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Sotterranei della giustizia

Sotterranei della giustizia

(14 Novembre 2009) Enzo Apicella
Tre medici e tre agenti penitenziari indagati per la morte di Stefano Cucchi

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(Omicidi di stato)

I familiari di Cucchi: «Nuova perizia, processo basato su una bugia». In Sardegna nuove prove su Giuseppe Casu, morto legato al letto in un ospedale

(6 Ottobre 2010)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.radiocittaperta.it

05-10-2010/19:12 --- Questa mattina si è tenuta un’altra udienza di quello che ormai è noto come il ‘processo Cucchi’. Il gip, che oggi ha ammesso come parte civile anche il Comune di Roma, ha fissato altre due udienze, oltre a quelle già programmate per il 19 e 26 ottobre prossimi: si terranno rispettivamente il 9 e il 30 ottobre. Il giudice Rosalba Liso deciderà il 19 ottobre prossimo se disporre una perizia, con le forme dell’incidente probatorio, che accerti se Stefano Cucchi sia morto per il pestaggio subito dagli agenti della polizia penitenziaria mentre si trovava nei sotterranei del tribunale di Roma prima del processo per direttissima.
«Si insiste nel negare l’evidenza dei fatti – ha denunciato questa mattina ai giornalisti un’amareggiata Ilaria Cucchi - non ci vogliono spiegare perché è morto mio fratello. È inaccettabile la tesi della procura che ha contestato le lesioni lievi ai poliziotti. Se mi accorgo che non si vuole arrivare alla verità, sono disposta anche a rinunciare a prendere parte al processo. A me non interessa partecipare a un dibattimento basato su una bugia, e cioè sull’idea che il pestaggio subito da Stefano abbia determinato soltanto delle lesioni». La procura si era finora opposta alla richiesta dei legali dei Cucchi di una nuova perizia ritenendo sufficientemente valida la ricostruzione della vicenda fatta dai propri consulenti secondo cui il giovane è morto perché non curato in modo adeguato dai medici del Pertini.
I familiari del 31enne romano, morto il 22 ottobre dello scorso anno nel reparto carcerario dell’ospedale Sandro Pertini dopo essere stato arrestato sei giorni prima dai carabinieri per il possesso di una modica quantità di marijuana, alla fine si sono costituiti parte civile durante la prima udienza preliminare a carico di 13 imputati [3 poliziotti penitenziari, un dirigente del Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria e 9 tra medici e infermieri dello stesso ospedale] chiedendo, attraverso gli avvocati Fabio Anselmo e Dario Piccioni, un accertamento medico-legale ‘super partes’ che attribuisca ai tre agenti - accusati di aver picchiato Cucchi nelle camere di sicurezza del tribunale in attesa dell'udienza di convalida - il reato di omicidio preterintenzionale e non quello, molto più lieve, di lesioni colpose e abuso di autorità, scelta quest’ultima operata dai pm. Medici e infermieri, invece, per i magistrati avrebbero abbandonato il paziente "incapace di provvedere a se stesso", omettendo anche "di adottare i più elementari presidi terapeutici e di assistenza che nel caso di specie apparivano doverosi e tecnicamente di semplice esecuzione ed adottabilità e non comportavano particolari difficoltà di attuazione essendo per altro certamente idonei ad evitare il decesso di paziente". Delle eventuali responsabilità dei Carabinieri che arrestarono e tennero in custodia Cucchi per parecchie ore, invece, nessun accenno.
Nel pomeriggio Ilaria Cucchi è tornata su uno degli aspetti affrontati nel corso dell'udienza di oggi. ''L'avvocato Scalise, difensore di Fierro - ha detto - ha affermato che il professor Arbarello (direttore dell'Istituto di medicina legale) avrebbe dichiarato che avrebbe configurato la responsabilità dei medici, e non quindi degli agenti, e che sarebbe stato suo onere quello di dimostrarlo''. ''L'intervista - aggiunge Ilaria Cucchi - é stata resa il 9 novembre 2009 alle ore 20, quindi ben prima, a detta dello stesso difensore, di assumere l'incarico dalla Procura. Mi chiedo quale credibilità possa avere da sola la consulenza del pm e mi chiedo se è normale. Funziona così la giustizia oggi?''.
Sullo stesso argomento – la vera causa della morte di Stefano – è intervenuto anche l’avvocato Fabio Anselmo, che ai microfono di Radio Città Aperta ha detto: ''La consulenza Arbarello fa acqua da tutte le parti, é contraddittoria e assolutamente non aderente alla realtà di ciò che é accaduto dal punto di vista scientifico. La perizia Arbarello infatti non individua la causa della morte. Noi riteniamo che la nostra consulenza fatta da quattro professionisti di uguale elevata professionalità sia completamente opposta rispetto a quella Arbarello. I nostri consulenti fanno iniziare la sequenza causale che ha portato la morte di Stefano dal trauma che ha subito la colonna vertebrale e il coccige''.

Intanto in Sardegna emergono elementi nuovi sul caso di Giuseppe Casu, il fruttivendolo di Quartu Sant'Elena morto il 22 giugno 2006 nel reparto psichiatrico dell'ospedale Santissima Trinità dopo sei giorni di contenzione fisica e trattamente farmacologico. Finora sembrava un processo destinato a chiudersi con l'assoluzione degli imputati, ma ora la relazione elaborata dai periti del tribunale apporta nuovi elementi di accusa nei confronti dei due medici che il pm Giangiacomo Pilia ritiene responsabili della morte dell’uomo. Infatti i periti nominati dal giudice Simone Nespoli nel loro rapporto confermerebbero la tesi dell'accusa parlando di una "contenzione troppo prolungata e un decesso, causato da un evento cardiaco acuto, prevedibile e prevenibile". Quando Casu arrivò nel giugno del 2006 all’ospedale di Quartu venne ritenuto pericoloso per sé e per gli altri e fu quindi legato al letto. Morì per "insufficienza cardiaca correlabile ad un'aritmia, evento compatibile con gli effetti collaterali dell'azione del principio attivo dell'aldoperidolo" scrivono i periti del tribunale nella relazione di 55 pagine depositata nei giorni scorsi. Proseguono i periti: "Nel caso del paziente Casu, non ricorre quasi mai il requisito dell'attualità del pericolo di vita che avrebbe motivato una contenzione - spiegano riguardo alla necessità di tenerlo legato al letto - perchè il paziente delirava e dunque al più avrebbe delirato con maggiore intensità. E non risulta in letteratura che mai nessuno sia morto per delirio o allucinazioni".

Marco Santopadre, Radio Città Aperta

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