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A Nassiriya vidi la prigione infernale

articolo de "Il manifesto" del 13 maggio 2004

(14 Maggio 2004)

13 maggio 2004 - «La prigione gestita dagli iracheni era terribile e i prigionieri erano ammassati uno sull'altro. Un uomo arrestato da noi è stato poi picchiato dai militari iracheni». A parlare è un carabiniere italiano appena tornato da Nassiriya. «Paolo», chiamiamolo così, in Iraq svolgeva attività «investigative» sull'attentato di novembre e su altre azioni terroristiche. E' un uomo convinto del proprio lavoro, ma racconta la sua esperienza con qualche difficoltà, spiegando quanto poco l'abbia convinto un intervento che sapeva ben poco «di pace».

Che cosa succede a una persona arrestata dagli italiani?

Prima di tutto la interroghiamo. Quindi, in base al tipo di violazione di cui è imputata ci sono iter diversi. Se la persona è accusata di attività terroristiche è affidata ai militari inglesi. Gli accusati di reati comuni, invece, vengono portati al carcere di Nassiriya, gestito dagli iracheni.

E voi invece dove li interrogate?

In una costruzione separata che, però, fa parte della base. Dentro c'è un tavolo, alcune panche e poco altro.

Ha mai assistito agli interrogatori?

Si, qualche volta

Per quanto tempo li tenete? Alcuni giornali dicono che li fermate anche per 14 ore o di più...

E' possibile che il fermo duri 14 ore, forse anche qualcosa di più. Alla fine dell'interrogatorio li consegniamo al carcere iracheno di Nassiriya o a quello di Bassora gestito dagli inglesi.

E' mai entrato in queste prigioni?

Solo in quella di Nassiriya. A Bassora no.

In che condizioni era il carcere?

I prigionieri vengono ammassati in stanze di pochi metri quadrati. Dormono per terra praticamente uno sull'altro. Quando li ho visti io i prigionieri erano in pessime condizioni ma vestiti. Alcuni di loro cercavano di parlarci. Ci toccavano. Ma capire cosa dicessero era impossibile.

Le è mai capitato di assistere a torture o pestaggi nel carcere?

Non direttamente. Solo in un caso abbiamo scoperto che un nostro prigioniero era stato torturato. Era il febbraio scorso. Per la nostra attività investigativa ci capita di dover risentire qualcuno fermato in precedenza. E in quella occasione gli iracheni ci hanno riconsegnato un uomo in condizioni che non lasciavano dubbi. Non aveva fratture, ma era pieno di lividi. Credo che lo abbiano riempito di schiaffi, pugni e bastonate.

Vi ha raccontato di essere stato torturato?

Non a me, ha parlato con il medico e l'interprete.

Ma voi sapevate?

Si, ricordo di averne parlato anche con i miei colleghi.

Cosa avete fatto?

Il nostro medico ha refertato le sue condizioni al suo arrivo e al momento di restituirlo agli iracheni.

Ma l'avete restituito agli iracheni nonostante tutto?

Si, ma con la garanzia che sarebbe stato affidato a un reparto diverso.

Se uno di voi assiste o sa di torture cosa deve fare? Bruno ha raccontato di aver parlato con i superiori.

Non so. E' un contesto particolare. Credo che anche io avrei riferito a un superiore. Dipende se è un caso isolato oppure la norma.

Se venisse fuori che anche gli italiani hanno torturato cosa penserebbe?

Poco fa mi ha telefonato un collega che era stato in Somalia ai tempi delle torture e cercava di fare un parallelo con quello che è avvenuto in questi giorni in Iraq. Lui diceva che in questi contesti, quando becchi sul fatto una persona che ha appena tirato una granata tra la folla se gli tiri due o tre calci è normale. E' difficile giudicare.

E dell'intervista della moglie di Bruno cosa pensa?

Per me non è stata una iniziativa personale. Credo che qualcuno l'abbia spinta a dire quelle cose. Ma con questo non voglio dire che non siano vere.

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