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Il mondo capovolto dalle veline coloniali

un commento all'articolo di Magdi Allam sul Corriere della Sera del 9 aprile

(13 Aprile 2004)

Ecco come il noto "giornalista" ti gira la frittata: documentare l'assedio delle truppe coloniali Usa alla citta' di Falluja, che ha gia' provocato centinaia di morti, diventa "propaganda anti-occidentale", "istigazione all'odio".

La tv del Qatar Al-Jazeera, una delle pochissime voci libere che permettono (per il momento...) di informarci sulla tenace resistenza del popolo iracheno contro l'aggressione e l'occupazione terroristica a guida Usa del loro paese, secondo questo personaggio sarebbe un megafono "delle forze più integraliste e fanatiche".

Traspare chiaramente la rabbia da questo "articolo": gli aggressori a stelle e strisce non sono riusciti a spianare con il napalm la citta' di Falluja senza che nessuno lo venga a sapere; i giornalisti "embedded", autorizzati dagli occupanti, rimangono lontano. Solo la troupe di Al-Jazeera (le cui sedi non a caso sono state piu' volte bombardate dai "liberatori del mondo", a Kabul come a Bagdad) rimangono a testimoniare le efferatezze "nazi-style" dei cow-boys.

Il "nostro" parla infatti proprio di "sconfitta" mediatica Usa: probabilmente intende dire che i cecchini yankee non sono riusciti ad accoppare fin da subito il direttore sanitario dell'ospedale e i giornalisti qatarioti, che purtroppo di conseguenza continuano ad informare il mondo (e non solo quello "libero": qualcuno dovrebbe spiegare all'egiziano che non esiste piu' la divisione in blocchi....).

Uno scritto fuori dal mondo, che si ostina a fingere di ignorare che la resistenza irachena (lui la chiama "sedicente") e' oramai di massa, che il convoglio che ha tentato di portare aiuti sanitari ed alimentari alla citta' strangolata dalle truppe coloniali Usa (e al quale hanno quindi sparato addosso) era formato da migliaia di civili iracheni, sunniti e sciiti, semplicemente solidali con una citta' che sta per fare la fine di Dresda, Kragujevac, Marzabotto, Ghetto di Varsavia.....

Conclude dicendo: "qualora dovessero trionfare [i guerriglieri] a perdere non sarebbero solo gli americani. Ma principalmente gli stessi iracheni e l'insieme del mondo libero."

Due cose: primo, forse comincia a farsela addosso, e a contemplare anche l'ipotesi della sconfitta degli invasori; secondo, che e' sempre stato corretto attribuire alla coraggiosa lotta del popolo iracheno un valore che va ben al di la' della semplice lotta di liberazione nazionale: una sconfitta del terrorismo espansionista statunitense in Iraq avrebbe ripercussioni ben piu' ampie.

Luca

L'articolo di Magdi Allam: «Immagini e parole, l'odio in onda su Al Jazira»

Il colpo più duro all’America in Iraq lo sta dando la televisione araba Al Jazira . Una bomba mediatica all’ennesima potenza che arriva proprio nell’anniversario della caduta di Bagdad.

Le immagini dei corpi sanguinanti nell’ospedale di Falluja, dei morti riversi lungo le strade della stessa città roccaforte della guerriglia sunnita, dei tre ostaggi civili giapponesi con i coltellacci alla gola nell'atto dello sgozzamento hanno portato all'apice l'odio e la voglia di vendetta nei confronti degli americani e dei loro alleati.
Al Jazira, da lungo tempo megafono delle forze più integraliste e fanatiche, sembra essere riuscita nell'ardua impresa di attribuire una dimensione popolare all'attività terroristica dei gruppi estremisti sunniti e sciiti. Così come sembra essere riuscita a fungere da catalizzatore delle annose e infinite frustrazioni di tanti arabi e musulmani, trasformando l'Iraq in una potente valvola di sfogo collegiale. Una sorta di fronte di prima linea ideale sul piano religioso, politico e militare dove poter ingaggiare la Guerra santa contro l'America.

Per rendersi conto dell'impatto traumatico del messaggio di Al Jazira era sufficiente ascoltare la voce del direttore sanitario dell'ospedale di Falluja, Taher al-Issawi: «Aiutateci! Questa è una guerra di sterminio! Il mio non è più un ospedale, ma un macello colmo di cadaveri dissanguati e di corpi dilaniati!». Subito dopo la conduttrice da studio, con l'emozione che tradiva la sua profonda partecipazione al tragico evento, ha chiesto a un leader religioso sunnita in collegamento da Bagdad: «Fino a quando continuerete a limitarvi a protestare pacificamente contro le forze di occupazione americane? Non pensate di ricorrere ad altri mezzi?». Più che una domanda sembrava un'incitazione all'uso della forza.

Le successive testimonianze sul bombardamento americano della moschea di Falluja, trasformata in fortino dei guerriglieri sunniti, sono state un uragano di maledizioni e minacce contro l'America. Perfino una ministra del governo provvisorio iracheno, ospite in una trasmissione di Al Jaziradove si commentava il caos delle ultime ore, attorniata da interlocutori che denunciavano apertamente il «genocidio degli iracheni», si è trovata costretta a prendere le distanze dagli americani. In questo clima diventa sempre più difficile sostenere o anche soltanto mostrarsi neutrali nei confronti degli americani.

Bisogna prendere atto che almeno questa guerra, quella dei media, l'America l'ha persa. Uno smacco non di poco conto se si tiene presente che nella vittoria contro il regime di Saddam Hussein un ruolo cruciale l'ebbe la poderosa macchina bellica dell'informazione pilotata e della disinformazione mirata. Una lezione che sia Al Qaeda sia la sedicente Resistenza irachena hanno imparato più che bene. Tanto è vero che nei loro proclami strategici sottolineano la centralità del ruolo dei media nella guerra in corso. Convinti che gli americani e i loro alleati saranno costretti a ritirarsi dall'Iraq quando non riusciranno più a contenere la protesta e la pressione delle rispettive opinioni pubbliche.
Per l'ennesima volta la strategia americana denuncia il grosso limite politico e culturale. La sua incapacità di risultare credibile, di raccogliere il consenso pieno della maggioranza degli iracheni. Che pure sono grati all'America per averli affrancati dalla sanguinaria tirannia di Saddam. C'è stato un momento in cui, all'indomani della serie ininterrotta dei brutali attentati contro le sedi dell'Onu, delle ambasciate e delle moschee sciite, questa maggioranza ha reagito. Ha denunciato apertamente i terroristi che massacrano in maniera indiscriminata. Ora invece sembra in balia del caos e della paura. In qualche modo la minoranza violenta, i superstiti del passato regime e la scheggia impazzita sciita di Moqtada Al Sadr, stanno riuscendo nell'intento di imporre il proprio potere dispotico. Sono contro l'America e l'Occidente, ma anche contro l'Onu e la prospettiva di un Iraq libero e democratico. Qualora dovessero trionfare, a perdere non sarebbero solo gli americani. Ma principalmente gli stessi iracheni e l'insieme del mondo libero.

Magdi Allam (Il Corriere della Sera, 9 aprile 2004)

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