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Un altro fondo è possibile

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(17 Settembre 2010) Enzo Apicella
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    Crisi del Manifesto, crisi della sinistra, crisi della politica

    (7 Agosto 2006)

    Non sarà facile, per le poche righe che seguiranno, trovare ospitalità sulle colonne del giornale cui sono destinate: l'approccio generale all'ennesima crisi del “Manifesto” appare davvero troppo “buonista”, ed in rari interventi si vede toccare il nocciolo politico.

    Eppure ci provo lo stesso: come mi è capitato spesso nel corso dei decenni trascorsi.

    Ecco: la crisi del Manifesto è certo frutto delle difficoltà economiche, editoriali, di collettivo (tanti, troppi, se ne sono andati), ma è soprattutto il portato di una crisi verticale dell'agire politico che il giornale, a mio modestissimo giudizio, non è stato in grado di intercettare.

    Vedete: alcuni compagni scrivono che il Manifesto non fa più sognare la rivoluzione, non è più espressione di una utopia, vi si leggono cose che si possono leggere dappertutto, perfino sul Washington Post.

    Non è così, non è propriamente così: il Manifesto è andato in difficoltà quando non ha saputo più esprimere una linea politica propria, in grado di interagire, connettersi, confrontarsi con le diverse linee politiche espresse dai soggetti della sinistra italiana ed internazionale.

    Il Manifesto si è adeguato: prima di tutto a certe logiche di mercato (non nella promozione del prodotto, ma nella qualità dei suoi contenuti) e, successivamente, alla crociata dell'antiberlusconismo che nascondeva, invece e tragicamente, la svolta “governista” e di adeguamento ai meccanismi della riduzione nel rapporto tra politica e società che sta travolgendo quella che si autodefinisce “sinistra radicale”, in primis Rifondazione Comunista.

    Il Manifesto si è sostanzialmente adeguato, non tanto perché si è schierato al fianco di questa svolta “governista” dal punto di vista politico – editoriale (spiace dirlo, spiace davvero: ma certe cose affermate in questi giorni da antichi compagni di lotta come Russo Spena o Menapace, andavano analizzate e contrastate a fondo), ma perché non ha più offerto un confronto teorico vero, una lettura alternativa della società (anche in questo caso appare forte l'appiattimento su di una logica perversa del movimentismo), non ha saputo tenere i confini di una radicalità alternativa attorno ai contenuti concreti e di una concezione dell'agire politico, non appiattito sulla “governabilità”, la “personalizzazione”, la trasformazione della soggettività politica nel senso del “pigliatutti e pigliatutto”.

    Questa rinuncia a fare teoria, questo adeguamento all'esistente, all'ovvio, al banale del governo, ha pesato moltissimo sul panorama politico della sinistra italiana. La chiusura della “Rivista” ha rappresentato un momento davvero emblematico nell'espressione di questa difficoltà.

    Mi si dirà, ma dal Governo si possono condizionare molte cose, e si possono fare alcuni esempi, come quello relativo all'immigrazione o alla ricerca scientifica (non certo alle liberalizzazioni, o alla politica economica o a quella estera): il punto, però, non è condizionare, ma esprimere un compiuto punto di vista alternativo.

    Senza contare, inoltre, la vera e propria tragedia rappresentata dalla presenza della “Sinistra Radicale” negli assessorati periferici, nelle varie giunte locali: un meccanismo di vero e proprio corrompimento nell'agire politico.

    In nome del “tutti uniti contro la destra” il Manifesto ha perso molto della sua funzione critica, della sua originaria funzione critica, quella che consentì al gruppo politico originario di disporre delle armi teoriche e politiche per rappresentare l'unico punto di dissenso alle espressioni politiche del comunismo in Occidente, senza cadere nel movimentismo e senza scivolare a destra, in un radicalismo senza principi.

    Esiste, ed è vasta e composita, un'area di “Sinistra non governativa”, l'autunno ci regalerà sussulti e fibrillazioni: potrà il Manifesto tornare ad essere riferimento di quell'area, lavorare per una sua soggettiva riaggregazione, fare in modo che le sue pagine politiche possano essere non solo lette ma usate, senza costringerci a rifugiarci in quelle culturali?

    So di essere stato duro, eccessivamente duro: ma sono cose che sento e vedo, anche attorno ad una domanda che sale da molte parti d'Italia.

    Domando: ci sarà spazio, sulle colonne del Manifesto, per spiegare le ragioni, presentare progetti, traguardare il futuro per una Sinistra non racchiusa nella governabilità, negli stucchi dorati, nella spartizione delle poltrone.? Spazio per una sinistra che ha voglia, necessità, esigenza di opposizione, tenendo assieme comunisti di varie eresie, socialdemocratici di sinistra, radicali conseguenti.

    Colgo l'occasione per invitare il direttore Gabriele Polo a Savona, dove abbiamo formato un gruppo di “ A Sinistra” che si sta misurando, sia sul piano locale, sia sul terreno generale, con queste difficili problematiche.

    Sarà una serata dove la solidarietà tangibile al Manifesto non si identificherà con il “buonismo” imperante, ma con una dibattito serio su “Spazi e luoghi a sinistra del centrosinistra”.

    Avremmo pensato ad una data simbolica quella dell'11 Settembre: speriamo che il nostro invito sarà accolto.

    Quindi: appuntamento a quella data e grazie.

    Savona, li 6 Agosto 2006

    Franco Astengo

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    Commenti (2)

    oltre all'analisi condotta fin qui sul tipo di linea editoriale

    oltre all'analisi condotta fin qui sul tipo di linea editoriale aggiungerei che le foto in prima pagina (spesso molto belle) appartengono quasi tutte a multinazionali dell'informazione come AP, reuters,ecc.
    Predichiamo così così e razzoliamo peggio....
    Ah dimenticavo gli articoli....a parte qualche eccezione più che pregievola...ma x favore!Analisi superficiali condotte da qualche ragazzoto da centro sociale, le idee più nuove risalgono agli anni settanta (quando si possono definire idee!).

    (7 Agosto 2006)

    f.massellani@libero.it

    Lavoro al manifesto da molto, troppo tempo. Da queste parti, le lettere di
    Franco Astengo al giornale sono un'istituzione.

    si è parlato di questo articolo sulla mailling list di neurogreen............

    Lavoro al manifesto da molto, troppo tempo. Da queste parti, le lettere di Franco Astengo al giornale sono un'istituzione. Per molti, troppi anni ha scritto quasi tutte le settimane su argomenti diversissimi, spesso raccontando di iniziative locali che il giornale ignorava, ma che erano esemplificative della tonalità emotiva e politica di una parte della sinistra ex-extraparlamentare. Rispetto al testo che è stato postato posso dire che, appunto, è esemplificativo di un certa disillusione di chi ha scelto di non battersi affinché la sinistra tutta (da d'alema a Bertinotti) scegliesse come collante la cacciata di berlusconi.

    Cosa ha fatto il manifesto durante le elezioni? Si è accodato al mainstream antiberlusconiano, chiudendo gli occhi su tutto quello che non andava in quella coalizione elettorale. Devo dire che la successiva formazione del governo Prodi e la retorica sul governo amico è oggetto di discussione continua, perché ci troviamo di fronte a un dilemma che forse solo un Brecht riuscirebbe a mettere in scena. Da una parte l'incubo del cavaliere nero; dall'altra la constatazione di un'assoluta continuità di Prodi con il trascorso governo di centro destra.

    Che fare?

    Nominare il problema non significa però risolverlo. E il manifesto è paralizzato da questo dilemma. Basta vedere la discussione sul reddito e anche l'affaire Afghanistan. Sul reddito ho già detto, mentre sul rinnovo della missione di guerra il giornale ha appoggiato tutte le iniziative - di movimento e istituzionali - di dissenso, ma quando si è trovato di fronte al voto si è azzittito: il ricatto sulla fragilità del governo ha funzionato anche per la maggioranza di quelli che lavorano a Via Tomacelli.

    Io continuo a ritenere che l'unica strada percorribile sia quella certo tortosa, ma tuttavia necessaria che si allontana dalla cultura politica del movimento operaio, cercando nel frattempo di non gettare in un fosso ciò che di positivo è riuscito a strappare il conflitto di classe novecentesco. Da questo punto di vista serve flessibilità teorica, politica e organizzativa. Io ad esempio penso che il vecchio Marx serve ancora, così come alcune cose scritte e teorizzate dal tartaro col pizzetto. Ma questo non significa che sono nostalgico del "socialismo reale" che abbiamo conosciuto, sia nella sua variante sovietica (o cinese) che in quella socialdemocratica. Semmai se c'è da volgere lo sguardo al Novecento, bisognerebbe andare a vedere cosa hanno detto e fatto le minoranze comuniste e anarcocomuniste, dai consiliaristi agli Iww, da Pannocoek a Panzieri, da Ernst Bloch a Karl Korsch, dal Lukacs di "Storia e coscienza di classe" alla "Parigi capitale del xx secolo" di Walter Benjamin.

    Per il presente credo che occorra volgere lo sguardo e l'interesse verso altri luoghi, gruppi, attitudini che esprimono una critica spesso radicale sul presente, ma non sempre riuscendo a tradurre tale radicalità a potenza politica, nonostante siano - raramente, ma talvolta è accaduto: vedi i noglobal - ha conquistare un consenso inimmaginabile.

    Un saluto
    Benedetto

    [][][][]][
    NEUROGREEN
    ecologie sociali, strategie radicali
    negli anni zerozero della catastrofe
    http://liste.rekombinant.org/wws/subrequest/neurogreen
    http://www.neurogreen.org/d=

    (8 Agosto 2006)

    ZZZ

    target@autistici.org

    5931