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Don Riccardo Seppia

Don Riccardo Seppia

(20 Maggio 2011) Enzo Apicella
In carcere a Genova don Riccardo Seppia, accusato di acquistare cocaina che scambiava con ragazzini in cambio di prestazioni sessuali

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(L'oppio dei popoli)

Walter Peruzzi/La religione della vita

(29 Marzo 2010)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.cattolicesimo-reale.it

2a edizione aggiornata, in tre parti scaricabili,

riproducibile citando la fonte

Benedetto XVI ripete ogni giorno che la religione cattolica è la “religione della vita”. La Chiesa dice di difendere la vita “dal suo inizio al suo termine naturale”. Vescovi e cardinali si proclamano “dalla parte della vita” e invitano a votare per la destra in suo nome. Come risposta a queste indecenti bugie ripubblico, con pochi aggiornamenti, un mio pamphlet dell’aprile 2008. Esso mostra che l’“amore per la vita”, ipocritamente sbandierato dalla Chiesa a parole, è smentito da un’ininterrotta catena di omicidi, stragi e violenze, non solo commesse ma ordinate e giustificate “in nome di Dio”.

1. I cattolici cominciano a uccidere “in nome di Dio” La nostra storia - che non tocca, naturalmente, tutti i delitti contro il quinto comandamento commessi da cattolici, ma solo quelli (e anche questi in modo incompleto) riconducibili direttamente ai papi, alle massime autorità ecclesiastiche e ai concili - comincia all'inizio del IV secolo, quando l'imperatore Costantino concesse la libertà di culto ai cristiani “come a tutti gli altri”. In tale occasione, con l’Editto di Milano del 313, egli proclamò che “la libertà di religione non può subire costrizione” (1). Ma solo dodici anni dopo, come presidente del I Concilio di Nicea del 325, decretò che “se qualcuno fosse trovato di avere nascosto un libro composto da Ario e non lo distrugga subito nel fuoco, deve subire la pena di morte” (2).
Anche il neoconvertito Firmico Materno affermò nel 347 che si devono abbattere i templi dei falsi dèi e uccidere gli idolatri, secondo l'insegnamento della Bibbia (3). E la cosa fu messa subito in pratica da vescovi che, come Ambrogio di Milano, assaltarono le sinagoghe, o da vescovi, preti e laici cristiani che distrussero templi pagani e uccisero nel 415 la grande scienziata Ipazia.

Quanti morti costa un papa
Uno dei primi e più significativi massacri avvenne però a Roma fra i partigiani di Damaso I (366-84) e quelli di Ursino, entrambi aspiranti al trono papale. Le due fazioni si scontrarono per tre giorni con morti e feriti. “L'ardore di Damaso e Ursino per occupare la sede episcopale”, scrive lo storico pagano Ammiano Marcellino, “superava qualsiasi ambizione umana….Damaso ebbe la meglio: la vittoria, dopo molti scontri, arrise al suo partito; nella basilica di Sicinnio, dove i cristiani erano riuniti, furono trovati 137 morti.... Non c'è comunque da meravigliarsi, considerando lo splendore di Roma, che un premio così ambito accendesse il desiderio di uomini maliziosi e determinasse le lotte più feroci e ostinate. Una volta raggiunto quel posto, si gode in santa pace della fortuna assicurata dalle donazioni delle matrone, si va in giro in cocchio vestiti elegantemente, si partecipa a banchetti il cui lusso supera quello della tavola imperiale” (4) . Per premio della vittoria conquistata sul campo a prezzo di oltre cento morti, Damaso fu anche fatto santo…

La teoria della guerra giusta
Alla pratica della violenza si accompagna la sua giustificazione: nel V secolo uno dei più grandi padri della Chiesa, Agostino, si richiamò all’esempio delle guerre “intraprese da Mosé”, per elaborare la dottrina della “guerra giusta”. Rovesciando le argomentazioni dei pacifisti cristiani contro la guerra, Agostino sostenne che proprio per mettere fine agli orrori delle guerre si deve… farle e imporre così la pace: “l'umana durezza…. non si scandalizzi delle guerre intraprese da Mosè, poiché seguendo in esse i comandi divini egli non fu crudele ma obbediente, né Dio nell'ordinarle era crudele, bensì ripagava chi meritava secondo i suoi meriti e intimoriva i degni.… Il desiderio di nuocere, la crudeltà della vendetta, l'animo non placato e implacabile, la ferocia della ribellione, la brama di dominare e simili: è questo che a ragione si biasima nelle guerre. È soprattutto per punire a buon diritto simili cose che le guerre vengono intraprese dai buoni, per ordine di Dio o di qualche altro potere legittimo”(5).
Tale ragionamento è fondato sui testi dell'Antico Testamento in cui Dio guida la guerra “santa” di Israele. “Si è spesso attribuita a sant'Agostino l'elaborazione di una dottrina della guerra giusta che si sarebbe in seguito evoluta verso la guerra santa e la crociata.", scrive Jean Flori. “E' vero piuttosto l'inverso. Infatti, per provare che malgrado l'atteggiamento pacifista di Gesù e malgrado il Vangelo, Dio non è radicalmente ostile alla violenza armata, sant'Agostino invoca l'Antico Testamento, nel quale le 'guerre del Padre Eterno' sono frequenti” (6). In una parola la dottrina della guerra giusta e la sua successiva evoluzione in guerra santa e guerra di conquista riceve legittimità ed esempio dalla prima guerra santa, quella di Israele – raccontata e giustificata da Dio stesso, nella Bibbia.
Anche un altro santo poco posteriore ad Agostino, Cirillo di Alessandria (prima metà V secolo), sulla base dell'Antico Testamento, definì le stragi ”frutti della devozione al Signore” (7). E la dottrina della guerra giusta sarà ripresa da Tommaso d'Aquino e insegnata dalla Chiesa fino ai giorni nostri.

L’omicidio “per motivi di fede”…
Circa mezzo secolo dopo Leone I Magno (440-61), il papa che secondo la leggenda fermò Attila alle porte di Roma, giustificò un'altra violenza omicida, quella contro gli eretici. Parlando dell'uccisione dell'eretico Priscillano e dei suoi seguaci ad opera dell'imperatore, avvenuta circa un secolo prima, affermò che se la gente si allontana dalla retta via “allora è il potere imperiale che deve intervenire per sopprimere energicamente, come nemici dello stato… coloro che disturbano la pace della fede” (8). Si giustifica così il ricorso allo stato come “braccio secolare” che sarà proprio dell’ Inquisizione e si legittima l'omicidio per motivi di fede.

… e per il potere terreno
Né cessarono gli scontri per il soglio papale. Alla morte di Anastasio II, le due fazioni principali di Roma elessero ognuna il proprio vescovo, uno dei quali - Simmaco (498-514) - ebbe la meglio solo dopo prolungati scontri “in un clima da guerra civile che infuria tra disordini e zuffe nelle chiese e per le strade” (9): “un gran numero di preti, diaconi e laici”, scrive Luigi Desanctis, “furono uccisi nella mischia, e ciascuno dei due papi dichiarava santi e martiri coloro che morivano per sostenere lui, e dannati coloro che morivano per il partito opposto. Paolo Diacono e Anastasio bibliotecario dicono che in quella guerra si commisero da una parte e dall'altra atrocità da cannibali; le vergini consacrate a Dio appartenenti a un partito, erano prede dall'altro e sovente esposte integralmente nude alle beffe del popolo e battute con verghe” (10). Alla fine Simmaco diventò papa…e, dopo morto, santo.
Anche altre volte, nel corso del secolo, i papi ricorsero al delitto per assicurarsi il trono. E' il caso di Vigilio (537-55), che fece deporre Silverio dal generale bizantino Belisario e si fece eleggere papa al suo posto facendo morire per fame nell'isola di Palmaria, come attesta lo stesso Liber pontificalis, il suo predecessore (11). Morì poi a sua volta in modo violento, nel 555, per mano del successore Pelagio I (556-61), almeno secondo voci molto insistenti benché non del tutto certe.

Anche i gay meritano la morte
Un altro aspetto visibile già da questi secoli fu la ostilità della Chiesa verso gli omosessuali, che si tradusse in una durissima legislazione dei sovrani cristiani. L’imperatore Giustiniano nel Corpus Iuris Civilis (Novella 141 del 559) fa propria l’interpretazione cattolica secondo cui il peccato di Sodoma, che Dio condanno bruciando la città, sarebbe stato l’omosessualità: “Sappiamo”, scrive, “avendolo appreso dalle Sacre Scritture, quale giusta punizione Iddio abbia inviato a coloro che un tempo abitavano Sodoma, per questo loro ardore di congiungersi, così che fino ad ora quella terra brucia di perpetuo fuoco. Tutti, badando al timor di Dio, devono astenersi da quest’azione scellerata ed empia” per la quale minaccia “le più atroci pene” (12).Qui affiora inoltre la concezione tipica delle società confessionali che considerano reato per lo stato ciò che è peccato per la religione dominante.
Alla legislazione ecclesiastica coeva si ispirarono anche una legge visigotica (13) del VII secolo e le normative (739-41) dell'imperatore d'oriente Leone III, che prevedono la pena di morte per gli omosessuali (eccetto se minori di dodici anni) e “il taglio del membro” per i colpevoli di bestialità (14). E il 16° Concilio di Toledo del 693 anticipò l’inquisizione stabilendo al canone 3 che il sodomita va “escluso da ogni convivenza sociale, frustrato, privato della capigliatura ed esiliato” (15).

2. Nasce lo stato della Chiesa Nel 717 Gregorio II fece intervenire l'esercito del duca di Napoli per impadronirsi di un castello. In seguito prese lui stesso la guida dell'esercito dell'esarcato di Ravenna, represse una rivolta guidata da tal Tiberio Petaso, uccise quest’ultimo e ne inviò la testa all'imperatore di Costantinopoli (16).
Ma è soprattutto con la nascita dello Stato pontificio nel 756 e fino alla caduta del potere temporale dei papi nel 1870, ossia per oltre un millennio, che divenne costante il coinvolgimento del papato, e di molti se non tutti i papi, in guerre, omicidi, stragi, persecuzioni non solo praticate ma giustificate in nome di Dio o come volute da lui.

Evangelizzazione e massacri
Subito dopo la formazione dello Stato pontificio esso fu oggetto di accanite dispute per il controllo del potere: Stefano III (768-72) venne eletto, scrivono Rendina (17) e il cattolico Fabretti (18), dopo una lotta lunga e feroce, con tumulti e delitti a catena.
Alla fine del secolo si delineò anche l'intreccio fra strage e “diritto d'evangelizzazione” col massacro di circa 4.500 sassoni che non volevano convertirsi, da parte di Carlo Magno, incoronato poco dopo imperatore del sacro romano impero. Questo autore di stragi, e per di più bigamo, ma "campione della fede", fu addirittura fatto santo dall'antipapa Pasquale III nel 1165 per volere del Barbarossa e seguita ad essere ancora oggi venerato, sia pure solo nella diocesi di Aachen.
Il papa che lo incoronò, Leone III, fu al centro di ripetute congiure e costretto alla “purgazione”, ossia a giurare di essere innocente dei crimini che gli venivano attribuiti. Tornato in sella, una prima volta fece commutare la pena di morte in ergastolo per i suoi attentatori. Ma i responsabili di una congiura successiva furono messi a morte: “il papa”, scrive perfino un sito clericale come Santi e beati, “agì di sua propria autorità senza ricorrere al successore dell’imperatore, Ludovico, dimostrando una severità che poco si addiceva al capo spirituale della cristianità” (19). Si tratta di una santo tanto imbarazzante per la Chiesa che nel 1963 la sua festa fu eliminata. Ma continua a essere venerato come santo.
Poco dopo si distinse un altro santo papa, Pasquale I (817-24). Egli entrò in conflitto con l'imperatore Lotario che aveva dato ragione al convento di Farfa contro la Curia romana in una causa per alcune proprietà. Tale contrasto indebolì il papa e spinse i nobili a una rivolta. Ma la Curia reagì duramente e i due capi dei rivoltosi furono arrestati, accecati e decapitati. Il papa negò la sua responsabilità ma si rifiutò di sottostare a un'inchiesta imperiale, essendo secondo lui inammissibile giudicare il primate di Roma. Nello stesso tempo maledisse i giustiziati dichiarandoli colpevoli di alto tradimento (20) e “prese la difesa degli uccisori… sostenendo che di diritto avevano ucciso coloro che si erano macchiati del crimine di lesa maestà” (21).

Fra guerre pubbliche e vendette private
Papa-guerriero fu Leone IV (847-55), santo. Nell'849 armò e guidò lui stesso una flotta contro i saraceni, invocando Dio per sconfiggere “i nemici della tua chiesa, affinché la vittoria conseguita torni a gloria del tuo santo nome presso tutti i popoli” e assicurando che “qualora uno di voi dovesse perdere la vita… avrà la mercede promessa” (22). Entrato più tardi in contrasto con l'imperatore, perché gli emissari imperiali avevano assassinato un legato pontificio, si recò a Ravenna “dove stavano gli assassini, li arrestò e condotti a Roma furono processati e condannati a morte” (23).
Pochi anni dopo Giovanni VIII (872-82) scomunicò, poi fece acciecare e condurre prigioniero a Roma, il duca di Napoli Sergio II, organizzò leghe, guidò campagne militari uccidendo musulmani e altri nemici. Né si comportò meglio qualche anno più tardi Adriano III (884-85), legato alla fazione del suo predecessore Giovanni VIII, che non esitò a combattere con ferocia la fazione avversa. “Per ordine di Adriano venne acciecato un alto dignitario del Palazzo lateranense”, si legge nella Enciclopedia dei papi. “Ancora per ordine di Adriano una donna dell'aristocrazia romana legata da parentela con i potenti del Laterano, Maria…, subì la pena oltraggiosa di essere tratta nuda a ludibrio e fustigata attraverso tutta Roma” (24). L'autore scrive che Adriano morì poco dopo (ucciso forse dal marito della donna offesa). E fu fatto santo.
Poco dopo di lui, papa Formoso (891-96) fu coinvolto in guerre e intrighi al punto che il suo cadavere fu riesumato e sottoposto a un macabro processo da Stefano VI (896-97), poi riabilitato, poi di nuovo processato da Sergio III (904-11), che strangolò l'antipapa Cristoforo e si fece papa.
Dal 914 al 928 fu papa Giovanni X, amante di Teodora, che conquistò con la violenza l'arcivescovado di Ravenna e guidò leghe militari contro i saraceni. Giovanni XII (955-64), famoso per la sua lussuria, elesse vescovo un suo amante di 10 anni, fu accusato di omicidio e fece una crociata contro i signori di Benevento. Il suo successore Giovanni XIII (965-72), costretto a fuggire da una rivolta, tornato a Roma si abbandonò a sanguinose vendette. Altri papi, nello stesso periodo di massima decadenza, furono a loro volta assassinati, come il papa-mago Silvestro II (999-1003), mentre poco prima di lui Gregorio V (996-99) processò, mutilò e mise alla gogna l'antipapa Giovanni XVI.
Scontri armati portarono al pontificato Benedetto VIII (1012-24) mentre, caso unico nella storia del papato, fu per tre volte papa Benedetto IX, definito ladro e assassino da un altro pontefice, Vittore III. Papa giovanissimo dal 1032 al 1044, Benedetto IX vendette il titolo a Silvestro III che poi rovesciò, tornando papa per 20 giorni (1045). Rivenduto subito dopo il titolo, tornò papa per la terza volta dal 1047 al 1048, forse avvelenando Clemente II. Gli succedette Damaso II, anche lui morto avvelenato, si pensa sempre ad opera dell’infaticabile Benedetto.

Il papa dello scisma
Dopo di lui divenne papa un altro santo assassino: Leone IX Noto per l'intolleranza dottrinale e la rivendicazione della supremazia del papato, che provocò lo scisma ancor oggi non sanato con la Chiesa d'oriente, fece ammazzare molte persone nelle battaglie da lui guidate per delle terrene esigenze di espansione territoriale. “Il suo nome da laico era Brunone di Dagsburg”, racconta Borrelli, “negli anni 1025-1026 il giovane canonico si trovò a servire il suo vescovo e il suo imperatore alla testa dei cavalieri germanici, che operavano nelle pianure lombarde. Ciò costituiva sicuro merito per accedere ad un episcopato … Dopo aver trascorso il Natale celebrato a Toul, prese la via per Roma in abito da pellegrino e così, a piedi nudi, entrò nella Città Eterna, accolto favorevolmente da tutti, fu intronizzato il 12 febbraio 1049 prendendo il nome di Leone IX, aveva 47 anni… nel maggio 1053 dovette affrontare, in uno scontro militare, i Normanni che pur essendo cristiani volevano ampliare il loro dominio tra Napoli e Capua. Leone IX come sovrano di Benevento, città concessagli dall’imperatore, dovette affrontarli con poche truppe, fu una disfatta e alla sera fu fatto prigioniero e condotto a Benevento, dove fu trattenuto per oltre otto mesi; alla fine ricevute tutte le soddisfazioni richieste, i Normanni lo lasciarono libero…” (25) Anche lui è venerato come santo ed esempio per i fedeli…

3. Le crociate. Dio lo vuole Se fino intorno al Mille i papi si dedicarono all'assassinio privato o a piccole guerre d'espansione, è dopo il Mille che cominciò la stagione dei grandi papi i quali cominciarono a operare e a pensare in grande anche in fatto di stragi.
Alessandro II si limitò a benedire numerose guerre, approvando quella intrapresa dal duca normanno Guglielmo per conquistare l'Inghilterra, quella di Roberto il Guiscardo contro gli arabi in Sicilia e i tumulti dei patarini contro i vescovi anticelibatari e simoniaci a Milano. Ma il suo successore, il tirannico Gregorio VII (1073-1085), autore del famoso Dictatus papae e “formidabile organizzatore di eserciti” come lo definisce P. Partner (26), si fece promotore in proprio non solo della lotta per le investiture contro Enrico IV ma delle guerre di liberazione dei cristiani d'Oriente, con un Appello ai fedeli e una successiva Lettera all’imperatore Enrico IV, entrambe del 1074, in cui esprime il desiderio di porsi lui stesso a capo di quanti ”vogliono levarsi in armi contro i nemici di Dio” (27). L'anno dopo, essendo stato costretto a rifugiarsi a Salerno per sfuggire all'imperatore, incita ancora alla guerra promettendo: “Accorrete in aiuto se volete avere remissione dei peccati, benedizione e grazia in questa e nell'altra vita.” (28).

I crociati avranno la vita eterna
Nelle parole di Gregorio VII c’è il preannuncio della crociata che verrà bandita alla fine del secolo da Urbano II (1088-1099), col celebre discorso di Clermont del 1095 in cui concluse: “Quando andrete all'assalto dei bellicosi nemici, sia questo l'unanime grido di tutti i soldati di Dio: 'Dio lo vuole! Dio lo vuole!'”: “uccidere era consentito”, nota Partner “con l'autorità di Dio” (29).
Val la pena di ricordare che Urbano II chiese ai cristiani di combattere e uccidere anche in un’altra occasione, e sempre promettendo ai crociati la remissione dei peccati e la vita eterna: “Per la città e la Chiesa di Taragona [Spagna] vi preghiamo vivamente e vi comandiamo, per la remissione dei vostri peccati, di imporre in tutti i modi il suo ristabilimento [contro gli arabi]…Chi, per amore di Dio e dei suoi fratelli, cade in questa campagna, non dubiti che troverà l'indulgenza… e godrà la vita eterna per la misericordia di Dio” (30). Per tale incitamento alla guerra, o nonostante esso, Urbano fu beatificato, quasi ai giorni nostri, cioè nel 1881, dal papa “progressista” Leone XIII.

Un massacro benedetto da Dio
Sulla meritoria conquista di Gerusalemme da parte dei crociati impresa e su come riuscisse gradita a Dio, ci informa il cronista Raimondo di Aigiles che scrive il 15 luglio 1099: “Taluni dei nostri uomini…hanno tagliato la testa ai loro nemici. Altri li hanno colpiti con le frecce…Altri ancora li hanno torturati più a lungo gettandoli nelle fiamme. Cumuli di teste, di mani e di piedi si potevano scorgere per le vie della città… nel tempio e nel portico di Salomone gli uomini cavalcavano nel sangue fino alle ginocchia e alle briglie. In verità è un giusto e magnifico giudizio di Dio che questo posto sia colmo del sangue degli infedeli dopo che ha sopportato così a lungo le loro bestemmie. Ora che la città è stata presa, il vedere la devozione dei pellegrini al Santo Sepolcro ci ricompensa di tutte le nostre fatiche e delle pene passate. I pellegrini si rallegrano ed esultano e cantano al Signore il Salmo nono…la nostra fede è rinnovata…in questo giorno l'Eterno si è rivelato al suo popolo e l'ha benedetto” (31).
Si stima che i morti siano stati 60.000, cui devono aggiungersi i caduti nelle battaglie che avevano accompagnato la marcia crociata verso la terra santa, dalle stragi in Ungheria e nella città turca di Nikaia, dove i morti furono complessivamente molte migliaia, compresi vecchi e bambini bruciati vivi, alla conquista di 40 capitali e 200 fortezze fino ad Antiochia, dove caddero da 10.000 a 60.000 musulmani. Sempre il cronista cristiano Raimondo di Aigiles scrive. “Sulle piazze si accumulano i cadaveri a tal punto che, per il tremendo fetore, nessuno poteva resistere a restare: non vi era nessuna via, in città, che fosse sgombra di corpi in decomposizione” (32).

Stragi di musulmani ed ebrei…
Vittime dei crociati, specie della cosiddetta “crociata dei pezzenti” di Pierre l'Eremite, che aveva preceduto quella regolare, furono anche gli ebrei: “a seguito delle crociate”, scrive Aruffo, “l'antigiudaismo religioso accademico assunse un diffuso carattere popolare. Le inaudite violenze perpetrate contro gli ebrei rientravano nel contesto di fanatismo religioso e nella cornice dell'ostracismo psicologico collettivo, legato al mito della 'riconquista della terra santa'” (33). Lo stesso Aruffo cita qui ad esempio la strage degli ebrei di Colonia e Magonza nel 1096, riferita dal cronista del tempo Alberto Aix. I massacri che causarono migliaia di vittime ebbero luogo in città diverse. Nelle città attraversate dai crociati, scrive il cronista Frutolf, “essi uccidevano o costringevano al battesimo quel che restava degli empi Ebrei” (34). Solo in Germania furono allora uccisi 50.000 ebrei (35).
“Il 28 giugno 1098”, si legge in Vittime della fede cristiana (tr. Franceschetti), che collaziona varie fonti, “furono ammazzati altri centomila turchi musulmani, donne e bambini compresi. Negli accampamenti turchi - narra il cronista cristiano - i crociati trovarono non solamente ricco bottino, tra cui ‘moltissimi libri in cui erano descritti con esecrandi segni i riti blasfemi di turchi e saraceni’, ma bensì anche ‘donne, bambini, lattanti, parte dei quali trafissero subito, e parte schiacciarono sotto gli zoccoli dei loro cavalli, riempiendo i campi di cadaveri orribilmente lacerati’. [WW 33-35]. Il 12 dicembre 1098, nella conquista della città di Marra (Maraat an-numan), furono ammazzate altre migliaia di infedeli. A causa della carestia che ne seguì, ‘i corpi già maleodoranti dei nemici vennero mangiati dalle schiere cristiane’, come testimonia il cronista cristiano Albert Aquensis [WW 36]...

… per vendicare Cristo
Nella battaglia di Ascalon, il 12 agosto 1099, vennero abbattuti 200.000 infedeli...[WW 45]” (36).
Più difficile fornire dati sul numero complessivo delle vittime, che furono certo moltissime: secondo alcuni circa un milione nella I crociata, venti milioni. alla fine delle otto crociate, nel 1291. A giustificazione dei massacri, nota il già citato Partner, si diffuse l'idea, rilevabile anche dal racconto sopra riportato di Raimondo di Aigiles, che si trattasse di una giusta “vendetta” per le offese fatte ai cristiani dai musulmani. “E tra tutti” aggiunge Partner, “era Gesù Cristo colui che più di ogni altri doveva essere vendicato sugli infedeli” (37). Si giustificò così la faida di sangue.
Continuatori della prima crociata o promotori di spedizioni militari contro gli antipapi e contro i Normanni furono Pasquale II, Onorio II, Innocenzo I, Lucio II, Eugenio III, che si succedettero dal 1099 al 1153. Lucio II morì in battaglia; Eugenio III, beato, fallì nel tentativo di organizzare la II crociata, fece imprigionare a vita il predicatore itinerante Eudo de Stella, ritenuto infermo di mente, e condannò al rogo, in quanto sani di mente, i suoi seguaci. Ad Adriano IV (1154-59) si deve invece l'uccisione di Arnaldo da Brescia

4. Altri infedeli Allo scontro con gli infedeli si accompagnò nel XII-XIII secolo anche l'inasprimento delle posizioni verso gli eretici e altre minoranze presenti nella società medioevale, a partire dagli ebrei, contro i quali fu inventata l’accusa di praticare l'omicidio rituale, ossia di uccidere e crocifiggere bambini cristiani, di solito nella settimana santa, per ripetere la crocifissione di Cristo.

Ebrei: omicidio rituale e massacri reali
La prima accusa in questo senso, scrive Mannucci, viene mossa “nel 1144 a Norwich, in Inghilterra”, dopo che si trovò ucciso un giovane apprendista. “Il secondo caso ha luogo in Germania, nel 1147, e provoca il massacro di alcuni ebrei” (38). Tre anni dopo, a Colonia, un altro ebreo venne accusato di aver profanato un'ostia, altra accusa divenuta poi abituale. 38 ebrei furono processati e uccisi per omicidio rituale a Blois nel 1171; un centinaio a Bray-sur-Siene nel 1191 ecc.
Una cronaca di Riccardo di Deviez racconta che nel 1189, il giorno dell'incoronazione di Riccardo Cuor di Leone in Inghilterra , “nell’ora solenne in cui il Figlio fu immolato al Padre, nella città di Londra si cominciò a immolare gli ebrei al loro padre, il diavolo. E ci volle così tanto tempo per celebrare un così grande sacrificio che l’Olocausto fu terminato soltanto il giorno seguente. Altri centri, altre città del paese imitarono l’atto di fede dei londinesi e mandarono all’inferno, con la stessa devozione, tutte quelle sanguisughe e il sangue di cui si erano rimpinzate”(39). E Philippe Bourdrel scrive, nel XIII secolo, che “A Béziers, la domenica delle Palme, era in uso tirare le pietre agli ebrei e aggredirli, per ‘vendicare il signore’ mentre a Tolosa, il giorno di Pasqua, gli ebrei ricevevano da un notabile della città, che aveva la mano ricoperta di un guanto di ferro, uno schiaffo in pieno viso, per ricordare coloro che oltraggiarono Cristo sul Calvario”(40).
Ma, naturalmente, si tratta solo di alcuni esempi, perché “la storia degli ebrei in Europa”, come scrive E. Saracini, “è tutta costellata di massacri” (41). Persecuzioni, processi ed esecuzioni per omicidio rituale continueranno, fino alle espulsioni degli ebrei da vari paesi europei, fra il XV e il XVII secolo.

Il massacro di Costantinopoli. Un “mistero divino”
Continuavano intanto anche le crociate. All’inizio del XIII secolo Innocenzo III (1198-1216), scrive Partner, “fece appello ai crociati perché partissero per la nuova missione e vendicassero il male inflitto al padre loro [Cristo]” (42). Si arrivò così nel 1202 alla IV crociata, quella detta dei veneziani poiché fu da loro guidata e dirottata, in funzione dei propri interessi commerciali, su Costantinopoli. Il sacco della città, scrive Runciman, “non ha paralleli nella storia”. Se i veneziani preferirono impadronirsi degli enormi tesori di Costantinopoli, franchi e olandesi, spesso ignari del loro valore, distrussero ciò che non potevano trasportare, “fermandosi soltanto per assassinare e violentare… Molte monache furono violentate nei loro conventi. Palazzi e tuguri furono ugualmente forzati e rovinati. Donne e bambini feriti, giacevano morenti per le strade. Per tre giorni continuarono le orrende scene di saccheggio e spargimento di sangue, finché l'immensa e magnifica città fu ridotta a un macello. Perfino i saraceni sarebbero stati più misericordiosi, esclamò lo storico Niceta, e con ragione” (43).
Si dirà, come sostengono certi apologeti cattolici, che tutto ciò esulava dalle responsabilità dirette di Innocenzo III. Senonché fu proprio lui a scrivere in varie Epistole, a proposito dell'accaduto, celebrato con entusiasmo in tutto l'Occidente, “che egli si rallegrava nel Signore e dava la sua approvazione senza riserve” (44). Innocenzo III, convinto che la presa di Costantinopoli avrebbe messo fine allo scisma del 1054 imponendo alla Chiesa d'Oriente di riunirsi a Roma, arrivò a scrivere che la conquista della città “non è caso fortuito ma un mistero rivelato dall'alto decreto divino nell'opera dei crociati, affinché in futuro possa esistere un solo ovile di Cristo e un solo pastore” (45). Solo anni dopo si rese conto che il sacco dell’antica capitale d’Oriente aveva recato più danni che vantaggi anche alla Chiesa stessa. Ma ciò non fece venir meno in lui la passione per le crociate.

Dio vuole la strage della “miscredenza eretica”
Appena finita l’impresa in Palestina, Innocenzo III volse le sue attenzioni alla Francia e, prendendo pretesto dall'assassinio di un legato pontificio, lanciò nel 1208 la crociata contro gli Albigesi.
“Dovete cercare di annientare la miscredenza eretica in ogni modo e con tutti i mezzi che Dio vi rivelerà”, affermava il papa predicando l’omicidio come dovere di coscienza. “E dovete combattere i suoi seguaci con mano potente e braccio vigoroso e con severità ancora maggiore che se combatteste i Saraceni, perché essi sono peggio dei Saraceni”. E ancora: “Forse fino ad oggi avete combattuto per una gloria passeggera; combattete ora per la gloria eterna!” (46).
Da parte loro i vescovi francesi invocavano dal papa una ancora maggiore determinazione: “Se la perfida città di Tolosa non viene sottratta all'eresia la fatica sarà stata inutile… e per questo vi preghiamo di impugnare la spada affinché la città muoia con tutti i suoi abitanti” (47). Fra i risultati più notevoli dell'impresa fu la strage di Béziers del 1209 dove secondo alcuni i morti furono settantamila, secondo altri oltre centomila, comprese molte donne e bambini.
Ventimila li stima il legato papale Arnaud-Amaury che nella Relazione a Innocenzo III attribuisce a Dio l’impresa: “I nostri, non badando a condizione sociale, a sesso o ad età, passarono a fil di spada circa ventimila persone. E fatta grandissima strage di nemici, fu tutta saccheggiata la città e poi fu bruciata, infierendo contro di lei in modo straordinario l'ira divina” (48).

5. Uccidere gli eretici è giusto Nel 1215, il Concilio Lateranense IV, presieduto da Innocenzo III, istituzionalizzò l’inquisizione, che aveva preso il via già con Lucio III, nel Concilio di Verona (1184). La LXXI Costituzione del Laterano IV stabilì che gli eretici dovessero essere “abbandonati alle potestà secolari o ai loro balivi per essere puniti con pene adeguate”, anche se “fossero solo sospetti”: toccava infatti a loro provare “la propria innocenza con prove che valgano a giustificarli” e non viceversa. Il Concilio obbligò anche i principi a "sterminare dalle loro terre gli eretici” per evitare che il pontefice “sciolga i suoi vassalli dall'obbligo di fedeltà e lasci che la sua terra sia occupata dai cattolici, i quali, sterminati gli eretici, possano averne il possesso senza alcuna opposizione e conservarla nella purezza della fede” (49).
Alcuni anni dopo Gregorio IX (1227-41) adottò ufficialmente nella Chiesa la pena di morte contro gli eretici, già introdotta nel 1226 da Federico II limitatamente alla Lombardia.

La crociata contro gli Stedingi
Nel 1233 Gregorio IX lanciava anche una crociata in Germania contro il popolo contadino degli Stedingi. “Armatevi e siate forti, figli, siate pronti alla guerra contro i pagani… Non esitate, non cedete e non temeteli.. Perché non è solo la vostra guerra, ma la guerra di Dio” (50). Quanto al fine omicida di tale guerra lo stesso Gregorio IX lo precisava nella terza bolla del 1233 Contro il popolo degli Stedingi: “[Ho] intimato…di impiegare con energia e con zelo i credenti di Cristo…per sterminare questo popolo senza Dio…. E quei cattolici che si cuciranno addosso il simbolo della croce e partiranno per andare a sterminare gli eretici, godranno della stessa indulgenza e riceveranno le stesse dimostrazioni di favore che vengono date ai crociati che partono per la Terra Santa” (51). Le vittime della crociata furono da 5.000 a 11.000, comprese donne e bambini.
A Gregorio IX si deve anche, sempre nel 1233, la prima bolla (Vox in rama) in cui racconta di osceni convegni fra il diavolo e i suoi neofiti che gli baciano l’ano: alimentava così la credulità popolare circa l'esistenza delle streghe, ponendo le basi per la loro persecuzione.

Evangelizzare con la guerra
Nel corso del XIII secolo, poi, mentre si andavano esaurendo le crociate in terra santa, continuarono a operare, conducendo campagne soprattutto nell'Europa orientale, gli ordini cavallereschi nati con l'autorizzazione papale per “difendere” il Santo Sepolcro. Per quanto riguarda i Cavalieri teutonici, una bolla di Alessandro IV (1254-61) “basandosi sull'inferiorità dei popoli non cristiani, li autorizzava a conquistare e 'convertire' i popoli dell'Oriente europeo” (52), riprendendo quanto già affermato dal suo predecessore Innocenzo IV, secondo cui “l'adorazione degli idoli…va contro la legge naturale ed è perciò soggetta all'intervento papale” e “il papa può ricorrere alla forza per costringere un infedele ad accogliere i cristiani da lui inviati a predicare il Vangelo” (53). Sono così poste le premesse per far rientrare nella guerra giusta e santa le guerre coloniali tese a “evangelizzare” i popoli extraeuropei e per giustificare i genocidi di cui fra poco diremo. Si noti anche che già allora, come fa oggi Benedetto XVI, si giustificava l'intervento del papa in qualsiasi campo dicendo che le opinioni dei cattolici erano conformi al “diritto naturale” e dovevano quindi essere condivise da tutti.
Alessandro IV condannò anche le pratiche magiche, dando argomenti ai primi processi contro le streghe e ai primi roghi, anche se ancora sporadici: nel 1275 in Francia, nel 1296 in Val d'Adige. Mezzo secolo dopo, finite le crociate in Palestina, lo stato della chiesa ribattezzò come “crociate” anche le guerricciole fatte dal papa contro i vari signori italiani per conservare o estendere i suoi territori. Conseguentemente i predicatori erano incaricati di “pubblicizzare l'indulgenza che avrebbe premiato i fedeli qualora avessero partecipato alla campagna” (54). Impossibile calcolare il numero delle vittime di tutte queste imprese guerresche, dalla Polonia alla Lituania all'Italia.

Quando uccidere era un "malicidio"
Che fosse doveroso uccidere, quanto oggi è doveroso "difendere la vita dal concepimento alla sua fine naturale", lo confermavano i massimi dottori della Chiesa. Nel 1128 Bernardo da Chiaravalle scrisse nel De laude novae militiae che “eliminare questi operatori di iniquità [i turchi]che vagheggiano di strappare al popolo cristiano le ricchezze racchiuse in Gerusalemme… ecco la più nobile delle missioni per coloro che hanno abbracciato la professione delle armi… Il Cavaliere del Cristo… quando uccide un malfattore, non è un omicida ma un malicida” (55).
Tommaso d'Aquino scrisse nella Somma teologica (1267-73) che gli eretici “hanno meritato…di essere tolti dal mondo con la morte. Infatti è un delitto molto più grave falsificare la fede, che è la vita dell’anima, che falsificare il denaro, che serve alla vita mondana. Se quindi i falsari o altri malfattori, sono giustamente condannati a morte dai principi, a maggior ragione e con giustizia potrebbero essere non solo scomunicati ma uccisi gli eretici, non appena riconosciuti colpevoli di eresia” (56).
Il dovere di uccidere lo aveva ribadito del resto nel 1233 anche la massima autorità cattolica, Gregorio IX, affermando: “Non è decoroso per la Sede Apostolica astenersi dallo spargimento di sangue mentre l'Ebreo e il Medianita lottano sotto i suoi occhi, potrebbe sembrare, se non intervenisse, che non ha a cuore il popolo d'Israele” (57). E lo stesso Gregorio aveva incitato l’imperatore, che gli pareva troppo tiepido, a uccidere sull'esempio del Dio del Vecchio Testamento: “Dov’è lo zelo di un Mosè, che in un giorno solo annientò ventitremila idolatri? Dov'è lo zelo di un Finees, che con un solo colpo trafisse l'israelita e la madianita? Dov'è lo zelo di un Elia, che uccise con la spada i quattrocentocinquanta profeti di Baal?” (58).

6. Gli sviluppi della "mite" inquisizione Queste dichiarazioni di papi, teologi e concili rendono risibili i tentativi della moderna apologetica cattolica di disquisire sul “numero” delle vittime, col fine di dimostrare che l'inquisizione fu “mite” o che erano le autorità civili a premere per mandare al rogo gli eretici.
Al contrario era proprio la Chiesa a contrastare con decisione le autorità civili, se manifestavano resistenze e riluttanze a eseguire i suoi ordini. Nel 1237 a Tolosa, ad esempio, i magistrati furono scomunicati per essersi rifiutati di “ricevere” sei condannati, cioè di “arderli” e di confiscare i loro beni. Nel 1288 “Nicolò IV deplorava la negligenza e il malvolere di cui davano segno indubbio, in molte città, le autorità civili, che procuravano di sbarazzarsi dell’esecuzione dei condannati dall’Inquisizione, e stabilì che i colpevoli fossero scomunicati e destituiti dalle cariche...e che venisse lanciato l’interdetto sulle città in cui comandavano” (59).

Innocenzo IV introduce la tortura
Nel frattempo, dal 1254, Innocenzo IV, con la bolla Ad extirpanda, reiterata dai suoi successori, aveva introdotto anche l'uso della tortura per indurre a confessare gli eretici, con la raccomandazione ipocrita di evitare “loro danni fisici permanenti e il pericolo di morte” (60). Era la stessa ipocrisia di cui la Chiesa dava prova consegnando al braccio secolare gli eretici perché fossero mandati al rogo, con queste parole: “preghiamo questa curia secolare di non giungere nella sua sentenza fino all'effusione del tuo sangue e alla pena di morte” (61). E' appena il caso di dire che se qualche ingenuo, accogliendo la richiesta, non avesse eseguito la sentenza di morte, sarebbe stato processato a sua volta in quanto sospetto di eresia, come si è visto sopra…

Un’inquisizione lunga sei secoli
La “santa” Inquisizione durò circa sei secoli, dal XIII all'inizio del XIX secolo (quando Napoleone chiuse i “forni” dell'inquisizione di Siviglia), durante i quali la Chiesa mandò a morte centinaia di migliaia di uomini e di donne, benché sia difficile stabilire il numero esatto delle vittime. Ed è anche fuorviante ritenere questo il primo problema, come se il giudizio sull'inquisizione dipenda dal numero dei roghi e non, almeno in primo luogo, dal fatto che venivano condannati con la morte, o comunque ritenuti “reati”, alla stregua di un furto o di un omicidio, le opinioni non ortodosse in materia di fede.
Al di là dei nudi numeri, difficili da determinare oltretutto perché molti registri di processi andarono distrutti per i più diversi motivi, non ultimo le rivolte popolari, importa qui soprattutto osservare come i papi siano ricorsi in modo sistematico a esecuzioni capitali e guerre per tutto il medioevo. Otto papi su tredici, ad esempio, fra quelli che si succedettero dal 1254 al 1294 (i già citati Innocenzo IV e Alessandro IV, poi Urbano IV, Clemente IV, Gregorio X, Martino IV, Onorio IV, Niccolò IV) inasprirono le misure contro gli eretici e organizzarono o tentarono di organizzare spedizioni militari in terra santa o contro i mongoli, o contro gli ebrei o in Europa orientale o in Sicilia. Né è senza significato che degli altri cinque, quattro non ebbero forse il tempo di farlo, poiché regnarono solo pochi mesi.

Tornano ad andarci di mezzo ebrei e gay
Clemente IV, in particolare, con la bolla Turbato corde del 1267 ordinò di punire i cristiani che si fossero “rivolti al rito ebraico” e gli ebrei colpevoli di aver cercato di convertire dei cristiani alla loro religione “esecrabile”, ricorrendo “se necessario” al braccio secolare (cioè alla pena di morte).
Fra il XIII e il XIV secolo, anche i gay subirono gli effetti di un generale inasprirsi dell'intolleranza verso le minoranze. Le loro strade cominciarono a incrociare quelle dell'inquisizione. Se la pena del rogo per rapporti omosessuali, inflitta nel 1120 da un concilio provinciale tenutosi a Nablus in Palestina, era in quell'epoca una assoluta eccezione, tra il 1250 e il 1300 “l'omosessualità passò da una condizione di assoluta legalità nella maggior parte d'Europa a una in cui veniva punita con la pena di morte in quasi tutte le compilazioni di legge…. Spesso era prevista la morte per un solo atto provato” (62). Vari stati influenzati dalla condanna cattolica della sodomia (come mostra il fatto che parlino di “peccato” anziché di “reato”) adottarono misure durissime come quelle che si leggono in un editto del re cattolico Alfonso X il saggio (1252-84), re di Castiglia e Leon: “Anche se siamo riluttanti a parlare di qualcosa che è incauto considerare e avventato fare, ciò nondimeno talvolta vengono commessi terribili peccati e capita che un uomo desideri di peccare contro natura con un altro. Perciò noi comandiamo che se qualcuno commette questo peccato, una volta provato, entrambi vengano castrati davanti a tutto il popolo e tre giorni dopo siano appesi per le gambe fino alla morte e i loro corpi non vengano mai deposti” (63). Nel Codice delle leggi ideali dello stesso Alfonso X si legge anche un passo che configura i reati di violenza, ossia di rapporti coatti o con dei minori consenzienti, ipotesi già presente nella legislazione dell'impero d'Oriente: “Tutti possono accusare un uomo che ha commesso un crimine contro natura presso il giudice del distretto in cui il crimine fu commesso. Se provato, i due implicati devono essere messi a morte. Tuttavia, se uno è stato costretto o ha meno di quattordici anni, non bisogna sottoporlo alla stessa pena, perché quelli che sono costretti non sono colpevoli, e i minorenni non capiscono quanto sia grave il crimine da loro commesso”(64).

I papi avignonesi e il massacro dei Templari
Nel 1294 divenne papa Bonifacio VIII (1294-1303), assassino del suo mite predecessore Celestino V, la cui abdicazione non gli bastava. Gli succedette Clemente V (1305-14), il primo dei papi avignonesi succubi del re di Francia, cui si deve la persecuzione e messa a morte di Fra Dolcino, arso vivo a Vercelli, e dei dolciniani, ma anche la feroce repressione dei Templari, un potentissimo ordine religioso-militare che si era distinto contro gli infedeli durante le crociate e venne colpito perché il re di Francia intendeva impadronirsi delle loro proprietà e del loro “tesoro” (mai trovato).
Nel 1312, dopo lunghi anni di processi, interrogatori, torture l'ordine fu sciolto con la bolla Vox in excelso. I templari furono accusati e costretti a confessare poco credibili peccati sessuali o di idolatria, grazie a torture che provocarono la morte di circa cinquecento di loro (65). Anche “due dei più alti dignitari templari, Jaques de Molay, il Gran Maestro, e Geoffroi de Charnay, suo immediato sottoposto, furono bruciati a fuoco lento su un’isola della Senna” (66).
I due papi seguenti, Giovanni XXII (1316-34) e Benedetto XII (1334-42), si distinsero per la persecuzione dei francescani spirituali, detti fraticelli, che accusavano di corruzione la chiesa e predicavano il ritorno alla povertà: decine furono mandati al rogo e arsi vivi dai due papi. Giovanni XXII fu anche autore della Super illius specula del 1326, che riconfermava la credenza nelle streghe e nei patti col diavolo, e associava la stregoneria all'eresia facendone materia di inquisizione, cioè di consegna al braccio secolare e di condanne al rogo, benché ancora episodiche.
A Clemente VI, che in un primo momento si appoggiò a Cola da Rienzo per il governo di Roma, poi lo imprigionò e lo condannò a morte (sentenza mai eseguita per i potenti appoggi di cui il tribuno godeva), succedette Innocenzo VI (1352-62) “particolarmente duro verso gli spirituali francescani; per suo ordine l'inquisizione mandò molti in prigione o al rogo” (67).

7. Fra Medioevo e Rinascimento Anche quasi tutti i diciassette papi che si succedettero nel basso medioevo e fino alla Riforma si macchiarono di esecuzioni capitali e spedizioni militari.

Guerre e roghi nel secondo Trecento
Urbano V (1362-70), nel tentativo di riportare il papato a Roma, piegò militarmente la resistenza di Perugia nel 1370, l'anno stesso in cui decise di rientrare in Francia e morì nel viaggio. Gregorio XI (1370-78), per sedare le rivolte, e spianare la strada al definitivo ritorno dei papi a Roma, lanciò l'interdetto a Firenze e assoldò 10.000 mercenari bretoni che attuarono una violenta repressione da Bologna in giù. Nel 1375 fu schiacciata una rivolta popolare a Perugia; nel 1377 il cardinale Robert, alla testa dei mercenari assoldati dal papa, per “dare una lezione” alla città massacrò quattromila cesenati, meritandosi il soprannome di boia di Cesena.
Fra conflitti e congiure trascorse il pontificato Urbano VI (1378-89), che nel 1385 fece imprigionare e trucidare i cardinali ritenuti responsabili di una congiura ai suoi danni. “Questa severità da monarca assoluto”, scrive il Rendina, “ma certo non propria di un vicario di Cristo… gli alienò l'appoggio di molti cardinali” (68).
Gli succedette Bonifacio IX (1389-1404) sotto il cui pontificato, nel 1391, furono bruciati a Siviglia in una sola notte 4.000 ebrei e nel 1393, in un giorno, 150 valdesi (69). Dopo di lui Innocenzo VII (1404-06) diede mano libera al nipote per assassinare 11 membri di una delegazione inviata dalla Chiesa d'Oriente per cercare di comporre lo scisma.

La morte sul rogo di Huss e Girolamo da Praga
Nel 1415 il Concilio di Costanza (1414-18), che dovette affrontare il problema dei tre papi al potere contemporaneamente e in lotta fra loro, condannò le dottrine di Giovanni Wicliff (morto nel 1384) e del suo discepolo Giovanni Huss, mandato al rogo nel 1415 così come il suo seguace Girolamo da Praga.
All'umanista Poggiolini si deve una toccante Lettera a Leonardo Bruni del maggio 1416 in cui, trovandosi a Costanza, descrive le condizioni di carcerazione e la morte sul rogo “da filosofo” di Girolamo da Praga.
In modo naturalmente più drastico denunciava il carattere dell'inquisizione Huss stesso, che identifica gli inquisitori e i prelati del suo tempo con gli scribi e farisei che misero a morte Cristo: “I dottori secondo i quali chi è stato punito dalla chiesa e non vuole emendarsi deve essere consegnato al braccio secolare, di certo seguono in ciò i pontefici, gli scribi e i farisei, i quali, poiché Cristo non volle obbedire loro in ogni cosa, lo consegnarono al tribunale secolare, con le parole: Noi non possiamo uccidere alcuno; essi sono più omicidi di Pilato” (70). Ma non per caso la proposizione fu condannata come eretica dalla XV sessione dello stesso Concilio di Costanza.

“Niccolò papa e assassino”
Promotore di un crociata contro i turchi fu poco dopo Eugenio IV (1431-47), che gestì il tribolato concilio trasferito via via da Basilea a Roma a Firenze.
Gli succedette Niccolò V, che cominciò a accreditare l'idea, ribadita mezzo secolo dopo da Alessandro VI, dei papi come “proprietari” dell'orbe terraqueo, che “donano” ai principi cattolici. In particolare ai portoghesi, con la bolla Romanus pontifex del 1454, il papa donò l'Africa e il diritto di muovere guerra agli infedeli, distruggere i loro regni, deportarli schiavi in Europa.: “ricompenseremo con particolari favori e speciali privilegi”, scrive, “quei re e principi cattolici, di cui noi sappiamo per certo che come atleti e intemerati difensori della fede cristiana non solo rintuzzano la ferocia dei Saraceni…ma conquistano regni e territori… e li assoggettano al loro dominio temporale per la difesa e la grandezza della medesima fede”. E ancora: “abbiamo concesso con altre lettere nostre tra le altre cose, piena e completa facoltà al re Alfonso di invadere, ricercare, catturare, conquistare e soggiogare tutti i saraceni e qualsiasi pagano e gli altri nemici di Cristo, ovunque essi vivano, insieme ai loro regni, ducati, principati, signorie, possedimenti e qualsiasi bene, mobile ed immobile, che sia di loro proprietà, e di gettarli in schiavitù perpetua” (71).
L'anno prima, nel 1453, scoperta una congiura per farlo prigioniero e forse ucciderlo, Niccolò V aveva fatto arrestare tutti i congiurati: il capo, Porcari, fu processato per direttissima e condannato a morte insieme ai suoi complici Battista Sciarra e Angiolo Ronconi. “Il papa fu accusato di crudeltà e di essere un fedrifago”, scrive Rendina, “perché corse voce tra il popolo che, in un primo tempo, aveva promesso salva la vita allo Sciarra e al Ronconi, ma poi, ubriaco fradicio al momento dell'esecuzione, non fu in grado di firmare l'atto di grazia” (72). Iniziarono allora le pasquinate, ossia le satire feroci e anonime contro il papa e altri personaggi importanti, spesso in forma di poesia, “appese” alla statua di Pasquino. Quella contro Niccolò recitava: “Da quando è Niccolò papa e assassino/abbonda a Roma il sangue e scarso è il vino” (73).

Sisto IV e l'inquisizione spagnola
Dopo di lui, Calisto III alternò al più sfrontato nepotismo l'impegno di indurre i principi cristiani a organizzare una campagna militare contro i turchi, e lo stesso progetto coltivò l'umanista Enea Silvio Piccolomini (Pio II, 1458-64), divenuto papa dopo una giovinezza dissoluta. Promotore di una crociata contro i turchi fu il suo successore Paolo II (1464-71), che si impegnò anche per eliminare una famiglia a lui ostile.
Gli succedette Sisto IV (1471-84), la cui politica fu connotata da guerre, consueti propositi di crociata contro i turchi, sanguinose congiure come quella dei Pazzi in cui morì Giuliano de' Medici e intrighi d'ogni genere. Nel corso di una sua guerra contro Ferrara, essendo venuto ai ferri corti con i veneziani, il papa ordinò di farli schiavi, sotto pena di scomunica (74).
Sotto il suo pontificato, anche per effetto della predicazione violentemente antisemita di Bernardino da Feltre (santo), si scatenò nella provincia di Trento l'odio popolare contro la comunità ebraica, che fu accusata dell'omicidio rituale di Simone, un bambino trovato morto. 15 ebrei furono torturati per farli confessare e giustiziati. Il papa che in un primo momento, poco convinto di quanto raccontavano le autorità ecclesiastiche locali, aveva promosso un’inchiesta, alla fine la lasciò perdere. Un secolo dopo un altro Sisto, il quinto, dichiarerà Simone santo e martire.
A Sisto IV si deve l'istituzione nel 1478, nel regno di Castiglia, della tristemente famosa inquisizione spagnola. Essa fu da principio diretta soprattutto contro i conversos, cioè gli ebrei convertiti al cristianesimo che, spesso a torto, solo perché attaccati alla loro cultura ebraica, erano accusati di essere segretamente ebrei o “giudaizzanti”. La repressione fu feroce, anche dopo l’espulsione degli ebrei dalla Spagna nel 1492, e colpì migliaia di persone dal 1480 al 1525. Molte furono le condanne a morte, in qualche caso motivate con le consuete false accuse di omicidi rituali di bambini cristiani. L'asprezza della repressione è confermata anche dalle cerimonie di riconciliazione imposte ai giudaizzanti pentiti, come quella della domenica 12 febbraio 1486 in cui, racconta il Bennassar, si riconciliarono 750 fra uomini e donne. “Gli uomini tutti insieme, scalzi e senza brache, e per il gran freddo che faceva si permise loro di mettere una suola sotto i piedi purché la parte superiore restasse nuda, tutti con un cero spento in mano...Le donne anch’esse in gruppo, senza sopraveste, con il viso scoperto, scalze come gli uomini, anch’esse con il loro cero” (75). Nel XV secolo l'inquisitore Tomas de Torquemada condannò a morte oltre 10.000 eretici, o ritenuti tali.
In seguito l'inquisizione, che si protrasse fino all'inizio del XIX secolo, si diresse contro eretici cristiani e poi contro i moriscos, cioè gli arabi musulmani convertiti, rimasti in Spagna dopo la loro espulsione all'inizio del Seicento. Molte migliaia furono le vittime, anche se la distruzione di gran parte degli archivi impedisce un conto preciso. Fra i peggiori crimini dell’inquisizione sono da ricordare "i quemaderos di Siviglia (quattro enormi forni circolari, ognuno dei quali ‘ospitava’ fino a 40 condannati, introdotti vivi e che richiedevano per essere ‘giustiziati’ 20-30 ore di supplizio: i forni funzionarono ininterrottamente per oltre tre secoli e vennero chiusi da Napoleone nel 1808” (76).
L'inquisizione estese la sua attenzione anche a reati comuni o alla sodomia ma, dopo i primi decenni, non fu più riconducibile in senso stretto al papato, poiché vi fu “una subordinazione piena del tribunale dell’inquisizione al potere monarchico, che trova in esso un’eccezionale e insostituibile strumento di controllo ‘poliziesco’ dei sudditi” (77). Nel 1568, ad esempio, l'inquisizione spagnola pronunciò la sentenza di morte per tre milioni di Olandesi che si erano ribellati alla Spagna e che ottennero poi l'indipendenza, e mise a morte 5-6.000 protestanti, annegati dalle truppe spagnole.

8. Tre secoli di caccia alle streghe Nel 1484 salì al soglio pontificio Innocenzo VIII che dal 1487 al 1489 indisse una crociata contro i valdesi, eretici già attaccati qualche anno prima da Carlo I di Savoia. Alla testa dell'impresa fu posto, con bolla pontificia e col titolo di commissario per la conversione dei valdesi, Alberto Cattaneo, che condusse una feroce repressione nelle vallate dell'Argentière e della Vallouise dove per la stessa configurazione della zona “con le valli chiuse e senza comunicazione”, racconta lo storico valdese Tourn, non c’era alcuna via di scampo. “Incendiati e distrutti i villaggi di fondo valle, si rifugiano nelle località più sperdute, nelle grotte ma vengono stanati e massacrati”. In una caverna, la “barme Chapelue”, “decine di donne e bambini vennero bruciati vivi. I pochi scampati si rifugiarono nelle vallate piemontesi o presso i fratelli dell'Italia centro meridionale” (78).

La bolla che dà inizio alla caccia
Poco prima, l'anno stesso dell'ascesa al pontificato, Innocenzo VIII aveva anche dato inizio con la bolla Summi desiderantes affectibus alla caccia alle streghe che durò per quasi tre secoli e provocò decine, forse centinaia, di migliaia di vittime.
Processi e roghi si erano avuti già prima, come si è detto, verso la fine del XIII secolo, poi nel XIV (fra cui un processo in Piemonte a metà secolo, due donne messe a morte a Milano e una a Parigi nel 1390); e soprattutto nel XV (fra gli altri un processo con 100 torturati e poi arsi vivi a Sion nel 1420; la condanna di Giovanna d’Arco, bruciata come eretica e strega, oggi santa, nel 1431; tre condannati a morte e altri correi da loro denunciati all’inquisizione nel 1459 a Arras, ripetuti roghi di streghe a Como: 300 nel 1416, 60 nel 1484 ecc.).
Ma la caccia crebbe in modo esponenziale con la bolla di Innocenzo VIII, che accreditò le frottole e le superstizioni più incredibili affermando che “in alcune regioni della Germania… parecchie persone di ambo i sessi, immemori della propria salvezza e allontanandosi dalla fede cattolica, non temono di darsi carnalmente ai diavoli… di far deperire e morire la progenie delle donne e degli animali, le messi della terra, le uve delle vigne e i frutti degli alberi, inoltre uomini, donne, bestiame grande e piccolo e d'ogni sorta; e ancora vigneti, giardini, prati, pascoli, biade, cereali, legumi per mezzo di incantesimi, fatture, scongiuri ed altre esecrabili pratiche magiche, eccessi, crimini e delitti; di affliggere e tormentare gli stessi uomini, donne, bestie da soma, bestiame grande e piccolo e animali con crudeli dolori e tormenti interni ed esterni; di impedire agli uomini di generare, alle donne di concepire, e di rendere impossibile al marito e moglie di compiere il loro coniugale dovere”(79).
Il papa incaricava quindi due domenicani, Enrico Insistoris e Giacomo Sprenger, di esercitare l’inquisizione in quelle terre con pieni poteri di “procedere alla correzione, incarcerazione e punizione di quelle persone per gli eccessi e i crimini predetti, in tutto e per tutto… [invocando] ove fosse necessario, l'aiuto del braccio secolare” (80).

Il Malleus maleficarum
I due domenicani, già per loro conto fanatici quanto basta e per di più investiti dal papa di autorità e incoraggiati a usarla “in tutto e per tutto”, tradussero nel Malleus maleficarum (81) le linee-guida della lotta contro la stregoneria ritenuta principalmente femminile. Il libro poté contare anche sull’esplicito riconoscimento dell’università di Colonia, che nel 1487 ne certificò la “conformità dottrinaria alla verità cattolica” e divenne il primo e il più influente dei manuali consimili..La sua diffusione superò quella della Bibbia, la prima opera a stampa, apparsa appena trent’anni prima. “Ebbe tredici edizioni entro il 1520 il Malleus, e altre sedici fra il 1574 e il 1669. Venne tradotto, da latino che era, in tedesco, francese e italiano”, scrive Vanna De Angelis nel suo Il libro nero della caccia alle streghe e aggiunge che alla sua procedura si attennero tutti i giudici “sia nella caccia sia nella persecuzione della strega” (82). Col Malleus e altri manuali consimili come il Compendium maleficarum si diffusero anche credulità, superstizioni e l’odio, al limite del disturbo mentale, per la donna e per il sesso.
Dalla fine del XV secolo alla metà del Settecento si consumò una strage di cui è impossibile dire le dimensioni precise e che sporadicamente continuò anche dopo se si pensa che ancora nel 1828 fu trucidata a Cervarolo, paesino della Val Sesia, perché ritenuta una strega, Margherita Guglielmina, detta la “stria Gatina” (83).

Una strage impressionante…
Nonostante i tentativi degli apologeti cattolici di minimizzare i dati della persecuzione, le cifre parziali e certe bastano a dare le dimensioni impressionanti del fenomeno. Lo stesso testo L'Inquisizione, che raccoglie gli atti del convegno organizzato dal Vaticano nel 2004, parla di 3.000 streghe arse vive in soli dieci anni a inizio Cinquecento e di 100.000 processi di stregoneria nel Seicento, conclusi con 50.000 condanne al rogo. Un elenco esemplificativo e incompleto che si trova ne Il libro nero del cristianesimo già citato, registra centinaia di cittadini giustiziati a Mirandola nel 1522-23, 300 streghe bruciate a Como nel 1514 e una media di circa 100 all’anno negli anni successivi, di 400 bruciate in Linguadoca nel 1557, 100 condanne a morte nel 1565-1640 a Parigi; 21 nel 1571 a Genf, 400 nel 1577 a Bordeaux; 368 streghe nel 1587-93 a Treviri; 311 nella regione del Vaud in quegli stessi anni; 13 donne muoiono per le torture in Liguria a Triora nel 1585; una decina di streghe vengono giustiziate per diretto interessamento del cardinale Borromeo (santo) nel 1593 in Val Melsocina ecc. (84). Altri dati si trovano nel libro del Deschner Il gallo cantò ancora e sono relativi a alcune migliaia di vittime, specie nel Seicento in Germania (85). Spesso, come si documenta nel già citato Il libro nero della caccia alla streghe con verbali di interrogatorio reperiti negli archivi, le streghe erano torturate prima di essere uccise o arse vive. I dati come al solito sono forzatamente approssimativi: c’è chi parla di settantamila chi di trecentomila vittime, sempre senza contare quelle dei paesi protestanti.

… e direttamente ordinata dai papi
Le persecuzioni furono costantemente accompagnate da bolle papali, che affermavano l'esistenza delle streghe e giustificavano la necessità di metterle a morte, a partire dalla Cum acceperimus di Alessandro VI del 1501, in cui si denunciavano i “sortilegi” e le “malie” che “distruggono uomini, bestie e campi”, ordinando di procedere più severamente contro i colpevoli, fino alla bolla di Leone X, la Honesti petentium votis del 1521 in cui il papa, nel rinnovare le consuete grottesche accuse contro le streghe che cercano “di uccidere i bambini”, affiancava ai vescovi locali, ritenuti troppo poco severi, “il venerabile fratello vescovo di Pola” per reprimere con maggiore severità gli “incorreggibili affidandoli al braccio secolare” o alla bolla Dudum di Adriano VI del 1523, in cui si spiega che streghe e stregoni “calpestano la santa croce” e “eletto il diavolo a loro signore” danneggiano “le bestie e i frutti della terra&

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