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(13 Marzo 2013)
Per Najla, Nasrin, Samira, Arzoo l’emancipazione passa per l’antica arte del cucito e altre forme artigianali che imparano in una delle scuole tenute da Opawac (Organization Promoting Afghan Women’s compatibilities) nella capitale afghana.
La struttura é in una traversa fangosa di una delle cinque grandi arterie asfaltate che portano in centro. S’impartiscono lezioni di alfaberizzazione a certe bambine e donne adulte finora private dell’educazione primaria, e corsi professionali della durata di nove mesi per ragazze dai 14 anni in su. Alla fine giunge un attestato di abilitazione a cucito, ricamo, artigianato e avviamento informatico. Le insegnati sono tre donne determinatissime e due giovani uomini, il clima e’ partecipato e festoso. Il governo afghano, tramite il ministero dell’Istruzione, spedisce periodiche ispezioni di verifica ma non elargisce nessun finanziamento. Questi giungono solo da Ong amiche come l’italiana “Insieme si puo’” e un’associazione australiana. La responsabile di Opawac e’ Latifa Ahmadi, trentuno anni, tre figli e un amore immenso per le donne del suo Paese che accompagna per mano nella ricerca di normalita’. Dice “L’istruzione e’ l’obiettivo primario, quel diritto che i talebani avevano tranciato durante i cinque anni del loro governo e che le forze conservatrici dell’attuale regime Karzai cercano di limitare. Non e’ un caso che un recente editto della Shura degli Ulema, che vuole impedire il lavoro misto di donne e uomini, sia stato firmato dall’attuale presidente afghano”.
“In passato abbiamo tenuto corsi a Herat, Farah, Mazar-e Sharif, Jalalabad, dal 2010 purtroppo alcuni abbiamo dovuti chiuderli per mancanza di fondi. In alcune province dove la presenza talebana e’ forte (Ghazni, Wardak) le studentesse dopo il diploma insegnano in maniera informale in case private. Non si possono rilasciare attestati ma lo scopo istruttivo e’ egualmente raggiunto. Emancipare le donne dall’unica e opprimente occupazione domestica e dalla sudditanza agli uomini di famiglia puo’ anche condurle verso forme di piccola impresa e commercio di abbigliamento. Ci sono dei precedenti che in futuro potrebbero venire sostenuti tramite il microcredito. Sono piccoli esempi utili a risollevare economie familiari dalla poverta’ e da un presente cronicizzato sull’assistenza. Il domani che ci prospetta lo Stato e’ nero. In molti dobbiamo farci un’autocritica. Nel 2003 abbiamo sostenuto Karzai, credendo alla favola raccontata dagli Stati Uniti che quest’uomo avrebbe aiutato la nazione e il popolo. Una falsita’ indecorosa, Karzai s’e’ mostrato funzionale solo agli interessi americani e di una cerchia locale. Fornisco qualche dato ripreso dai nostri dicasteri. Il volto sedicente democratico dell’Afghanistan ha inserito il 25% di donne negli apparati statali, Detta cosi’ sembra una conquista straordinaria, ma queste donne sono usate come alibi. Nei ministeri e nelle strutture dove lavorano non possono decidere nulla, e per quelle migliaia inserite nell’apparato ufficiale ce ne sono milioni abbandonate in condizioni d’arretratezza tribale come alcune delle cinquantenni che vengono da noi a imparare a leggere e scrivere perche’ finora nessuno gliel’ha consentito“.
“Le promesse mancate sono un’infinita’. Oggi il 70% delle donne di questo Paese sono analfabete. Nel 2010 l’impiego femminile s’aggirava al 30%, nel 2012 e’ sceso al 18%. Non lo dice Opawac ma il ministero del Lavoro afghano. E ancora: ridotte in questo stato di abbandono il 66% delle nostre donne ha problemi psicologici, lo ammette il ministero della Salute. Se pensiamo che gli Stati Uniti hanno speso in questi anni 564 miliardi di dollari - e sto parlando dell’apparato amministrativo e burocratico della missione, non delle spese militari - c’e’ da chiedersi dove sia finito questo mare di denaro. Non e’ un segreto che l’80% degli aiuti internazionali (i dati sono del ministero delle Finanze) servono a mantenere l’apparato stesso. Aggiungo altro? Dei 60 milioni di dollari della Cooperazione Internazionale il 99% e’ finito nei canali della corruzione governativa e dei criminali che la gestiscono. E ci ritroviamo con sei milioni di bambini abbandonati che vivono nelle strade e una cifra identica di disoccupati. Verrebbe da piangere ma noi non lo facciamo perche’ non e’ nostro costume lamentarci, preferiamo darci da fare anche con il poco che abbiamo. E poi perche’ 34 anni di guerre ci hanno prosciugato pure le lacrime”.
“Oltre alla farsa delle prossime presidenziali non ci aspettiamo nulla anche dalle elezioni politiche del 2015. Servirebbero votazioni libere, non truccate com’e’ accaduto finora per colpa di Karzai e dei suoi protettori esteri. Gli osservatori internazionali hanno testimoniato forzature, brogli, violenze eppure il mondo ha accettato i risultati delle ultime consultazioni. Una vergogna! Io dico alle donne con cui sono in contatto che sara’ importante partecipare alla vita politica del Paese perche’ e’ una delle nostre conquiste della vita pubblica, pero’ non abbiamo concrete possibilita’ di far sentire la nostra voce perche’ le forze democratiche sono poche e gli stessi deputati indipendenti vengono perseguitati com’e’ accaduto a Malalai Joya. Comunquea l’impegno di strutture che lavorano con la popolazione, che sono parecchie perche’ noi di Opawac non siamo soli, preparera’ il terreno a quelle menti democratiche che pensano al riscatto dell’Afghanistan. Per ora dico con orgoglio che assieme al mio staff dal 2008 abbiamo formato quasi un migliaio di donne e sono sicura che costoro saranno un pilastro della nazione liberata dalla cricca dei criminali e dall’occupazione occidentale che li protegge e fa prosperare”.
Kabul, 13 marzo 2013
Enrico Campofreda
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