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(23 Febbraio 2010) Enzo Apicella
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Afganistan: una lettera a Liberazione

(2 Luglio 2006)

Non riesco a comprendere le ragioni della scelta del Partito nel votare (quindi sostenere) il finanziamento per la guerra in Afganistan.

In tutti i ragionamenti di chi ha sostenuto tale scelta, ritrovo elementi fortemente contradditori, di incoerenza, ma anche una rinuncia, un abbandono dei nostri principi costitutivi e di quanto è stato affermato anche all’ultimo congresso da tutto il partito unitariamente.

L’argomento della lealtà al governo e alla maggioranza, mi sembra pretestuoso e non esiste. La guerra in Afganistan non è contemplata negli accordi di programma. Quindi i rischi della crisi se li deve assumere anche la parte moderata dell’Unione e la vita del governo non dipende solo da noi.

Il decreto del governo è inaccettabile, perché nella sostanza non rappresenta una discontinuità significativa rispetto a quello di Berlusconi. Il governo Prodi se non lavora insieme a tutti i suoi alleati e non solo di una parte sola, deve imporre una sintesi e prenderci in seria considerazione, se non vogliamo ridurci alla completa subordinazione.

Certo è stato un errore non affrontare la questione in sede di elaborazione del programma. Si sa, le scorciatoie come le bugie hanno le gambe corte.

Comunque, già in altra occasione (Conversione in legge del decreto-legge 29 aprile 1996, n.236 - Bosnia) i parlamentari del nostro Partito hanno votato sulla guerra in modo difforme dalla maggioranza di cui facevamo parte.

Poi, in certi ragionamenti mi sembra risentire (pur in altri termini) un’affermazione di Cossutta : “Tiriamo la corda, ma non spezziamola”. In quella occasione abbiamo rifiuato di perdere la nostra autonomia. Anche se in quella situazione erano in gioco problemi economici, sia pur rilevanti per il popolo italiano. Fino a consumare una dolorosa scissione.

Oggi ci troviamo di fronte alla scelta che si riferisce ai temi della guerra e della pace. A quella “pace” che perentoriamente abbiamo sostenuto “senza se e senza ma”. L’abbondanza di quei “se” e di “ma” giustificativi, non mi convincono.

Rilevo inoltre una certa incoeranza. Quando nel nostro dibattito congressuale, di fronte alle critiche emerse sui limiti dei metodi dell’elaborazione programmativa, si rispose sostanzalmente: “Non stiamo a impuntarci sulle divergenze che esistono. Prima sconfiggiamo Berlusconi poi, nella nuova e positiva condizione derivata dalla presenza dei movimenti, condizioneremo il governo”.

Non riesco a rassegnarmi a perdere un patrimonio così importante per la pace e la denocrazia. Spero che questo rischio di isolamento e di frustrazione del movimento per la pace non avvenga e che, con le forze sociali e politiche che rimarranno coerenti e con l’appello di Gino Strada, Alex Zanotelli, Luigi Ciotti e Tonio Dell'Olio, riprendano le iniziative e le manifestazioni a sostegno di politiche di pace.

Sono convinto e preoccupato, che le scelte che stiamo per compiere in questo momento non avranno solo riflessi contingenti, ma avranno ricadute pesanti sulle nostre prospettive. Se passano questi ragionamenti, questi modi di agire, rimarremo priginieri dei ricatti. L’alternativa a Berlusconi, non può essere Blair, altrimenti per noi è la fine.

Pertanto condivido la scelta ed esprimo una forte solidarietà ai senatori del nostro partito, a quelli dei Verdi e dei Comunisti Italiani, che intendono voler rispettare l’articolo 11 con fermezza e lungimirante coerenza. Inoltre mi sembra giusto respingere i furiosi attacchi nei loro confronti, che ignorano l’articolo 67: «Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato».

1° Luglio 2006

GIANCARLO BELLORIO – SAN GIOVANNI D’ASSO (SI)

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