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Fiat: lacrime e sangue

Fiat: lacrime e sangue

(14 Agosto 2010) Enzo Apicella

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Intervista ad Arafat, lavoratore del polo logistico di Piacenza

(25 Novembre 2012)

23 / 11 / 2012

[L'intervista, curata da Loris Narda e Diana Sprega, è andata in onda nella trasmissione di Radio UniNomade di mercoledì 7 novembre 2012. Pubblichiamo il testo perché costituisce un utile materiale di inchiesta dentro quello che possiamo chiamare un ciclo di lotte dei lavoratori migranti nei poli della logistica: lo dimostrano, oltre ai blocchi di Piacenza, le mobilitazioni dell'ultimo anno a Verona, a Pioltello e in altri luoghi, così come lo sciopero in corso nel deposito della Coop ad Anzola, in Emilia.]

Ci racconti come sono cominciate le lotte nel polo logistico di Piacenza?
Le lotte qui al polo logistico sono partite dalla Tnt di Piacenza. Poi sono arrivate alla Gls e ultimamente all’Ikea, dove siamo adesso. La protesta qui all’Ikea sta andando avanti, continua, tutti i giorni, davanti ai cancelli, davanti al deposito centrale che è il più grande di tutta Europa.

Quali sono le vostre rivendicazioni, cosa chiedete?
Sempre la stessa cosa: il rispetto del contratto collettivo nazionale, un salario dignitoso, rispetto delle dignità dei lavoratori all’interno dell’azienda. E anche il rispetto delle misure di sicurezza all’interno dell’azienda. Un trattamento dignitoso da parte dei responsabili. Perché in ogni magazzino i responsabili trattano i lavoratori sempre in maniera aggressiva.

Quindi ci sono minacce anche all’interno del luoghi di lavoro?
Sì, anche. I responsabili del polo logistico per spaventare i lavoratori creano un sistema di schiavitù: dicono ai lavoratori che non devono parlare, non chiedere un aumento, impediscono di rivendicare i loro diritti. Hanno usato questo sistema di minacce nel polo logistico piacentino per anni.

Le vostre lotte sono cominciate da diverso tempo…
Sì, nel polo logistico sono due anni che è partita la lotta. Fino ad adesso, ogni giorno c’è una lotta diversa, ci siamo allargati anche con Casalpusterlengo, Lodi, Milano, Brescia, Parma. Bartolini, SDA, MCN, UBS: tutte le aziende più grosse in Italia di movimentazione merci-facchinaggio hanno sempre fatto così. Quando vai a vedere le situazioni in cui sono i lavoratori sono più o meno simili. Abbiamo tolto il coperchio per far vedere quello che c’è sotto. Ora si vede lo sporco, i vermi che ci sono dentro. É un sistema che è stato coperto per anni, ora è venuto fuori con la lotta e la protesta.

Quindi sono lotte che stanno in tutti i grossi poli della logistica del Nord Italia, che si sono generalizzate in posti diversi. Avete delle connessioni in tutta Italia, avete delle forme di coordinamento?
Sì, abbiamo un coordinamento legato a tutte le città del Nord Italia, ma anche al Sud. Adesso la lotta si è allargata anche a Roma e in Sicilia.

Quali sono le forme di organizzazione che vi date? Come vi organizzate all’interno di queste lotte?
Per prima cosa, per entrare in un’azienda, prima devi fare i volantini e incontrare i lavoratori fuori dall’azienda, per spiegare quali sono i loro diritti. Perché credo che le informazioni per i lavoratori siano molto importanti. Tante persone non sanno quali sono i loro diritti: passano anni a lavorare e credono che sia la legge a prevedere determinate condizioni, ma quando vai a informare i ragazzi su cosa dice il contratto, allora il lavoratore dice no, perché sono stati per anni requisiti dal padrone che gli faceva fare quello che voleva lui. Perché – si chiedono a quel punto – non mi pagano la 13esima, la 14esima, le ferie, le festività? Quando spieghiamo alla gente che hanno un diritto da chiedere, iniziano a rivendicare i loro diritti. Perché sanno che la legge ha previsto questi diritti, ma il padrone ha fatto sempre credere loro che la legge è quello che dice lui. Invece se informi bene i lavoratori iniziano a ribellarsi, e anche a unirsi tra di loro. Così si iniziano ad organizzare e portare avanti la lotta.

La vostra mobilitazione ha avuto grossa risonanza in tutta Italia, con gli ultimi picchetti organizzati. I vostri rapporti con i sindacati come sono all’interno delle aziende?
Veramente i confederali negli ultimi anni si sono un po’ allontanati dai lavoratori. É come se fossero in un altro mondo, non sanno niente di quello che succede in azienda. Quando è arrivato un sindacato di base come i Cobas è riuscito a capire cos’era la sofferenza, avvicinare i lavoratori e vive con loro i problemi. Tutti hanno capito che il sindacato deve essere il lavoratore, non un sindacato “nominale”. I confederali hanno preso solo i soldi delle tessere per anni, secondo me i confederali per questo hanno fallito: hanno tentato di fare delle tessere ma non hanno condiviso i problemi dei lavoratori, insieme ai lavoratori.

Come si sono posti i confederali nei confronti dei picchetti e delle altre azioni di lotta?
Come se non ci fossero, è come se non considerassero i problemi di queste persone. Loro arrivano solo quando le lotte sono finite a mettere una firma su un accordo. Non si sono mai visti ad un picchetto.

Come proseguirà la mobilitazione?
Continueremo con i blocchi delle aziende tute le mattine, non abbiamo paura. Devono rispettare la nostra dignità e soprattutto continueremo fino a quando non riammetteranno i 12 lavoratori licenziati all’inizio di questa mobilitazione, finché non cambierà l’arroganza dei capireparto e non ci pagheranno tutte le indennità, le ferie e le festività che fanno parte del contratto. Fino a quando non avremo questo la lotta continua.

UniNomade

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