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RIFUGIATI E MIGRANTI:
QUESTIONE DI CLASSE, E NON DI RAZZA!

(21 Luglio 2019)

Editoriale del n. 79 di "Alternativa di Classe"

world refugee day

Ormai da molti anni, in riferimento agli stranieri extracomunitari che approdano in Europa, ed in particolare in Italia, è entrato nell'uso comune il termine “migranti”. E' un termine che ha generato ulteriore confusione, rispetto a quella interessatamente diffusa da molti media di destra, ma non solo, dal momento che implica volontarietà nello spostarsi. In questo senso, come se non si stesse parlando di un fenomeno epocale e di massa sul piano internazionale, ha fatto un certo scalpore, ad esempio, l'interpretazione delle relative cause, che una politicante come G. Meloni ha recentemente diffuso su alcuni “social network”, quando ha fatto rientrare nella definizione anche la figura del “migrante” che arriverebbe soltanto “perché gli va!”...
Il 20 Giugno u. s. è stata la “Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2019”, una scadenza annuale, istituita dall'ONU, in occasione della quale è stato pubblicato in tutto il mondo il Rapporto “Global Trends”, a cura dell'UNHCR, l'Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, nata il 14 Dicembre 1950, e che agisce per garantire i diritti contenuti nella “Convenzione di Ginevra” del '51, firmata da 144 Stati, a tutela dei “rifugiati”, cioè di coloro, i quali si trovano al di fuori dei confini del proprio Paese d'origine “...a causa di persecuzioni, conflitti, violenze o altre circostanze che minacciano l'ordine pubblico...”, e per i quali un rientro ne minaccerebbe l'incolumità.
In realtà, il Rapporto di UNHCR del 19 Giugno si riferisce, giustamente, a “persone in fuga” dalle proprie abitazioni, dato che le motivazioni, anche quando non si tratta di rifugiati e/o di “richiedenti asilo”, sono spesso complesse e legate a specificità delle aree di provenienza. Ma non si tratta certo mai di persone che emigrano con mire di affermazioni individuali in senso borghese, o, tanto meno, di divertimento, come qualcuno, assurdamente, vorrebbe dare ad intendere... Nel 2018 nel mondo vi è stato il più grande numero di “persone in fuga” della Storia. Si è trattato di 70,8 milioni di persone: per dare le dimensioni del fenomeno, un numero più alto di quello degli abitanti complessivi di un Paese come l'Italia!...
Va detto, innanzi tutto, che il totale di cui sopra rappresenta il doppio di quello raggiunto alla fine del XX° secolo, nel 1999, e che, rispetto al 2017, in un solo anno si è registrato un aumento di 2,3 milioni di “persone in fuga”!... Si tratta, poi, di un numero stimato per difetto, dato che tiene conto solo parzialmente della crisi venezuelana, che avrebbe provocato, secondo dati diffusi dai Paesi confinanti, in tutto circa quattro milioni di profughi. Se nel 2008 una persona su 160 era “in fuga”, ora, dieci anni dopo, lo è stato uno ogni 108! In sintesi, questi numeri vogliono dire che sulla Terra oggi addirittura ogni due secondi qualcuno è costretto a lasciare la propria casa!..
Tra le “persone in fuga” la maggioranza, spesso dimenticata nonostante il fatto che rappresenti più del 58%, è costituita dagli “sfollati interni” (41,3 milioni di cosiddetti “IDP”). Sono coloro i quali devono fuggire da dove vivono, ma quasi sempre non hanno i mezzi e/o le possibilità per potersi allontanare di più dalle persecuzioni, dalle guerre e dai loro effetti nefasti (vedi ALTERNATIVA DI CLASSE Anno VII n. 78 a pag. 4).
Il secondo gruppo più numeroso (il 36,6%) è rappresentato dai rifugiati veri e propri, quelli che, prima solo profughi, ne hanno ottenuto lo specifico “status”, e che sono 25,9 milioni di persone, mezzo milione in più rispetto all'anno precedente. Tra questi, ben 5,5 milioni, più di un quinto, sono costituiti dalla “diaspora palestinese”, cioè da quelli che sono stati cacciati dalle proprie case, “colonizzate” da Israele, e che si sono rifugiati nei Paesi del “Vicino Oriente”; per essi la falsa coscienza dell'ONU, nel 1947 “padre” dello Stato di Israele, ha costituito due anni dopo una apposita Agenzia per il Soccorso e l'Occupazione, denominata “United Nations Relief and Works Agency (UNRWA). Ciò non ha certo evitato, evidentemente, che nei Paesi arabi confinanti con Israele sia presente oggi, oltre al proletariato di origine palestinese propriamente detto, anche una, ormai forte e ricca, borghesia palestinese.
Gli altri 20,4 milioni di rifugiati si trovano, invece, nel resto del mondo, direttamente sotto il mandato della UNHCR. Tale agenzia produce “statistiche accurate e aggiornate”, in primo luogo affinché il dibattito pubblico sul tema dei rifugiati e dei “richiedenti asilo” sia fondato su dati certi, e poi per favorire “corrette politiche di asilo”. Vengono così monitorate sia le attività di protezione, i flussi, le procedure per lo status di “rifugiato” e per l'ottenimento dell'asilo, la localizzazione dei campi, e sia il genere, l'età e lo status legale dei profughi, oltre alle situazioni dei Paesi “a rischio” di persone in fuga.
Oggi il 57% dei rifugiati sotto mandato UNHCR proviene dalla Siria (ben 6,7 milioni di persone!), dall'Afghanistan (2,7 milioni) e dal Sud Sudan (2,3 milioni): tutte situazioni di crisi, in genere di guerra e/o di conflitto non spento, che hanno provocato esodi massicci di popolazione!... Aggiungendovi, infatti, anche i rifugiati provenienti da Birmania (oggi Myanmar) e Somalia, si arriva ai due terzi di tutto l'insieme.
Il quadro generale dei profughi a livello internazionale è molto diverso dagli stereotipi diffusi da xenofobi e razzisti nostrani. La maggior parte dei rifugiati sono giovani, in cerca di un qualche futuro. Ma il 53% dei giovani e la metà dell'intero insieme sono minorenni. Tra questi ben 111mila sono soli e spesso distaccati dalle proprie famiglie per i gravi eventi subiti.
Vi sono poi altri 3,5 milioni di persone nel mondo che vivono fuori del proprio Paese, e che, avendo richiesto asilo al Paese “ospitante”, ricevono una “protezione internazionale” da parte di UNHCR. Nel 2018 si è verificato un gran numero di nuove domande di asilo, soprattutto da parte di venezuelani (341800).
Vi sono, infine, in tutto il mondo dieci milioni di “apolidi”, cui viene negata formalmente ogni nazionalità, e, con essa, l'istruzione, la salute, il lavoro e la stessa possibilità di movimento. Sono “invisibili”!... Al di fuori degli ordinamenti statali, sia del Paese in cui si trovano, che di quello di provenienza. Senza diritti, salvo la condizione di “rifugiato” di fatto, cui UNHCR li assimila.
Per quanto riguarda i Paesi in cui i rifugiati trovano accoglienza, il 63% di essi è concentrato in soli dieci Paesi, e sono i Paesi più poveri ad accoglierne un terzo! I Paesi a reddito medio-basso hanno in media 5,8 rifugiati per mille abitanti, mentre i Paesi a reddito alto ne accolgono meno della metà: in media 2,7 rifugiati per mille abitanti! Per dirla con Minniti, un problema di “decoro urbano”?!
In realtà, come detto, la maggior parte delle “persone in fuga” non ha mezzi e/o possibilità di andare lontano, e circa l'80% di quelli che riescono a fuoriuscire dal proprio Paese di origine si ferma in un Paese confinante, magari ottenendo lo status di rifugiato e concentrandosi nelle città. Il Paese che ha in assoluto il maggior numero di rifugiati è, infatti, la Turchia (3,5 milioni nel 2017), e provengono, per la grande maggioranza, dalla Siria, dove una guerra “infinita” continua a fornire un numero esorbitante di “persone in fuga”.
Gli altri Paesi con più rifugiati sono il Pakistan, che accoglie circa 1,4 milioni di rifugiati, prevalentemente afghani, e l'Uganda, che ne accoglie altrettanti, provenienti in prevalenza dal Sud Sudan; lì vi sono oggi almeno 2800 bambini di età fino a 5 anni, soli o separati dalla famiglia. Circa un milione di rifugiati oggi vivono in Libano, siriani, ma non solo: è il Paese con la più alta densità di rifugiati rispetto alla propria popolazione. Quasi un milione di rifugiati anche in Iran; seguono poi, in ordine di numero di rifugiati, Etiopia, Giordania e Kenya, a riprova di quanto affermato circa il raggiungimento di un Paese confinante.
Difficilmente il migrante ottiene lo status di “rifugiato” prima di avviare la fuga dalla realtà di provenienza. Comunque, l'80% dei rifugiati rimane tale almeno per 5 anni, ed un rifugiato su cinque vi rimane per almeno 20 anni. Per essi le soluzioni possibili sono, oltre al rientro nel Paese di provenienza, una volta mutate le condizioni che hanno provocato la fuga, l'integrazione nel Paese di prima accoglienza o il reinsediamento in un Paese terzo. Nel 2018, nel mondo sono risultati 593800 i rientri, 92400 i reinsediati e solo 62600 i naturalizzati nel Paese di arrivo.
In ogni caso, complessivamente, come ha dichiarato Filippo Grandi, Alto Commissario ONU per i Rifugiati, “il numero di persone costrette alla fuga” aumenta più rapidamente di quello per i quali sono state possibili “soluzioni in loro favore”!... Risulta perciò evidente che si tratta di un fenomeno destinato ad aumentare nel tempo, cui difficilmente lo stesso ONU, che cerca sempre di mettere “delle toppe” ai disastri del capitalismo, per renderlo “digeribile” alla “opinione pubblica” mondiale, può riuscire a trovare rimedio.
Dati precisi esistono soltanto per i rifugiati, visto che esiste una normativa internazionale di cui UNHCR si occupa, mentre sui “migranti” in genere vi sono stime meno precise. Le motivazioni dei migranti sono, ovviamente, quelle dei rifugiati, con la sola aggiunta di chi si sposta “volontariamente” per motivi economici, perché quella che riesce a fare nel proprio Paese non è una vita degna di questo nome. E' per questo che, pur non essendone fisicamente costretto, il “migrante economico” si sottopone a tutti i rischi legati ai cosiddetti “viaggi della speranza”, spesso attraversando conflitti, carestie, deserti e/o mari, rischiando la vita in prima persona.
Questa dimensione, che in Europa sfugge a troppi, dipende, perciò, evidentemente, dalle condizioni, oltre che di guerra, di estrema povertà che si sono create nel mondo a causa della rapina imperialista di risorse da parte degli Stati dei Paesi “ad alto reddito”. Non è identica in ogni Paese povero, ma ad essere identiche sono le cause di fondo di uno sviluppo, che accentra sempre più la ricchezza nelle mani di pochi, togliendola alla maggior parte dell'umanità. Chi toglie ai poveri all'estero è lo stesso che toglie ai poveri nel proprio Paese: è il capitale, per perpetuare il sistema del profitto.
In tutta Europa nel 2018 sono arrivati, via mare, circa 700mila migranti (un quinto dei soli rifugiati della Turchia), provenienti principalmente da Siria (sia siriani che palestinesi), Afghanistan, Iraq ed Eritrea: sostanzialmente le stesse provenienze del resto del mondo, per le stesse cause di fondo. Con la differenza che, mentre poco importa dei migranti verso i Paesi poveri, la Banca Mondiale si è così espressa rispetto agli immigrati verso il “Nord del mondo”: “l’aumento dell’immigrazione, pari al 3% della forza-lavoro nei Paesi sviluppati tra il 2005 e il 2025, è in grado di generare un guadagno globale di circa 342 miliardi di Euro”.
Alla luce di quanto sopra, emerge che tutta la diatriba che si è sollevata in Italia e nel resto d'Europa sui migranti, oltre a rispondere a problemi di ripartizione di oneri e profitti tra gli imperialismi UE, è perfettamente strumentale agli interessi borghesi di divisione del potenziale fronte proletario, che tarda a formarsi. Al capitale europeo l'immigrazione serve per ricavare ulteriori profitti: dopo averla provocata, la sta utilizzando a tutti i livelli, sia per finanziare il settore “no profit” della assistenza e della “accoglienza”, sia per mantenere più precaria la forza-lavoro, con il ricatto del permesso di soggiorno e della “clandestinità”, sia per avere introdotto un elemento ideologico di divisione del proletariato, cui attingere anche elettoralmente.
E' sempre più necessario che i comunisti sviluppino capacità proprie di analisi, rifiutando certamente la xenofobia ed il razzismo dei sovranisti, ma senza cadere nella trappola del semplice appoggio all'umanitarismo borghese. I dati da cui bisogna partire sono quelli che riguardano il lavoro. Secondo l'OCSE, negli ultimi dieci anni gli immigrati hanno rappresentato il 70% dell'aumento dell'intera forza-lavoro in Europa. Sono fratelli di classe, con alcune specificità di condizione, di cui tenere conto.
E' per questo che sulla strage di Mercoledì 3 Luglio in Libia, quando a Tajoura più di cento persone, tra migranti e rifugiati, sono state uccise da un attacco aereo della fazione libica filo-francese di K. Haftar al locale Centro di detenzione e dalle guardie di al-Sarraj, filo-italiano e appoggiato dall'ONU, che sparavano a chi cercava scampo, non si può tacere, né ci si può accodare ad UNHCR ed alla Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), che hanno lanciato un appello alla UE ed alla Unione Africana: come a dire “chiedere aiuto al lupo per salvare l'agnello”!...
Grazie agli accordi con la UE, in Libia risultano detenuti 50mila rifugiati e 800mila migranti: più di quanti ne sono arrivati in Europa durante tutto l'anno scorso!... Il livello raggiunto dallo scontro interimperialistico in Europa, rispetto al quale non si può certo scegliere un “meno peggio”, sta utilizzando i nostri fratelli di classe come vittime sacrificali, e “carne da cannone”! E' questa la realtà, con la quale, come comunisti, dobbiamo fare i conti. E siamo già in ritardo. La prima risposta, ma non l'unica possibile, è l'unità dei proletari e la lotta di classe, qui e ora.

Alternativa di Classe

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