri linguaggi, in ambienti tendenzialmente poco permeabili all'"altro da sé".

Magari il mio linguaggio potrà risultare di parte, soprattutto nel tono. E sicuramente ho affastellato molte cose, tutte insieme, forse tralasciandone altre altrettanto importanti. Di ciò faccio ammenda anticipatamente, restando però convinto che due intelligenze a confronto su di un tema, alla fine non possono fare altro, nel riaffermarsi tali, che arricchirsi l'una dell'esperienza dell'altra.

Con stima, cordiali saluti.

Giorgio Branca

18 agosto 2010

www.webalice.it/mario.gangarossa

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