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(8 Dicembre 2010) Enzo Apicella
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(1 Dicembre 2010)

manifestazione

Il volto del presente senza futuro che l’attuale Esecutivo riserva ai sudditi d’Italia sta nell’ennesimo voto parlamentare, blindato come le strade del Paese. Decreto legge dopo decreto tocca a quello Gelmini, che ha ridotto sui tetti ricercatori disperati dalla mancanza di fondi, e ha messo in strada decine di migliaia di universitari e medi. Loro si ribellano, occupano istituti, oltre duecentocinquanta, e manifestano in cinquanta piazze del Paese. Lanciano slogan, ortaggi e vernice, ricevono manganellate e qualche lacrimogeno. Alcuni parapiglia ma senza degenerare perché i giovani contengono la rabbia e gli ordini di Palazzo puntano a dissuadere senza strafare. Però le piazze sottoposte a stato d’assedio, coi blindati della morte, quelli di Carlo Giuliani, i chilometri di vuoto e i suoi cordoni sanitari fanno tristezza. Nella propria commedia di democrazia il populismo non tollera proteste né opposizioni ma non può nascondere il disagio. Che abbraccia intere città dove in molti sperano che i padri seguano il dolente risveglio dei figli. Nel momento del vero cadono anche le maschere e la finta opposizione degli ex fratelli parlamentari, diventati coltelli solo per ragioni di potere, mostra in pieno la sua falsità. Ben incarnata dal proprio uomo simbolo, il Fini fascista carrierista cui Berlusconi ridiede vita.

Il latte che ha succiato dai padri repubblichini dai nomi lugubri di Almirante e Romualdi, gli ha sviluppato l’incancellabile dna che sempre ha contraddistinto il cammino d’ogni camerata: servire il padrone. Come Mussolini faceva con gli agrari e gli industriali dell’Italia liberale, Fini conserva l’essenza subalterna. Così fra gli ex e post camerati che servono restando a cuccia (La Russa e Gasparri) e il suo manipolo di futuristi senza futuro le differenze risultano insignificanti. Perché il sistema che fa sopravvivere post fascisti azzurri e finiani è il medesimo: quello della cadrega da serbare e del privilegio familista da acquisire, come le miserie del Presidente della Camera e del suo capogruppo con cognati e consorte insegnano. E troppo tolleranti son stati finora i giovani sui tetti nell’accogliere le visite di un Della Vedova, l’ennesimo radicale (di quelli che il profetico Pasolini definiva coscienze serve della norma e del capitale), buono per ogni avventura che possa conservargli lauto stipendio parlamentare e futura lucrosa pensione. Quello è il futuro che agognano. Avventurieri senza coraggio che il Monicelli, schifato di quest’Italia tanto da volar via, non avrebbe ammesso neppure come ultima comparsa nel panorama brancaleoniano di contaballe e guitti di quart’ordine. Eppure un governo di quart’ordine rantola e forse calcola gli ultimi giorni non grazie al 14 dicembre ma a un diffuso risveglio dal torpore.

30 novembre 2010

Enrico Campofreda

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