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Mezza piena o mezza vuota?

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La rivolta tunisina minaccia i regimi del Maghreb e l’Egitto

(22 Gennaio 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.webalice.it/mario.gangarossa

Un interessante articolo del giornale panarabo Al Quds Al Arabi tradotto dal sito www.medarabnews.com

Il Maghreb arabo vive al ritmo degli eventi che si stanno sviluppando in Tunisia. Tali eventi portano con sé numerosi interrogativi sul futuro dei regimi al potere nella regione, dopo la caduta del regime di Zine El-Abidine Ben Ali in conseguenza dell’ingiustizia politica e sociale da esso praticata per più di due decenni. Un’analoga ingiustizia è presente nel resto dei paesi della regione, e ciò rende del tutto possibile che il contagio delle proteste si estenda. Allo stesso tempo questi sviluppi portano con sé interrogativi sul vergognoso atteggiamento dell’Occidente a sostegno di questi regimi, visto che l’Occidente è divenuto un ostacolo allo sviluppo democratico della regione.

La rivolta politica che sta vivendo la Tunisia mostra che le stesse ragioni che hanno portato alla caduta di Ben Ali, dopo 23 anni di governo dispotico e di militarizzazione del paese, sono presenti con forza nei restanti paesi del Nord Africa – Marocco, Algeria, Libia ed Egitto.

L’Algeria vive una fase di instabilità e la sua popolazione soffre di un progressivo impoverimento malgrado gli enormi introiti petroliferi dello Stato. La famiglia del presidente Abdelaziz Bouteflika – ed in particolare i suoi fratelli – ha cominciato a tessere relazioni tentacolari con i generali per impossessarsi delle ricchezze del paese. In Marocco, la cerchia del re Mohammed VI si arricchisce in maniera scandalosa mentre la popolazione soffre dell’elevato costo della vita e i disoccupati vengono quotidianamente umiliati dai manganelli delle forze di sicurezza davanti al parlamento. In Libia, il regime si è impadronito delle sorti finanziarie e politiche del paese. In Egitto, la famiglia del presidente Hosni Mubarak cerca di entrare nel club delle famiglie regnanti dopo aver assunto il controllo di settori economici strategici. Nel frattempo, la corruzione è diminuita in Mauritania a seguito degli ultimi golpe militari a cui ha assistito il paese.

Malgrado la corruzione dominante negli ambienti del potere in Nord Africa, l’Occidente – ed in particolare l’Unione Europea – si impegna a difendere i regimi presenti in questi paesi. Fino alla sua clamorosa caduta, Zine El-Abidine Ben Ali era considerato il “figlio viziato dell’Occidente” a causa della sua politica intransigente contro i movimenti islamici. L’Occidente non si è preoccupato dell’elevata corruzione né delle continue violazioni dei diritti umani o del saccheggio delle ricchezze appartenenti al popolo da parte dell’élite al potere – la quale in gran parte è cliente delle banche europee. Esso si è preoccupato piuttosto che vi fosse al potere qualcuno che tenesse lontano dai paesi occidentali lo spauracchio degli “islamisti”.

Nel caso tunisino, le dichiarazioni di alcuni responsabili europei, ed in particolare dei francesi, sono apparse provocatorie da tutti i punti di vista – politico, diplomatico e umanitario – se si eccettua la condanna americana di quanto sta accadendo. Il ministro degli esteri francese Michèle Alliot-Marie aveva affermato all’inizio della settimana che la Francia non può dare lezioni a nessuno, rispondendo alle domande dei giornalisti che le avevano chiesto quale fosse la posizione di Parigi riguardo agli avvenimenti tunisini. Si tratta di un’affermazione politicamente provocatoria, poiché mette in evidenza l’atteggiamento incoerente adottato dalla Francia nei confronti degli altri paesi. Mentre Parigi esercita pressioni sul presidente Laurent Gbagbo in Costa d’Avorio, mantiene il silenzio di fronte a quello che accade in Tunisia e Algeria. Mentre condanna il fatto che ci sono state vittime in paesi come lo Zimbabwe, rifiuta di esprimere la propria solidarietà umana nei confronti delle vittime della Tunisia. Il presidente francese Nicolas Sarkozy era stato ancor più irritante tre anni fa quando aveva lodato il regime di Ben Ali definendolo “democratico” sebbene 350.000 tunisini fossero stati ospiti delle carceri del regime negli ultimi vent’anni a causa delle loro idee o delle loro manifestazioni di protesta. Vi è anche un’altra possibile spiegazione al silenzio di Parigi, e cioè che la condanna francese di quanto sta accadendo nel Maghreb arabo potrebbe spingere i regimi di questi paesi a ridurre l’influenza francese e ad aprire le porte all’influenza americana.

L’Occidente solitamente ha appoggiato i popoli che si ribellavano ai loro governanti a partire dalla fine degli anni ’80, quando cadde il muro di Berlino, fino alle rivoluzioni in Georgia e in Ucraina. Esso ha incoraggiato l’opposizione in paesi come il Venezuela, la Bolivia, l’Ecuador e l’Iran. Ma nel mondo arabo questo sostegno è mancato. Questo atteggiamento selettivo da parte dell’Occidente non solo lo pone in contraddizione con i principi democratici di cui si fa promotore, ma lo spinge a una condotta criminale. A titolo d’esempio, il fatto che i regimi del Maghreb arabo, e del mondo arabo in generale, depredino e saccheggino le ricchezze delle loro popolazioni – una condotta che rappresenta di per sé una grave violazione dal punto di vista giuridico, la quale richiede il giudizio e il castigo – e che gli Stati europei lodino molti di questi regimi, rende tali Stati complici del crimine commesso da questi ultimi.

L’Occidente afferma di combattere l’estremismo religioso ed il terrorismo simboleggiato dai movimenti islamici violenti; e sebbene le ricerche accademiche sia in Occidente che nel mondo islamico indichino che l’estremismo è il risultato dell’assenza di giustizia sociale a causa del malgoverno degli Stati arabi – e di quelli del Maghreb in particolare – l’Occidente ignora sfacciatamente queste verità e si pone al fianco di regimi corrotti politicamente e amministrativamente.

Per altro verso l’Occidente – e la Francia in particolare – propone progetti di partnership con il Nord Africa nell’ambito della cooperazione fra l’Unione Europea e la sponda sud del Mediterraneo, ed è chiaro che tali progetti riguardano aspetti economici come la licenza di esportare alcune materie prime, alcuni prodotti agricoli e l’energia in cambio dell’applicazione, da parte dei regimi nordafricani, di una politica di sicurezza contro l’immigrazione ed il terrorismo per conto dell’Europa. Fra i vari “regali” che l’Occidente ha offerto ai governanti del Nord Africa troviamo l’inasprimento delle leggi sulla concessione del diritto di asilo. Negli anni ’70, e fino alla metà degli anni ’90, i paesi europei accoglievano coloro che fuggivano dalle carceri arabe – dov’erano stati imprigionati per le loro idee e le loro posizioni politiche – e concedevano loro l’asilo politico. Le capitali europee brulicavano di movimenti di opposizione arabi. Negli anni ’90, l’UE condizionava la firma di accordi con paesi come la Tunisia e il Marocco alla distensione politica all’interno di tali paesi ed alla liberazione dei prigionieri politici. Ma al giorno d’oggi ottenere asilo politico in Europa è ormai diventato un miracolo, e gli oppositori arabi si trovano di fronte a due scelte: mantenere il silenzio ed accettare la situazione umiliante presente nei loro paesi, o continuare a rimanere fedeli alle proprie posizioni e trascorrere metà della propria vita in carcere.

Gli eventi verificatisi in questi giorni in Tunisia hanno messo a nudo molti elementi che erano rimasti nascosti ai politici sia nel mondo arabo che in Occidente. Possiamo riassumere tali elementi nella maniera seguente:

1) Il verificarsi di futuri cambiamenti politici nella regione non è legato all’ascesa dei movimenti islamici, come hanno sostenuto alcuni studi occidentali ed arabi, ma alla sollevazione dei popoli che avvertono che il livello di pressione, di monopolizzazione politica, e di dilapidazione delle loro ricchezze non è più sostenibile. Questo fatto è sfuggito ai ricercatori e perfino ai servizi di intelligence dell’Occidente, i quali hanno creduto alla solidità del regime di Ben Ali ed hanno consigliato ai loro governi di non condannare quanto stava accadendo. Le manifestazioni in Tunisia sono composte da persone comuni, non da uomini barbuti o da donne velate.

2) La continua mobilitazione mediatica a favore della lotta popolare, grazie ai moderni mezzi di comunicazione forniti da Internet – come YouTube e Facebook – e dai canali satellitari, ha cominciato a dare i frutti del cambiamento. Questi mezzi di comunicazione hanno permesso agli attivisti politici e della società civile in Tunisia di comunicare, sia per coordinare le manifestazioni che per informare il mondo di quanto stava accadendo malgrado la cortina di ferro imposta dal regime di Ben Ali. Allo stesso tempo, non è possibile chiudere gli occhi di fronte al ruolo giocato dai documenti pubblicati da Wikileaks nel denunciare i regimi nordafricani, e all’impatto che ciò ha avuto sul comune cittadino nella regione.

3) Gli avvenimenti tunisini hanno mostrato che l’establishment militare non è disposto a difendere a oltranza regimi corrotti, poiché si è reso conto che la giustizia internazionale potrebbe chiamare in giudizio i comandanti dell’esercito. La svolta nella ribellione tunisina si è avuta quando il generale Rashid Ammar, comandante delle forze terrestri, si è rifiutato di aprire il fuoco contro i manifestanti ed ha presentato le proprie dimissioni. E proprio l’establishment militare è divenuto un ostacolo alla trasmissione ereditaria del potere in Egitto, paese in cui potrebbe verificarsi uno scenario simile a quello tunisino.

4) Gli sviluppi della situazione tunisina mostrano che la possibilità che il contagio si estenda agli altri paesi nordafricani non è affatto da sottovalutare. Questi regimi autocratici si trovano di fronte alla scelta di dover compiere una vera apertura politica, o di attendere una sollevazione sociale ormai sempre più probabile. Lo dimostra il fatto che i governi di questi paesi hanno annunciato una riduzione dei prezzi nella speranza di evitare il peggio.

5) Scommettere sull’appoggio dell’Occidente per realizzare la democrazia – come esso ha fatto con i paesi dell’Europa orientale, o come fa sostenendo l’opposizione liberale in America Latina o in Iran – è ormai una pura fantasia politica, poiché l’agenda dell’Occidente ha fatto dei regimi arabi un baluardo contro l’immigrazione e contro l’estremismo, oltre che una fonte di energia a basso costo. L’Occidente è divenuto complice dei crimini commessi da tali regimi ed è ormai un ostacolo all’evoluzione dei paesi arabi verso la democrazia. La soluzione che resta è la sollevazione dei popoli.

20 gennaio 2011

Hussein Majdoubi

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