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(19 Febbraio 2006)
Con l'esclusione di Ferrando, Bertinotti ha manifestato l'ultimo segno, senza più ombre e ambiguità, del percorso moderato intrapreso già da anni in direzione della governabilità Ulivista e della ossesione antiberlusconiana, perfino nel proprio lunguaggio, ormai irriconoscibile e omologato con quello salottiero più innoquo, con concessioni alla poetica classista sempre più timide.
Solidarietà a Ferrando, che pure avrebbe neanche dovuto candidarsi, ammesso che il diktat Fini/Bertinottiano non fosse il suo scopo già fin dall'inizio.
Ma la visibilità mass mediatica successiva non gli ha giovato, e non ha giovato a noi, che pure continuiamo a ritenerlo credibile.
L'impastatrice televisiva è un contesto che non si addice al linguaggio della verità intensa, e Ferrando vi avrebbe dovuto rinunciare.
Dobbiamo essere diversi anche per la diversità delle tribune che scegliamo; vale a dire per la qualità dello sguardo e dell'attenzione da pretendere.
Ferrando in TV ha finito suo malgrado per dare riprova del democraticismo berlusconiano, non già di quella inappuntabile logica che lo ha reso (per nostra fortuna) impresentabile; facendogli guadagnare solo qualche minuto di poltrona e sberleffi impliciti, presto liberata in favore del nazi fascista.
Il solito gioco delle opinioni smorzate e inefficaci, dove alla fine dello spettacolo Marx e Hitler hanno goduto del medesimo spazio, e le loro Verità, prosciugate di qualsiasi vena drammatica, l'identica chance d'essere ritenute parimenti attendibili.
Giovanni Gabbriellini
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