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Il Sudan nel mirino

(19 Ottobre 2004)

"Gli avvertimenti da parte americana sull'imminenza di un'apocalittica catastrofe umanitaria a Darfur sono frutto dell'esagerazione dei funzionari di governo."
Peter Beaumont, The Observer UK


Il fatto che Colin Powell abbia parlato di "genocidio" a Darfur equivale a una dichiarazione di guerra, e spiana la strada a una progressiva escalation di misure repressive, ispirate dall'amministrazione Bush e messe in atto dalle Nazioni Unite, con il solo scopo di "sovvertire il regime" sudanese. Una strada già percorsa in passato, e che ora sembra prendere la direzione di Khartoum.

L'amministrazione Bush non è realmente interessata ai quotidiani episodi di orribile violenza che avvengono a Darfur. La sua attenzione è attratta esclusivamente dalle vaste riserve di petrolio e di gas naturale che si trovano, per ora, al di fuori del controllo americano. Secondo la compagnia petrolifera canadese Talisman, le riserve petrolifere del Sudan sono di circa 1 miliardo di barili, mentre quelle di gas arrivano a 3000 miliardi di metri cubi. Il massacro e la fuga della popolazione locale è solo un pretesto per future azioni militari. Bush e i suoi luogotenenti sanno quanto sia necessario manipolare i sentimenti della pubblica opinione, e sfruttano la tragedia umana per promuovere i propri obiettivi ad ampio raggio. La drammatica definizione di "genocidio", utilizzata da Colin Powell, è solo una mossa tesa a indurre le Nazioni Unite a sanzioni che fermino il vitale flusso di petrolio (diretto principalmente verso la Cina) e creino il presupposto per un "intervento umanitario".

Queste considerazioni hanno trovato risonanza nella discussione trasmessa da un canale via cavo, C-Span, del 15 settembre scorso. definendo il conflitto in Sudan "una guerra civile", Akbar Muhammad, portavoce della Nation of Islam, ha asserito che si tratta di un "complesso conflitto umanitario, che non ha a che vedere con la razza." Tutti gli altri partecipanti alla discussione (tutti di colore) si sono detti d'accordo su questo punto fondamentale.

"Non si tratta di genocidio, né di pulizia etnica" ha confermato l'attivista nero Imam Khalid Abdul-Fattah Griggs. La "crisi umanitaria" è reale, ma secondo lui la guerra è provocata da "una iniqua distribuzione delle risorse" (Al jazeera)

L'intervento umanitario è un sotterfugio noto e già praticato efficacemente dalle amministrazioni Clinton e Bush. È stato invocato come giustificazione del coinvolgimento americano in Kosovo, che ha portato all'indiscriminato bombardamento aereo di obiettivi civili serbi per settantotto giorni. In realtà, si è trattato di un piano ben congegnato per stabilire basi strategicamente dislocate nei Balcani: basi che molti considerano fondamentali per il futuro economico dell'America. I Balcani, infatti, sono il crocevia di cruciali oleodotti e gasdotti, e un terreno di prova per il controllo dell'Asia centrale e delle sue ricchezze naturali.

Le accuse di Powell sono parse sospette negli ambienti governativi sudanesi: l'amministrazione americana si è dimostrata assai meno interessata a trovare una soluzione alle tragedie umanitarie in atto in Iraq, Afghanistan e Haiti. Il presidente sudanese Omar Al Bashir è giunto a ipotizzare che gli Stati Uniti possano avere un ruolo nell'istigazione del conflitto di Darfur. Bashir afferma che gli Stati Uniti "hanno contribuito all'addestramento e all'armamento dei ribelli del Sudan Occidentale che si sono sollevati contro il governo sudanese l'anno scorso" (Reuters).

"Chi, se non gli Stati Uniti, sta dietro a tutto questo... Hanno raccolto i ribelli in Eritrea, hanno creato campi di addestramento per loro, li hanno finanziati, armati e dotati di telefoni satellitari Thuraya, in modo che potessero parlare da qualunque luogo con tutto il mondo, " ha ribadito Bashir al quotidiano Al-Ahram, rispondendo a una domanda sul coinvolgimento di potenze straniere in Darfur. (Reuters)

E chi, sapendo quanto il massacro in Iraq sia motivato dal petrolio, potrebbe dubitare delle parole di Bashir? Solo la scorsa settimana, il Guardian ha riferito che gli Stati Uniti potrebbero essere coinvolti nel golpe in Guinea Equatoriale. "L'aiuto sotto-segretario alla Difesa per gli affari africani del Pentagono si è incontrato due volte ufficialmente con un cittadino britannico accusato di essere uno degli organizzatori del colpo di stato. Il presidente della Guinea Equatoriale ha accusato gli Stati Uniti di essere dietro al complotto, ma l'amministrazione Bush ha negato di avervi avuto alcun ruolo." (Democracy Now)

Analogamente, il coinvolgimento dell'amministrazione americana nel fallito colpo di stato contro Hugo Chavez, in Venezuela, è oggi ben documentato. In quel brutto affare, Bush aveva immediatamente quanto illegalmente riconosciuto il nuovo governo Carmona, nonostante il "manager petrolifero" avesse rapidamente messo i sigilli al Parlamento e alla Corte suprema nelle prime 24 ore del suo breve regno. Questa è stata, forse, la migliore dimostrazione dell'atteggiamento dell'amministrazione Bush nei confronti della democrazia, e della sua determinazione a fare "tutto quel che va fatto" per controllare le sempre più scarse risorse del pianeta.

Il petrolio è l'elemento che domina la politica estera dell'amministrazione Bush: che richieda un colpo di stato o un "intervento umanitario", una minaccia del Congresso (come nel caso delle PEMEX messicana) o il trasferimento clandestino di azioni prestanome di investitori americani (come nel caso della Yukos russa), o la guerra (come in Iraq e in Afghanistan), il petrolio è il motore di ogni decisione politica.

La stessa regola si applica anche al Sudan. Gli Stati uniti non hanno intenzione alcuna di ridurre la violenza a Darfur. Basta guardare cosa sta accadendo in Afghanistan per sapere che l'amministrazione Bush non è disposta a rischiare la vita dei soldati americani per rendere sicuro il paese. In tre anni, gli Stati Uniti non hanno fatto nulla per mettere in discussione i signori della guerra locali e favorire l'integrazione della nazione sotto un governo centrale forte. Sarebbe ingenuo aspettarsi che per Darfur si inauguri un nuovo corso.

Anzi, un intervento americano probabilmente sarebbe la migliore garanzia di una "afghanizzazione" del Sudan. In altre parole, sarebbe messo al governo un fantoccio degli americani (come Karzai), per permettere e giustificare il saccheggio delle risorse, mentre la violenza e le sofferenza continuerebbero appena al di fuori delle mura della capitale. L'impegno delle truppe sarebbe limitato alla messa in sicurezza di Khartoum e a tutelare le ricchezze sudanesi, passate sotto l'ombrello economico degli Stati Uniti.

Hashim Syed Mohammad bin Qasim, rappresentante della Online International News Network (OINN) nota che "Il controllo del gas e del petrolio sudanese è certamente al centro di tanta attenzione... Nonostante in Kashmir, in Cecenia e in Palestina ci siano situazioni analoghe (di lotta per la libertà politica), le Nazioni Unite fanno finta di non vedere. È dunque evidente che la macchina delle Nazioni Unite (USA+UE) ha bisogno di petrolio per mettersi in moto, e si tiene alla larga dalle aree che non ne hanno."

Bin Qasim sembra aver scoperto la chiave di volta della politica estera americana, i cui architetti sembrano avere, adesso, il Sudan nel mirino.


Documento originale : Zeroing in on Sudan


4 ottobre 2004

ZNet - Mike Whitney

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