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Un passo avanti e due indietro

(24 Dicembre 2010)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.radiocittaperta.it

Un passo avanti e due indietro

foto: www.radiocittaperta.it

È questa l’idea che viene fuori dal confronto tra la giornata del 14 e quella del 22. Non ovviamente per le dinamiche di piazza, ma per il significato politico profondo che queste due giornate hanno rappresentato.
A nessuno sfugge che questo movimento studentesco nasce con una forte ambiguità. Da una parte quanti vorrebbero un movimento a tempo e a comando, critico solo nei confronti del governo, pronto a fare sponda a una parte dell’opposizione. Dall’altra questo movimento nasce sulla crisi strutturale di un sistema, che proprio alla nostra generazione, non è più in grado di offrire nulla se non assenza di diritti e precarietà. Il colore dei governi non c’entra se si pensa che tutte le forze politiche presenti in parlamento e non solo hanno un grado di corresponsabilità nelle politiche di distruzione della scuola pubblica, dell’università e nella sistematica distruzione dei diritti dei lavoratori.

Su quest’ultima linea la giornata del 14 aveva segnato un grande passo avanti. Questo movimento sembrava volere qualcosa di più, qualcosa che non passasse per il sistema politico attuale, e anzi si poneva in modo conflittuale con esso, senza distinzioni. Un movimento che puntava a mettere in discussione l’intero sistema, investendo su una forte saldatura tra studenti e lavoratori , perché si iniziava ad avvertire la consapevolezza che ogni singolo cambiamento passa per una messa in discussione del tutto.

Non è un caso che tutte le forze politiche si siano dissociate dalla giornata del 14, così come non è un caso che scrittori e personaggi importanti dell’Italia benpensante siano subito corsi a fare ridicoli appelli agli studenti, con punte di paternalismo che in alcuni casi hanno superato la soglia del patetico. Tutto questo perché si avvisava la presenza di qualcosa di nuovo e non facilmente controllabile.

Siamo stati tra quelli che hanno sostenuto con forza la necessità di una grande manifestazione il 22 dicembre, che non riproponesse quanto accaduto il 14, per evitare che questo sentimento di critica al sistema, diffuso e condiviso, venisse ridotto ad una questione di ordine pubblico e schiacciato con misure repressive che lo avrebbero stroncato sul nascere. Per questo non critichiamo la manifestazione del 22.

Ci sembra invece che l’incontro con Napolitano abbia segnato due passi indietro. Perché nonostante nelle nostre assemblee – malgrado la sterile presa di distanza di alcune strutture politiche non effettivamente presenti tra gli studenti – non sia mai stata espressa una critica alla giornata del 14, questo incontro nei fatti è una forte presa di distanza da quella giornata, non tanto nella forma di piazza, quanto nel messaggio politico. Accettare, anzi richiedere – che è cosa ancora peggiore – un incontro al Presidente della Repubblica, con il placito degli stessi signori benpensanti che fino a ieri avevano puntato a dividere studenti buoni da studenti cattivi, vuol dire essere caduti nella loro logica: essere ricevuti il 22, e non il 14, significa infatti legittimare quell’idea secondo cui solo manifestando pacificamente, portando fiori e pacchi regalo vestiti da Babbo Natale, porta a risultati concreti, tanto che Saviano – criticato nei giorni scorsi da tutte le anime del movimento studentesco – non ha perduto neanche un secondo e ha ribadito che “le parole sono più forti delle pietre”. Accettare di essere ricevuti da Napolitano vuol dire aver ricondotto le potenzialità di un movimento critico nei confronti del sistema, nei binari del sistema politico attuale.

Una brutta passerella, anche nelle modalità, che ha fatto sua la logica di quanti puntano a spegnere il conflitto sociale nel paese, incanalando in canali politici sfiduciati e privi di potere effettivo, le forze nuove che questo movimento era riuscito a far nascere.

Ma la strada è ancora lunga…

Collettivo Studentesco Senza Tregua

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