">
il pane e le rose

Font:

Posizione: Home > Archivio notizie > Imperialismo e guerra    (Visualizza la Mappa del sito )

Quando Gerusalemme fu lasciata da sola

Le mire di Sharon sulla città con i negoziati alle porte. Per non ripetere Oslo il mondo deve impegnarsi

(5 Febbraio 2005)

Si sta commettendo lo stesso errore che avvenne dopo la firma degli accordi di Oslo. Fingere di non vedere che le azioni quotidiane del governo Sharon vanno in direzione opposta alla costruzione di uno Stato palestinese sovrano e indipendente che possa coesistere con lo Stato israeliano.

E' strano, perché Sharon afferma continuamente che non ci sarà uno Stato palestinese sovrano e indipendente, ma nessuno sembra credergli. Il premier israeliano ha più volte chiarito che evacuerà i coloni dalla striscia di Gaza, ma non il suo esercito. Ha specificato che terrà saldamente in mano i confini tra l'enclave palestinese e l'Egitto, mentre in Cisgiordania l'evacuazione è prevista solo per alcune piccole colonie nel Nord.

Dopo le trattative di Oslo, avvenute in seguito alla prima guerra del Golfo, tutti pensarono che la pace era ormai raggiunta, che si trattava solo di una questione di tempo. Alla fine del del 1999 - prevedeva il piano d'azione - si sarebbero discussi i punti lasciati in sospeso, che purtroppo erano proprio i più importanti, quelli sui quali i negoziatori palestinesi a Madrid con a capo Haider Abdel Shafi dissentirono. E cioè la sostanza dello Stato palestinese, lo status di Gerusalemme, gli insediamenti, i prigionieri politici.

Palestinesi e israeliani vennero lasciati soli a trattare. Non ci fu risposta da parte della comunità internazionale alle denunce sulla continua espansione delle colonie, sui prigionieri politici che non venivano rilasciati, sui check-point, sui divieti ai palestinesi della Cisgiordania e di Gaza di raggiungere Geresulemme. Baruch Goldestein, un colono di Kyriat Arba, entrò nella tomba dei Patriarchi di Hebron e uccise 29 musulmani in preghiera. Un suo seguace Ygal Amir assassinò il premier israeliano Rabin. Gli estremisti palestinesi continuarono i loro attentati contro i civili israeliani.

L'applicazione delle varie fasi dell'accordo di Oslo si impantanò.

Due forze di una potenza tragicamente asimmetrica - da una parte gli occupanti dall'altra gli occupati - vennero lasciate sole da quella comunità internazionale che avrebbe dovuto essere garante degli accordi. Con la morte di Rabin morì l'accordo di Oslo. Da Nethaniau a Barak (laburista che non votò a favore dell'accordo) fino a Sharon, in modo diverso tutti erano contro Oslo.

Oggi siamo in un momento decisivo. Mahmoud Abbas non avrà molto tempo a sua disposizione. Con le elezioni in Palestina il popolo palestinese ha scelto, insieme al presidente Mahmoud Abbas, un programma che parla di pace, di democrazia e di libertà dall'occupazione militare. Dal canto suo Mahmoud Abbas sta mantenendo le promesse, in tema di riforme, ma anche riguardo al controllo delle azioni armate: quelle contro i soldati occupanti che, secondo la convenzione di Ginevra, sarebbero nel diritto di ogni popolo occupato, come gli attentati terroristici contro i civili. Il presidente palestinese chiede il ritorno ai negoziati e il cessate il fuoco. Per ora, la risposta della controparte israeliana non ha accettato né il ritorno ai negoziati né il cessate il fuoco. Sharon preferisce ancora procedere con azioni unilaterali, al massimo abbiamo sentito alcune dichiarazioni di parziale cessazione delle uccisioni extragiudiziali e delle incursioni in alcune città palestinesi, peraltro non su tutto il territorio.

Le pressioni della Comunità internazionale devono farsi sentire, il famoso "quartetto" che aveva lanciato la Road Map, deve avere un ruolo. E quando Condoleezza Rice, che si recherà in questi giorni nel Medio Oriente, chiarirà se ha intenzione di porre o meno limiti alle azioni di Sharon si potrà capire se gli Stati Uniti vogliono recuperare un minimo di credibilità e di agire come un "honest broker" tra le parti oppure continuare ad appoggiare Sharon e la sua politica di annessione territoriale. Oltre alla frenetica costruzione del muro di annessione, condannato dalla Corte internazionale di Giustizia dell'Aja, sono molte le azioni che modificano di fatto la situazione e vanificano ogni possibilità di pace.

Un esempio è la confisca delle terre e proprietà palestinesi a Gerusalemme Est, per chi non risiede nella città, una legge che per ora è stata congelata dal procuratore generale Menachem Mazuz (il 1 febbraio), ma che il governo promette di riproporre al più presto dopo alcune modifiche formali. Si tratta della decisione del governo Sharon di implementare la legge sulla Proprietà degli Assenti, risalente al 1950, una mossa i cui contenuti erano stati resi pubblici dai media israeliani il 21 gennaio 2005.

Secondo questa legge i Palestinesi non presenti sul territorio catturato da Israele tra il 29 novembre 1947 (data della risoluzione delle Nazioni Unite sulla ripartizione del territorio) e l'1 settembre 1948 (data della fine dell'offensiva territoriale israeliana) sono considerati «assenti» e pertanto i loro possedimenti vengono «trasferiti alle autorità per la Custodia delle Proprietà degli Assenti». Questa misura permise nel passato ad Israele di appropriarsi della terra senza l'obbligo di garantire ai palestinesi un compenso per le perdite subite. E grazie a questa legge più di ventimila abitazioni palestinesi a Gerusalemme Ovest vennero espropriate in quegli anni.

Quando poi Gerusalemme Est, dopo la guerra del 1967, venne annessa unilateralmente e in violazione della legalità internazionale, l'allora generale e deputato Meir Shamgar deliberò che la legge sulla Proprietà degli Assenti non sarebbe stata applicata ai residenti della Cisgiordania possessori di terre in quella parte di Gerusalemme Est entrata a far parte dello stato di Israele. Anche il primo ministro Rabin, nel 1993, ratificò questa direttiva.

Con la costruzione del muro nella zona di Gerusalemme Est però, i proprietari di terre residenti a Betlemme e Beit Jala - cioè nella parte orientale del muro - sono stati deprivati, amministrativamente e di fatto, delle loro terre che si trovano dall'altro lato. Quando poi i palestinesi hanno chiesto il permesso di riprendere a lavorare i loro campi, che si trovano sotto la giurisdizione della municipalità di Gerusalemme, la risposta di Israele è stata che quelle terre non appartengono più a loro in quanto consegnate alle autorità per la Custodia delle Proprietà degli Assenti. Si tratta di migliaia di donum (circa un quarto di un acro) di terre confiscate, su cui per decenni i palestinesi hanno coltivato ulivi e vigneti. Lo scorso agosto 2004, le terre situate a Gerusalemme Est e appartenenti a oltre 40 famiglie residenti a Betlemme e Beit Jala sono state trasferite alle autorità per la Custodia delle Proprietà degli Assenti, lo stesso si applica alle proprietà di Palestinesi residenti in Gisgiordania o Gaza.

Fin dal 1967, subito dopo aver occupato la parte orientale della città e averla annessa e dichiarata capitale, Israele si appropriò delle terre palestinesi pubbliche e private dichiarandole aree verdi, iniziando a costruire insediamenti sulle colline attorno alla città, approvando leggi che impediscono ai Palestinesi di costruire a Gerusalemme Est. La municipalità di Gerusalemme fu poi estesa ai villaggi palestinesi attorno alla città, estendendo a queste zone le relative restrizioni. In questi anni molti sono i cittadini palestini di Gerusalemme Est che sono stati costretti per mancanza di case a spostarsi nei villaggi della Cisgiordnia. Quando questo avvenne, le autorità israeliane confiscarono le carte di identità di Gerusalemme a quanti si erano spostati, con la motivazione che non avendo più Gerusalemme come centro delle attività, non erano più da considerarsi abitanti della città. In migliaia persero la loro carta d'identità, in una operazione che l'organizzazione per i diritti umani israeliana Bet'selem chiamò «la deportazione silenziosa». Dai primi anni '90 i governi israeliani hanno proibito agli abitanti della Cisgiordania e Gaza di entrare a Gerusalemme, distruggendo in questo modo il 35% dell'economia della città. E oggi, con il muro, l'annessione netta e la separazione dei Palestinesi dalle loro terre e proprietà diventa un dato di fatto.

Un altro esempio è la "annessione" dei cittadini palestinesi di Gerusalemme Est, che finora mantenevano uno status sospeso; né cittadini israeliani né cittadini palestinesi. Il 25 gennaio è stato annunciato dal governo Israeliano che dal prossimo luglio, quando la costruzione del muro sarà completata, la popolazione palestinese di Gerusalemme avrà bisogno di un permesso speciale emesso dalle autorità israeliane per raggiungere Ramallah e le altre zone della Cisgiordania sotto il controllo dell'Autorità Nazionale Palestinese (Anp), designate, dopo Oslo, come Zona A. Questi permessi potranno essere richiesti presso i "terminal" israeliani che verranno istituiti tra Gerusalemme ed il Nord della Cisgiordania, presumibilmente simili a quelli posti all'ingresso della Cisgiordania presso il ponte King Hussein al confine con la Giordania, e presso il varco di Rafah, al confine tra Gaza e l'Egitto. Questo significa che Israele considererà tutti i palestinesi di Gerusalemme come «israeliani», anche se continueranno le discriminazioni per quanto riguarda la proprietà, il diritto a costruire o espandere case e il sistema delle imposte, che i palestinesi di Gerusalemme pagano senza ricevere servizi dalla municipalità. E già da qualche giorno le truppe di occupazione stanno impedendo a centinaia di palestinesi di Gerusalemme di attraversare il check point di Qalandia verso Ramallah e Al-Bireh. I soldati affermano di aver ricevuto ordini di impedire ai Palestinesi di Gerusalemme di attraversare il check point in automobile, e quando attraversano a piedi il check point di Qalandia vengono poi fermati al loro rientro.

Se queste decisioni, così come la costruzione del muro, non verranno fermate, di fatto il governo israeliano porterà a compimento la totale annessione del territorio e delle persone di Gerusalemme Est. Il sogno e il diritto dei palestinesi di vedere Gerusalemme capitale per due popoli e due stati, si infrange contro il muro dell'apartheid e l'inerzia e la complicità della comunità internazionale.

Ma qualcosa si muove anche in Israele, non solo i pacifisti e i refusnik. A Nirit, un villaggio israeliano nei pressi della linea verde, la popolazione sta contestando l'espansione e il collegamento al loro villaggio di Nof Asharon, una propaggine della colonia di Alfei Menasche costruita nei territori occupati a pochi chilometri dalla città palestinese di Qalqilia, ormai circondata interamente dal muro. I bambini della comunità di Nirit si sono messi davanti ai bulldozer israeliani che stavano sradicando alberi palestinesi per fare posto alla strada di connessione di Nof Asharon al loro villaggio, in cui è stato ospitato un diplomatico americano che ha espresso sostegno alla protesta degli abitanti. Il 13 febbraio gli abitanti di Nirit saranno in massa al Tribunale, dove hanno fatto istanza per chiedere la sospensione del provvedimento. Probabilmente ce la faranno.

Luisa Morgantini (Liberazione, 3 febbraio 2005)

5990