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Libia. Gli USA all’Arabia Saudita: ‘armate i ribelli’. Frattini: ‘per fare la No Fly Zone bisognerà sparare’

(7 Marzo 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.radiocittaperta.it

Libia. Gli USA all’Arabia Saudita: ‘armate i ribelli’. Frattini: ‘per fare la No Fly Zone bisognerà sparare’

foto: www.radiocittaperta.it

07-03-2011/18:48 --- Incredibile ma vero: alcuni giornalisti italiani inviati sul campo stanno raccontando in maniera abbastanza corretta e obiettiva quanto vedono. Basta saper sfrondare le loro cronache dai tanti fronzoli e la realtà emerge anche da alcune delle corrispondeze di Repubblica, Corriere, Stampa ecc. Oggi abbiamo potuto ascoltare da Lorenzo Cremonesi, nella corrispondenza dal fronte andata più volte in onda su Rainews 24, che i caccia e gli elicotteri agli ordini del truce Colonnello non solo non bombardano manifestanti inermi, ma che addirittura mandano i loro colpi fuori bersaglio, mirando più che altro a spaventare i ribelli. Per giustificare questa sua descrizione il fido corrispondente del Corriere cerca di spiegare così il mite comportamento delle truppe di Gheddafi: il colonnello non vorrebbe ulteriori guai con la comunità internazionale, e quindi starebbe limitando gli attacchi dell’aviazione contro le milizie dell’opposizione a scopi intimidatori e dimostrativi.
Ma di bombardamenti sui manifestanti inermi, di uso di armi biologiche o chimiche, di afflusso incontrollato di mercenari stranieri, di uccisioni indiscriminate di medici e pazienti negli ospedali sentiremo ancora parlare. Se anche non lo dovessere raccontare i corrispondenti, troppo realistici, ci penseranno le redazioni nostrane. La posta in gioco è enorme: senza questo quadro di satanizzazione di Gheddafi e del suo esercito - già sperimentato con successo contro Milosevic o Saddam Hussein – le opinioni pubbliche occidentali difficilmente potranno considerare opportuno un intervento militare su ampia scala contro una delle due fazioni in lotta per il controllo del potere e delle ingenti risorse petrolifere del paese. Le stragi di civili – vere o inventate poco importa – forniranno a generali ed ong in cerca di finanziamenti e visibilità l’appiglio per poter invocare un intervento immediato e risoluto contro una delle parti in campo in quella che ormai tutti chiamano guerra civile. “Se il regime libico continuerà ad attaccare i civili, la Nato non rimarrà a guardare” ha infatti dichiarato oggi Il Segretario generale dell'Alleanza Atlantica, Anders Fogh Rasmussen che poi ha aggiunto: “Se Gheddafi e il suo regime continueranno ad attaccare sistematicamente la popolazione civile, non riesco a immaginare che la comunità internazionale e le Nazioni Unite restino a guardare (…) La Nato condanna l'uso della forza contro la popolazione libica (...) la violazione del diritto umanitario e internazionale è oltraggiosa". Che i caccia della Nato abbiano solo due giorni fa falciato e ucciso nove bambini in Afghanistan non sembra scalfire la verve umanitaria del capo dell’Alleanza Atlantica.
Da un giornale britannico arriva intanto la notizia che gli Stati Uniti hanno chiesto all'Arabia Saudita di fornire armi ai ribelli libici ma finora pare che i sauditi non abbiano risposto all'appello. Lo scrive oggi il quotidiano britannico The Independent. "I sauditi - scrive il giornale - rimangono l'unico alleato arabo degli Stati Uniti in grado di fornire armi alla guerriglia in Libia. Il loro aiuto permetterebbe a Washington di smentire ogni coinvolgimento militare nella catena di rifornimento... le armi sarebbero americane e pagate dai sauditi". Il problema è che la dinastia autocratica al potere in Arabia Saudita ha i suoi problemi interni da tenere sotto controllo, a partire dalla rivolta annunciata delle minoranze sciite che, insieme ad altre forze dell’opposizione, hanno proclamato per venerdì prossimo una giornata della rabbia contro la mancanza delle minime regole democratiche e quella che considerano una dittatura sunnita che li discrimina. Per tutta risposta il governo saudita ha di fatto sigillato le province a maggioranza sciita (che rappresentano circa il 10% della popolazione totale) del proprio territorio, inviandovi carri armati e migliaia di soldati e poliziotti. La situazione, all’interno del paese alleato – ma negli ultimi anni con sempre minore entusiasmo – di Washington, potrebbe diventare difficile, e non è detto che Ryad abbia voglia di impegnarsi in una impresa rischiosa come quella chiesta dall’amministrazione USA sempre più in imbarazzo. Oltretutto il vicino Bahrein è già scosso da settimane di manifestazioni, scioperi e proteste che vedono anche qui la popolazione a maggioranza sciita opporsi al regime sunnita: le motivazioni, di natura prevalentemente sociale e politica, non hanno impedito al regime locale – sostenuto dall’Arabia Saudita attraverso l’invio di armi e mezzi blindati – di reprimere le dimostrazioni provocando numerose vittime. Obama e la sua amministrazione sembrano non avere ancora scelto come comportarsi in Libia: l’intervento diretto è richiesto da alcune lobby trasversali e presenti anche nel suo Partito Democratico, oltre che dai Repubblicani in blocco. Ma rischierebbe di sobillare tutte le popolazioni arabe e islamiche del pianeta contro Washington e i suoi alleati. Il rischio lo intravvedono soprattutto i regimi dittatoriali e autoritari sparsi con il sostegno politico, logistico e militare degli Stati Uniti in vari paesi del Nord Africa e del Medio Oriente, alcuni dei quali potrebbero trovarsi in forte difficoltà se la Nato decidesse di intervenire militarmente contro la Libia. Alcuni analisti evidenziano tra l’altro il rischio che alcuni signori della guerra libici, armati e finanziati dagli USA e dalle altre potenze europee in funzione anti Gheddafi, possano presto sganciarsi e autonomizzarsi dagli oggi utili protettori. Un po’ il meccanismo già visto per l’Afghanistan o in Cecenia, con i talebani e i gruppi fondamentalisti trasformatisi in pochi anni da agenti di Washington in pericolosi e tenaci nemici dell’occidente (oltre che dei loro popoli).
Ma d’altronde Washington non può non muoversi a sostegno delle milizie libiche schierate contro Gheddafi. Negli ultimi giorni i combattimenti sono ripresi su grande scala, e ormai anche la macchina propagandistica di Al Jazeera ed Al Arabya (fonti di innumerevoli quanto tanto ritrasmesse bufale su quanto sta avvenendo nel paese nordafricano) sta riconoscendo che i ribelli si stanno ritirando da numerose posizioni conquistate nei giorni scorsi. La controffensiva dell’esercito libico sembra funzionare, almeno in parte, e quindi le cose si mettono male per chi è sceso in armi contro Gheddafi nella speranza che cedesse senza quasi colpo ferire.
Quanto l’intervento militare contro la Libia sia possibile lo dimostrano le continue prese di posizione ambigue e sibilline di un ministro degli Esteri italiano che oggi è tornato di fatti sulla questione. E’ "assai difficile" pensare ad aerei militari italiani coinvolti sul terreno libico, ma in base alla "lealtà euroatlantica" il governo di Roma non negherebbe "basi militari e il supporto logistico" nel corso di eventuali operazioni militari contro la Libia. Lo ha affermato stamattina Franco Frattini commentando l'ipotesi di una zona di interdizione al volo sopra i cieli della Libia. "La prima cosa da fare con nervi saldi – ha chiarito Frattini - è essere consapevoli che questa tragedia non possiamo fermarla domani, se non facendo la guerra. E la guerra non è un videogioco, è una cosa seria. La 'no fly zone' - ha proseguito - vuol dire che ci sono aerei che sorvolano impedendo ad altri aerei di alzarsi in volo e se gli aerei si alzano in volo bisogna sparare". Insomma l’Italia, anche se non sparerà – almeno ufficialmente - potrebbe fungere da enorme portaerei a disposizione delle aviazioni militari della Nato impegnate in bombardamenti nel paese nordafricano. Bombardamenti ‘umanitari’ e ‘mirati’, naturalmente!
Così come sono stati solo a scopo esclusivamente ‘umanitario’, naturalmente, gli incontri avuti da funzionari italiani del Ministero degli Esteri con il cosiddetto Consiglio Nazionale Libico, cioè il gruppo che a Bengasi riunisce i rappresentanti di alcune delle fazioni che si oppongono a Gheddafi, molti dei quali fino a pochi giorni fa ex funzionari o addirittura ex ministri del Colonnello. Adbel Aziz Sahad, portavoce del Consiglio, ha riferito di contatti in corso anche con Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna, Paesi che starebbero per riconoscerlo come interlocutore ufficiale. Sapendo di toccare un nervo scoperto dell’Occidente, i ribelli che controllano la Cirenaica hanno ammonito le potenze occidentali che occorrerebbero raid aerei per proteggere i giacimenti petroliferi libici da eventuali attacchi delle forze leali a Muammar Gheddafi. "L'Occidente deve muoversi, o quel pazzo farà qualcosa ai pozzi di petrolio", ha avvertito Mustafa Gheriani, portavoce della 'Coalizione del 17 Febbraio' che amministra le aree dell’est del paese. Della serie: se volete il petrolio ve lo dovete guadagnare…

Marco Santopadre, Radio Città Aperta

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