">
Posizione: Home > Archivio notizie > Imperialismo e guerra (Visualizza la Mappa del sito )
(11 Agosto 2006)
Conversazione con Mùsà AL HUSAYIVÌ, direttore di Sawt al-Haqq con una presentazione di Marco HAMAM (da Limes n.6/2005 “LOST IN IRAQ” - con una presentazione a cura della rivista Limes)
Si chiama SAWT AL-HAQQ (LA VOCE DELLA Verità) la prima rivista della resistenza irachena. Il primo numero è stato distribuito a Baghdad e nelle altre grandi città irachene il 31 ottobre scorso. Sawt al-Haqq viene pubblicato dal Fronte nazionale per la liberazione dell'Iraq, uno dei raggruppamenti politico-militari della resistenza. Secondo quanto riportato dal quotidiano al-Quds al-Arabi (1), con sede a Londra, la rivista è stata distribuita oltre che a Baghdad e nelle regioni orientali e settentrionali del paese anche in molte città del Sud come Nasiriyya, Samàwa, Hidr, Hilla. La rivista è stata distribuita più o meno clandestinamente e, per la metà delle copie stampate, in strada: alcuni volontari si sono improvvisati giornalai ambulanti e hanno venduto ogni copia a 250 dinar, lo stesso prezzo degli altri quotidiani, malgrado alcuni acquirenti abbiano pagato, in spirito di solidarietà, anche 2 mila dinar a copia. In base ad alcuni comunicati successivi alla distribuzione del primo numero diffusi dal Fronte, questa distribuzione piuttosto capillare a Baghdad è dovuta al fatto che la maggior parte delle strade fuori dalla Zona verde è in mano alla resistenza. L'altra metà delle copie è stata distribuita tra i partiti interni al Fronte, ad istituzioni straniere e ad agenzie di stampa.
La rivista consta di otto pagine. La prima pagina è titolata: “La resistenza irachena, l'unico lecito rappresentante del popolo iracheno”. Nell'editoriale di apertura “Un Iraq libero. (...) Haqq (acronimo per al-Hurriyya lil-`Iraq, Iraq libero, n.d.r.)”, a firma della leadership del fronte, si legge: «L'idea di far nascere questa rivista è un'espressione chiara, sincera, forte e precisa delle due principali esigenze nutrite dal nostro popolo e dal nostro amato Iraq. - a) far dialogare i cittadini e le forze politiche tra loro; ( .. ) b) collaborare alla realizzazione delle visioni condivise soprattutto per ciò che riguarda la «resistenza dell'occupante», la difesa delle libertà e dei diritti umani e in generale tutto ciò che apporta del bene e una vita libera e dignitosa per la nostra nazione e il nostro glorioso popolo. La missione principale della rivista è proprio quella di fornire tutto ciò che può servire a far riuscire il dialogo tra intellettuali, combattenti e opinione pubblica».
Il primo numero della rivista contiene oltre ad articoli di commento sulla realtà irachena - come “Perché rifiutiamo la costituzione”, “la tecnologia anglo- americana in Iraq” o “Il ruolo delle donne irachene nel progetto di liberazione nazionale” - anche resoconti delle battaglie che si sono svolte negli ultimi tempi tra formazioni della resistenza ed esercito di occupazione oltre a storie, corredate di foto, di alcune com battenti donne morte durante l'invasione dell'Iraq (ultima pagina). Un'intera pagina (pagina 4) è dedicata ai problemi della regione dell’ Ahwàz, territorio iraniano a forte impronta araba, evidentemente un argomento ritenuto sensibile per gli arabi iracheni.
Limes ha svolto un'intervista con il direttore di Sawt al-Haqq, il professor Músà al- Husayni, sulla resistenza e sugli obiettivi della rivista. Inoltre pubblica una breve antologia del materiale apparso sulla rivista.
INTERVISTA
LIMES Che cos'è il Fronte nazionale per la liberazione dell'Iraq?
AL HUSAYIVÌ Per spiegarlo devo fare un breve excursus. Dopo l'aggressione e l'inizio dell'occupazione militare sono apparsi due gruppi o fronti che si opponevano all'occupazione chiamati con lo stesso nome: Fronte nazionale per la liberazione dell'Iraq. Uno di questi due fronti raggruppava nel suo seno nove fazioni della resistenza, sparse in nove diverse città irachene, che utilizzavano la lotta armata come metodo di scontro con l'occupazione. L'altro fronte comprendeva gruppi politici come il Partito panarabo democratico, l'Alleanza nazionale irachena, il Movimento socialista, il Raggruppamento libero dei musulmani ed organizzazioni a sfondo sociale come l'Unione generale delle donne irachene e l'Unione progressista degli studenti iracheni, tutte organizzazioni che si opponevano all'occupazione ma che si basavano sull'azione politica. Segretario generale di questo fronte fu eletto il noto presidente dell'Unione nazionale irachena, Abd al-Gabbàr al Kubaysi, poi arrestato dagli occupanti nel settembre del 2004. All'inizio del 2005 tra i due fronti (uno militare e l'altro politico) sono cominciati colloqui e consulta zioni e si è giunti alla conclusione che i raggruppamenti condividevano gli stessi obiettivi malgrado il differente modus operandi. Per cui si decise di fondere i due fronti in un uno solo che non cambiasse nome e che fosse simboleggiato dalla sigla «Haqq», acronimo che sta per al Hurriyya lil-`Iràq (Libertà all'Iraq) dove la Ha' è la prima lettera di libertà e la Qàf l’ultima lettera di Iraq.
L'unificazione dei due fronti è stata annunciata ufficialmente con un comunicato diffuso a diversi quotidiani arabi, alcuni dei quali, come al-Quds al'Arabi (con sede a Londra, n.d.t.), il libanese al-Safire 1'emiratino al-Bayàn, l'hanno pubblicato. In questo comunicato si parlava dei metodi utilizzabili per realizzare l'obiettivo principale della resistenza, e cioè la liberazione dell'Iraq, la cancellazione di tutte le leggi, provvedimenti e modifiche amministrative promosse dagli occupanti, la costruzione di un Iraq democratico che lasci al popolo, dopo una fase transitoria non superiore ai due anni, la libertà di scegliere il proprio modello di governo senza ingerenze straniere, con particolare attenzione al ruolo panarabo dell'Iraq.
LIMES Da quali forze è composto il Fronte? I baatisti ne fanno parte?
AL HUSAYIVÌ Il Fronte include forze di diverse correnti politiche nelle quali spicca l'o rientamento panarabo. A queste vanno aggiunti gruppi del disciolto esercito iracheno e gruppi islamici non estremisti.
Sì, esistono importanti personalità del Ba`t iracheno che partecipano al raggruppamento militare del Fronte. Parlando di baatisti, intendo chiarire qui che del milione e mezzo e più di membri del Ba't prima dell'occupazione non tutti credevano ai princìpi e alla filosofia del partito. C'era, infatti, chi stava nel partito per una semplice questione di convenienza, perché poteva portargli qualche vantaggio pratico. Con l'arrivo degli occupanti questi opportunisti si sono divisi in due filoni: alcuni baatisti hanno cambiato pelle e sono entrati a far parte dei partiti pro occupazione, soprattutto dell'organizzazione di Iyyàd `Allàwy, mentre altri sono fuggiti o si sono ritirati con i soldi messi da parte, per vivere in qualche posto lontano del mondo. Al contrario moltissimi dei veri baatisti, quelli impegnati seriamente, i veri fautori della filosofia del Ba`t, oggi prendono parte alla resistenza armata. Il Fronte è orgoglioso di questi combattenti nazionalisti, pronti a sacrificare la propria vita in difesa della libertà e dell'indipendenza del proprio paese. È vero, esiste una campagna diffamatoria nei confronti del Ba`t e credo che con essa si voglia, in modo indiretto, diffamare l'immagine araba dell'Iraq. Ma sono innegabili la storia e le battaglie portate avanti negli anni da questo partito, che ha contribuito sensibilmente a ren dere più profonda la coscienza panaraba degli iracheni. E malgrado io non sia stato un baatista (ero un nasseriano) e anzi sia stato addirittura arrestato, perseguitato e condannato a morte in contumacia dal partito (insieme a molti altri miei compagni) sono certo che sia arrivata l'ora di una pacificazione, di dimenticare le nostre divergenze e di unirci con i veri baatisti per affrontare l'occupazione.
LIMES Cosa ne pensa dei jihadisti che combattono in Iraq e in particolar modo di alZarqàwi?
AL HUSAYIVÌ Se per jihadisti intendiamo jihadisti iracheni, essi hanno specificato più volte di non avere niente a che fare con gli attentati contro i civili. Nel nuovo numero di Sawt al-Haqq pubblicheremo un comunicato congiunto tra le fazioni jihadiste e il nostro Fronte - le prime sono indipendenti dal secondo - che dimostra come i mujahidin prendano di mira, oltre agli occupanti, tutti i collaborazionisti di qualunque credo islamico siano (smentendo così l'ostilità verso gli sciiti), in particolare gli appartenenti alla cosiddetta polizia e al cosiddetto esercito iracheno. Si legge nel comunicato che una sola volta si è reso necessario colpire una panetteria ad al-Kàzimiyya, causando vittime civili, perché una fazione islamica della resistenza aveva scoperto, in maniera inequivocabile, che essa era una importante base dei servizi segreti iraniani. La panetteria, inoltre, vendeva del pane truccato che causava sterilità in tutti gli iracheni che ne mangiavano.
Quanto ai mujahidin non iracheni, essi sono presenti in numero molto limitato e viene loro attribuito un ruolo esagerato. Ciò è parte di una vecchia attitudine del colonialismo e in generale delle intelligence, secondo la quale l'opposizione agli occupanti viene attribuita a forze esterne. L'autorità di occupazione statunitense vuole, attraverso 1'ingigantimento del ruolo dei mujàhidin arabi, ingannare parte della propria opinione pubblica mostrando gli iracheni proni all'occupazione.
I mujàhidin arabi, secondo stime statunitensi, non superano il 5% dei combattenti e credo che anche tale percentuale sia volutamente gonfiata. Personalmente ritengo che non superino il 2-3% del totale. Seguendo la trasmissione al-Irhàb ft qabdat al-`addla (Il terrorismo nel pugno della giustizia), trasmessa dal canale al-`Iràqiyya, si apprende, ad esempio, che la maggior parte dei mujàhidin arabi interrogati (e non sto qui a discutere la veridicità di questi dubbi interrogatori) sono arrivati in Iraq per motivi personali senza appartenere a nessun gruppo organizzato. D'altronde è normale che si ritrovino nel popolo arabo sentimenti di solidarietà che spingono all'azione volontaria molte persone. È accaduto anche a migliaia di iracheni - e io sono fra quelli - che hanno combattuto in Palestina, ad esempio.
I gruppi organizzati islamici che arrivano in Iraq sono ancor meno dei mujàhidin «indipendenti». Con tutta franchezza, di quei combattenti, di cui viene spesso detto appartengano ad al-Qà'ida, non è stato arrestato nessuno. Sentiamo, invece, con frequenza dell'arresto di presunti ”luogotenenti” di al-Zarqàwi senza che si pubblichino i loro nomi o che vengano mostrati in tv. Al contrario vengono trasmessi sugli schermi delle nuove emittenti i volti di sempliciotti venuti in Iraq sulla spinta dei loro sentimenti panarabi oppure anche criminali e farabutti di ogni genere che vengono presentati come membri della resistenza. Finora non s'è mai visto in tv nemmeno un braccio destro di al-Zarqàwi nonostante i 17 annunci di presunti arresti.
E arrivo ad al- Zarqàwi. Non ho mai creduto a questo personaggio perché le operazioni della resistenza hanno bisogno di tre fattori fondamentali che mancano al giordano: a) una quantità di partigiani non minore di 1.000-1.500 uomini pronti al massimo sacrificio; b) in ogni città la presenza di un numero di nascondigli segreti non inferiore a sette oltre ai quartieri generali dove riunirsi, a cui vanno aggiunte delle basi dove addestrarsi (all'uso delle armi o alla fabbricazione di autobomba); c) per alcune questioni tecniche è richiesto del denaro che aumenta se bisogna comprare automobili usate (che più spesso vengono rubate).
Al- Zarqàwi, che non è iracheno, avrebbe bisogno di un'ampia rete di amicizie per poter soddisfare le tre condizioni testé considerate. Non è uno del posto e la gente non l'ha conosciuto se non attraverso la propaganda statunitense. Francamente, come iracheno, non posso credere che all'improvviso quest'uomo si sia dotato di capacità illimitate. Ho ritenuto a lungo - e l'ho scritto nel mio libro La resistenza irachena e il terrorismo di risposta statunitense - che al-Zarqàwi fosse soltanto una sigla attraverso cui venivano realizzati gli attentati che facilitavano il prosieguo dell'occupazione. Senonché la riunione congiunta tra il Fronte e le varie fazioni islamiche della resistenza, a cui accennavo prima, ha aggiunto nuovi elementi. Essa dimostrerebbe come al-Zarqàwi sarebbe stato allontanato dall'Iraq molto prima che iniziassero a propagandare le sue presunte operazioni. Al punto 5 del comunicato si legge infatti: “I1 fratello Abú Mus'ab al-Zarqàwi è un mujàhid della cui presenza tra le file del movimento islamico andiamo fieri, ma dobbiamo dire che egli non ha mai assunto alcun ruolo di comando nelle nostre organizzazioni in Iraq. È un mujàhid ligio ai dettami della sua religione ma non possiede le capacità per compiere le operazioni che gli vengono attribuite, tanto più senza neanche con sultarci. Possiamo dire dunque che egli non ne è il responsabile. L'abbiamo fatto uscire dall'Iraq da lungo tempo e non era già presente nel paese quando gli sono stati imputati molti presunti attentati terroristici. L'uso del suo nome e l'attribuzione a lui di attentati terroristici rappresentano un gioco della Cia”.
LIMES C'è in Iraq, e in particolare fra i baatisti, chi crede ancora al ripristino dello status quo ante, addirittura al ritorno di Saddam Hussein come presidente della Repubblica irachena?
AL HUSAYIVÌ Sì, ci sono molti baatisti che ci credono. Anzi, addirittura, non baatisti vorrebbero un ripristino dello status quo ante perché ritengono che Saddam Hussein sia l'unico in grado di regolare i conti con i gruppi di collaborazionisti entrati in Iraq con l'esercito statunitense. Anche tra i resistenti è riscontrabile la diffusione di questo atteggiamento, ma in una percentuale inferiore. Il motivo alla base di quest'orientamento sta nel fatto che gli iracheni, in generale, si sono resi conto, assistendo ai crimini dell'occupazione, che in confronto ciò che è successo al tempo del regime è niente. Quindi posso dire che il ritorno al passato è una speranza presente anche tra molti civili. Basta considerare che il numero di morti delle cosiddette fosse comuni del regime non raggiunge nemmeno quello degli iracheni uccisi dall'occupazione nella sola città di Falluja.
LIMES I curdi sono presenti nel Fronte?
AL-HUSAYNÌ Al Fronte partecipa anche un esiguo numero di curdi, perché i curdi che si oppongono all'occupazione hanno una loro propria organizzazione. Il movimento Ansàr al-Islàm, composto da combattenti ritornati dall'Afghanistan, prima dell'occupazione aveva basi militari nella zona curda facente capo a Talabani. Queste basi, come si sa, sono state bombardate e distrutte dall'occupazione nella seconda settimana di guerra. Molti dei membri del movimento sono stati uccisi mentre i sopravvissuti si sono nascosti un po' in tutta la zona curda. Ecco, gli appartenenti ad Ansàr al-Islam ancora in vita sono quasi tutti curdi (tranne che per una piccola porzione composta dai cosiddetti «arabi afghani») e si oppongono all'occupazione.
LIMES Chi finanzia il Fronte?
AL HUSAYIVÌ Il Fronte non ha mai ricevuto un centesimo né da organizzazioni locali né estere. È nato sulle capacità e sull'esperienza locali e non ha legami con l'estero. Economicamente si basa totalmente sulle donazioni volontarie dei suoi membri, ognuno secondo le proprie possibilità. Non abbiamo bisogno di molti soldi, questo voglio dirvelo. Nessuno di noi fa quello che fa - sia politicamente che militarmente - in cambio di uno stipendio. Tutti svolgono il proprio ruolo con estrema sincerità in quanto dovere nazionale, senza aspettarsi ricompense.
LIMES A quale Iraq aspira il Fronte?
AL HUSAYIVÌ Il Fronte mira prima di tutto alla liberazione, poi a fondare un Iraq libero, democratico, in cui al popolo iracheno venga lasciata la possibilità di scegliere. Un Iraq arabo, che torni ad occuparsi delle questioni arabe.
LIMES Come agisce l'ufficio politico del Fronte? Perché non entra nell'azione politica promossa dagli occupanti?
AL HUSAYIVÌ È difficile parlare degli strumenti con cui lavora l'ufficio politico. L'esperienza di `Abd al-Gabbàr al- Kubaysi ha dimostrato ancora una volta le menzogne dell'occupazione. Al- Kubaysi non ha mai preso un'arma in mano e non ha mai partecipato ad un'operazione militare. Ciò malgrado è da più di un anno in galera e noi non sappiamo niente della sua sorte.
Posso dire comunque che tutti in Iraq sono convinti che non si possa respingere un'occupazione arrivata con la forza se non con una resistenza forte. È come un'operazione commerciale che si basa sul guadagno e sulle perdite: più sono grandi le perdite degli occupanti più è rapida la loro dipartita. Se invece i guadagni superano le perdite, resteranno per sempre. D'altronde la storia non è mai stata testimone di occupazioni finite di loro spontanea volontà o per vie politiche. Quindi appare chiaro che l'ala politica del movimento serve a sostenere quella militare. Almeno finché gli occupanti non andranno via l'ala militare ha maggiore importanza.
Sulla seconda parte della domanda, riguardo all'”azione politica promossa dagli occupantì”. Io vi chiedo: gli occupanti possono, secondo voi, incoraggiare un processo politico che abbrevi la loro presenza o ché non serva i loro obiettivi, quelli annunciati e quelli meno? Noi rifiutiamo non solo l'occupazione ma anche tutto ciò che ne consegue sotto il profilo politico, amministrativo, economico o sociale. Anche quella che chiamano «azione politica». Vorrei che lei facesse attenzione a questo punto: noi non divergiamo con gli occupanti su chi debba governare o su come debba farlo, ma sulle radici stesse di questo status quo momentaneo. Noi vogliamo proteggere l'interesse nazionale iracheno, l'indipendenza, l'unità territoriale, la sovranità popolare nello Stato. L'attuale processo politico in corso rappresen ta, in diritto, un alto tradimento dell'interesse nazionale.
LIMES A questo proposito: come vede il Fronte il fatto che i sunniti abbiano deciso di votare nelle elezioni di dicembre? È l'avvio di un confronto politico con gli occupanti?
AL HUSAYIVÌ Queste denominazioni, sunniti o sciiti, non mi convincono. Gli iracheni si dividono, molto semplicemente, tra sostenitori e detrattori dell'occupazione. Tra questi due raggruppamenti ci sono sciiti, sunniti, cristiani e membri di altre religioni, senza che la loro appartenenza religiosa - o anche etnica - influisca sulle loro posizioni politiche. È chiaro che non tutti gli iracheni riescono a resistere nel complesso e spinoso cammino della liberazione nazionale. Ripeto comunque che l'azione politica in corso serve gli interessi degli occupanti e ne prolunga la vita.
LIMES Perché Sawt al-Haqq?
AL HUSAYIVÌ L'obiettivo primario della rivista è diffondere la cultura della resistenza. Se si rilegge il Che fare? scritto da Lenin nel 1902 si capirà l'importanza che hanno le riviste nel creare le linee guida dell'azione.
Si consideri poi la pessima situazione dell'elettricità in Iraq per cui tanti cittadini, per tenersi informati, non riescono a guardare spesso nemmeno un telegiornale o, quei pochi che ce l'hanno, a utilizzare Internet.
Inoltre i mass media iracheni oggi sono totalmente dominati dagli occupanti, che cercano di discreditare la resistenza. Ed ecco che uno degli scopi della rivista diventa proprio rispondere a questa campagna diffamatoria. Sappiamo bene che alcune operazioni terroristiche contro i civili sono compiute dagli occupanti e dai loro vassalli e vengono da questi ultimi attribuite alla resistenza per distorcerne l'immagine o per dare alla resistenza stessa un «colorito» etnico così da racchiuderla e circondarla in aree particolari dell'Iraq.
LIMES Chi scrive su Sawt al-Haqq?
AL HUSAYIVÌ La rivista dipende in tutto e per tutto dal Fronte. È stata creata una commissione apposita all'interno del Fronte che si occupa di redigere gli articoli. Dal prossimo numero, il secondo, destineremo una pagina intera delle otto che compongono il giornale alla raccolta di articoli di scrittori della resistenza, esterni al movimento, apparsi su Internet o scritti appositamente per noi.
LIMES Il giornale ha una sua linea o accoglie più orientamenti politici? Solo iracheni o anche non iracheni?
AL HUSAYIVÌ Non siamo allergici ad alcuna ideologia che serva l'obiettivo primo della resistenza: la liberazione e l'indipendenza. Posso dire, però, che tutti i partecipanti al Fronte aderiscono ad una filosofia panaraba. Ciò non significa mettere da parte gli islamici, perché la cultura islamica è un pilastro dell'identità araba, un fatto questo ammesso anche dai tanti nazionalisti arabi di religione cristiana come Butrus al-Bustàni, Ibràhim al-Yàzigi fino a Michel `Aflaq. Oltre ai nasseriani panarabi e agli islamici, tra di noi ci sono marxisti o laici ma tutti concordiamo sugli obiettivi primari.
LIMES Chi legge Sawt al-Haqq?
AL HUSAYIVÌ Per giungere alla fase di «resistente» il cittadino deve arrivare ad un alto grado di coscienza patriottica, che lo rende pronto ad immolare la sua vita per salvare quella degli altri e per difendere gli interessi nazionali. La rivista non è rivolta al resistente. Siamo noi ad imparare da lui, non lui da noi. Tutto quello che facciamo è cercare di riflettere la sua esperienza e suo pensiero. La sezione dedicata al resistente è intesa a portargli il sostegno popolare e degli intellettuali. Il giornale è rivolto al normale cittadino stritolato dalla macchina mediatica americana o a quel cittadino che rifiuta l'occupazione con ogni forza ma è lontano dall'azione della resistenza. Per questo miriamo ai lettori fuori dalla resistenza.
In generale sono contento di quello che siamo riusciti a fare con il primo numero. Ho notizie da Bassora e da Madinat al-Sadr secondo cui alcune copie sono arrivate fin lì tant'è che, per paura di essere seguita dalle spie dei nemici, la gente ha evitato di andare a fotocopiare la rivista. Ma alcuni ragazzi volontari hanno copiato a penna qualche articolo e qualche comunicato e li hanno distribuiti in giro.
Il primo numero è stato distribuito a Baghdad e in tutte le città dell'alto Eufrate, da Abú Greb ad al-Qà'im. Poi in tutte le città a nord di Baghdad fino a Mosul. Alcune copie sono arrivate nelle città meridionali come Hilla, Samàwa, Hidr, Nàsirivya e Bassora. Miriamo a migliorare la distribuzione nel Sud.
È naturale che, rischiando la repressione in quanto facenti parte della Resistenza, dobbiamo mettere a frutto la nostra esperienza fino a divenire dei fantasmi che appaiono e scompaiono in un dato luogo. Perciò non c'è un posto fisso né per la stampa, né per lo stoccaggio, né per la distribuzione.
LIMES Qual è la posizione di Sawt al- ,Haqq rispetto agli statunitensi, agli inglesi e agli italiani?
AL HUSAYIVÌ Io rispondo con una domanda: quale sarebbe la posizione di una rivista seria come Limes se, ad esempio, capovolgendo la realtà, l'Iraq occupasse militarmente una regione italiana? Per noi tutte le truppe presenti sul territorio iracheno sono occupanti e formano un'alleanza militare contraria agli interessi nazionali iracheni. Voglio sottolineare che gli iracheni e gli arabi sono da sempre legati cultu ralmente al popolo britannico e italiano, popoli di grande civiltà. Quindi l'ostilità a queste truppe non significa affatto ostilità ai popoli, che anzi riteniamo vicini culturalmente. Inoltre gli iracheni non possono dimenticare la posizione assunta contro la guerra da italiani, britannici e statunitensi ed espressa dai milioni di manifestanti scesi in piazza a Roma, Londra e Washington.
LIMES Qual è la sua posizione nei confronti dell'attuale governo iracheno e del suo esercito?
AL HUSAYIVÌ Per noi questo governo non è un governo iracheno. Sono semplici volti locali che applicano alla lettera quello che viene dettato loro dalle forze di occupazione. Si consideri ad esempio chi ha creato ed imposto quella che chiamano costituzione. I doveri e la missione a cui i tre governi iracheni succedutisi nel tempo hanno dovuto assolvere sono stati fissati dall'occupazione. Nessun ministro ha la facoltà di proporre una visione o solo un punto di vista in contrasto con gli interessi degli occupanti. Deve semplicemente eseguire gli ordini di altri.
Stessa cosa per quanto riguarda quello che lei chiama esercito. In realtà, non si tratta di un esercito nel senso proprio del termine ma di un gruppo di mercenari costretti dalle esigenze ad entrare in unità militari che non hanno il ruolo classico dell'esercito, cioè difendere l'incolumità e gli interessi del paese, ma quello di servire gli interessi di stranieri. Chiamiamole «milizie» di mercenari che appartengono all'occupazione, la quale se ne serve per coprire le proprie malefatte contro gli iracheni. Il vero esercito iracheno è quello che è stato sciolto. Tantissimi ufficiali, alti gradi o semplici soldati di quell'esercito - quello sì un esercito - continuano a svolgere il proprio ruolo resistendo all'occupazione.
In sintesi il governo e le formazioni di mercenari non sono altro che il risultato dell'occupazione e scompariranno alla dipartita degli occupanti. Tra l'altro questi «ministri» lo sanno bene e stanno già preparando la fuga. Hanno lasciato le loro famiglie all'estero e sono attivissimi nel trafugare quanti più soldi possibili nel più lontano posto possibile in preparazione per il momento che verrà. Non voglia Iddio che si trovino in Iraq al momento dell'instaurazione di un governo nazionale, perché li aspetta la più classica delle accuse in questi casi, uguale in tutte le lingue e in tutte le culture: alto tradimento.
LIMES Quante sono le formazioni militari della resistenza? Può segnalarcene qualcuna? Come avviene il coordinamento?
AL HUSAYIVÌ Francamente non so rispondere perché queste informazioni non le conosce se non un numero esiguo di persone, per questioni di sicurezza. In generale posso dire che ogni città ha almeno una formazione militare e che unanimemente crediamo che non sia saggio unire queste formazioni in una struttura organizzativa unica. Lo scopo è chiaro: il danneggiamento da parte dell'occupazione di una unità non influisce sull'operato delle altre. Soltanto per le operazioni complesse si avvia un coordinamento tra più unità con mezzi e modalità conosciuti da pochissimi elementi. Queste cellule hanno piena libertà d'azione. Se un'unità individua un obiettivo sensibile è libera di attaccarlo senza chiedere l'autorizzazione del comando, eccezion fatta per le operazioni complesse dove serve un maggior coordinamento.
LIMES Come fa la resistenza ad acquistare le armi?
AL HUSAYIVÌ All'arrivo degli occupanti a Baghdad c'erano 4 milioni di armi (fucili, granate anticarro e altri armamenti leggeri) distribuite tra i civili dell'esercito alQuds e delle formazioni armate del Ba't. A queste vanno aggiunte altre armi leggere in possesso dell'esercito iracheno, della polizia e dei servizi segreti. Tutte queste armi, insieme a quelle pesanti, erano conservate in depositi incustoditi dell'eserci to. I curdi si sono impossessati di circa 400 pezzi tra carri armati e mezzi di artiglieria pesante. Il resto fu distrutto dagli americani o - soprattutto le armi da fuoco leggere - è rimasto in possesso di civili e militari. Per questo posso dire che le armi ci sono e non abbiamo necessità di comprarle. I soldi servono per altre questioni: per finanziare la rivista e per sostenere le famiglie dei martiri.
LIMES Siete voi a uccidere i civili?
AL HUSAYIVÌ La resistenza non ha nulla a che fare con le operazioni militari che mirano ai civili, come gli attentati criminali a Karbalà', Nagaf, Kàzimiyya, Hilla e Balad. I media dell'occupazione mentono quando propagandano la presenza di partigiani o di combattenti suicidi in queste operazioni. Ormai sappiamo che queste operazioni sono state realizzate dagli occupanti o minando l'area con esplosivi fatti brillare a distanza oppure lanciando granate o missili dalle aree circostanti alla città, come successo il giorno dell'Asúrà' a Karbalà' lo scorso anno. Anche quando ci sono vittime civili nello scontro tra occupazione e resistenza esse sono il risultato dell'azione degli occupanti che sparano tra la folla. Come potrebbe un resistente che mette a rischio la sua vita per salvare gli altri dalla distruzione portata dagli occupanti, sparare sulla folla?
LIMES Quali sono i vostri obiettivi politici e geopolitici?
AL HUSAYIVÌ L'obiettivo primario è nazionale: espellere l'occupante. Senza dubbio la realizzazione di questo obiettivo cambierà gli attuali equilibri internazionali perché il prestigio della potenza statunitense verrà messo in discussione.
Per quanto riguarda l'obiettivo regionale, posso dirle che alcuni strateghi della resistenza ritengono necessario fare proprie le esperienze storiche della rivoluzione algerina contro l'occupazione francese e di quella yemenita ad `Aden contro l'occupazione britannica le quali, se non si fossero fermate ai confini nazionali e fossero proseguite verso est e verso nord, avrebbero potuto incontrare la rivoluzione nasseriana in Egitto così da realizzare molti obiettivi panarabi. Ma la storia non si fa con i se. Attualmente è volontà diffusa tra i resistenti fare dell'Iraq post liberazione la base per l'unità della nazione araba; assumere, cioè, lo stesso ruolo svolto dalla Prussia nell'unificazione della Germania e dal Piemonte sabaudo in Italia.
LIMES È possibile secondo il Fronte la spartizione dell'Iraq fra curdi, sunniti e sciiti?
AL HUSAYIVÌ Questa spartizione è un obiettivo dell'occupazione e la combatteremo. Nella storia irachena non si è mai verificato un caso in cui uno sciita abbia ucciso un sunnita o un ebreo un cristiano per questioni di appartenenza religiosa. Gli iracheni arabi hanno vissuto, a dispetto delle loro diverse religioni, senza particolari problemi. Ora, se un partito islamico, sciita o sunnita, entra in collisione con il governo non si deve pensare a questo scontro come fondato su basi religiose ma su basi schiettamente politiche.
Gli sciiti hanno contribuito a costruire lo Stato iracheno moderno. Non si sono “allontanati” dalla politica come si vuole propagandare ma semmai le margi`iyyàt hanno tentato di allontanarli, fallendo.
Quanto alle regioni curde, esse sono parte dell'Iraq. I curdi stessi sanno che queste regioni non possono formare uno Stato perché nessuno dei paesi circostanti lo vuole. Credo che attualmente la migliore soluzione per i curdi rimanga l'accordo dell'11 maggio 1970, firmato dai curdi, accordo secondo cui i curdi accettano un governo iracheno legittimo e uno Stato iracheno indipendente in quanto l'unico in grado di concretizzare i loro diritti e le loro ambizioni nazionali. I curdi hanno poi disconosciuto quest'intesa, spinti dalle promesse dello scià iraniano e di Israele, come documenti desecretati hanno dimostrato negli ultimi anni. Faccio notare inoltre che le lotte interne ai leader curdi hanno lasciato alle spalle più morti di quelle fatte dalle azioni dell'esercito iracheno contro i rivoltosi.
In sintesi, la resistenza non smetterà di combattere finché tutte le regioni saranno state liberate e l'unità territoriale irachena sarà salvaguardata.
LIMES Se gli statunitensi vi chiedessero che cosa volete in cambio della rinuncia a sparare, come rispondereste?
AL HUSAYIVÌ Primo: ritiro immediato e incondizionato da tutti i territori iracheni. Secondo: fine di qualunque ingerenza negli affari iracheni, fine del sostegno al gruppo di traditori portati sui loro carri armati che gli occupanti ci devono affidare perché vengano sottoposti a processo per alto tradimento. Terzo: restituzione di tutti i reperti archeologici, documenti e denaro rubati perché proprietà dello Stato iracheno. Quarto: risarcimento per i danni causati dalla guerra e dall'occupazione. Dopo aver ottenuto ciò possiamo stabilire normali relazioni tra Iraq e Stati Uniti, sulla base degli interessi comuni, in quanto due soggetti internazionali indipen denti e paritari.
LIMES L'appoggio popolare alla resistenza è aumentato o diminuito rispetto al passato?
AL HUSAYIVÌ L'appoggio è aumentato perché molti iracheni stanno iniziando a rendersi conto delle menzogne degli alleati delle forze di occupazione, che avevano lanciato in passato lo slogan della «resistenza pacifica». Ma questa presunta resistenza non ha intrapreso nessun passo verso l'obiettivo della liberazione. La gente sta capendo che la resistenza pacifica di questi signori non funziona perché sono troppo affaccendati a derubare gli iracheni e a portare i soldi all'estero. La repressione, la violenza, le stragi di civili e la distruzione di intere città compiute da parte dell'occupazione, poi, non fa che aumentare la popolarità della resistenza, che viene vista come unica via verso la liberazione.
(a cura di Marco Hamam)
«Distribuzione clandestina in Iraq della prima rivista portavoce della resistenza», al-Quds al-Arabi, 7/11/2005, p. 3.
Antologia della Voce della verità “Perché rifiutiamo la costituzione”
di Músà al Husanynì
La costituzione è un insieme concordato di regole e princìpi o meglio un contratto sociale che viene steso per specificare i diritti pubblici e privati, la distribuzione e la interrelazione dei tre poteri - legislativo, esecutivo e giudiziario - e i rapporti tra questi ultimi e gli elementi della società. (...) La caratteristica che distingue la costituzione dalle leggi ordinarie consiste nel suo essere legge fondamentale sulla base dei cui princìpi vengono promulgate le leggi specifiche. (...) Noi crediamo fermamente nella necessità di una costituzione nazionale che esprima l'orizzonte culturale comune pur stabilendo, nel contempo, le differenze culturali di questo o quel gruppo. Con la stessa fermezza rifiutiamo la cosiddetta “nuova costituzione”. Se in condizioni normali “costituzione” significa un sistema di regole e princìpi che esprimono la volontà della nazione di scegliere lo stile di vita che assicuri progresso e sviluppo nel modo in cui essa mira a realizzarlo, in condizioni eccezionali - come in caso di occupazione militare - la costituzione esprime il desiderio degli occupanti di destabilizzare i rapporti fissatisi storicamente tra le varie componenti del paese a favore dei loro interessi. (...) Infatti l'attuale costituzione non rappresenta altro che uno strumento di guerra con il quale le forze di occupazione intendono realizzare la loro vittoria parziale sulla volontà del popolo iracheno. Tutto questo è parte del progetto iniziato con la brutale aggressione compiuta dall'amministrazione statunitense che, riflettendo le mire sioniste-americane, aveva come obiettivo l'annientamento delle energie e delle infrastrutture dell'Iraq e la trasformazione degli iracheni in semplici nomi relegati ai margini della vita e della storia, occupati a superare quell'«età della pietra» di cui ha parlato Colin Powell.
Uno dei mezzi per portare il popolo iracheno a questo grado di decadenza consiste nella creazione di leggi e costituzioni che minacciano l'unità territoriale e aizzano le differenze naturali locali fino a portarle alla frattura e alla collisione.
Tutti sanno che la costituzione è stata redatta con la mentalità americana per servire gli interessi e gli obiettivi americani. Che vi abbiano partecipato iracheni o meno non conta. L'ambasciatore americano non ha lasciato spazio a dubbi di questo tipo (cioè che la costituzione serva gli interessi statunitensi) quando ha partecipato apertamente ad una delle sedute della cosiddetta «costituente nazionale» eletta in base alle condizioni e alle esigenze poste dagli americani.
Il diritto internazionale condanna, in blocco, tutte le azioni americane in Iraq. Il trattato di Versailles del 1908 sulle leggi di guerra vieta l'ingerenza del paese occupante negli affari interni e non gli è permesso installare un governatore civile - come lo è stato Bremer - né tantomeno un governo locale come quello preparato da Bremer e dai suoi successori. Il compito dell'occupazione, secondo i trattati internazionali, è quello di mantenere l'ordine e preservare i beni dello Stato mentre il responsabile della gestione nel periodo di occupazione deve essere il capo militare che ha guidato l'aggressione e non un governatore civile installato dagli occupanti. (...) In sintesi possiamo dunque dire che mentre le costituzioni normalmente vengono stese per realizzare la concordia e la convivenza civile, quella irachena è stata redatta per seminare divisioni, per aizzare l'odio tra gli elementi del popolo e per dividere il paese.
(Sawt al-Haqq, n. l, p. 8)
“Riconciliazione con chi?”
a cura del Partito democratico panarabo
In questi ultimi mesi si fa tanto parlare della «riconciliazione» (musdla,ha in arabo, n.d.t.), un tradimento che mira a rubare il ruolo alla resistenza. (...) Ora gli americani sono andati a chiedere aiuto alla Lega araba, la Lega dei re e dei presidenti arabi che l'hanno creata con lo scopo di approfondire le divisioni e per conservare i loro troni e le loro poltrone. Non si rende conto il signor `Amr Músà (segretario generale della Lega araba, che ha invitato alla riconciliazione nella conferenza tenutasi recentemente al Cairo, n.d.t.) dei motivi reali dello scontro politico? È in grado Músà di chiedere la fine immediata e incondizionata dell'occupazione, di dichiarare l'illegittimità di tutti i cambiamenti imposti dall'occupazione con la forza dei missili e dei carri armati e di chiedere un risarcimento in favore dell'Iraq per i danni causatigli dall'aggressione? Oppure Músà chiede che la resistenza getti le armi e allunghi il collo sotto gli scarponi dei soldati statunitensi che hanno calpestato finanche le ossa dei nostri antenati rubandoci la nostra storia? Possibile che Músà, che dovrebbe essere un esperto di diritto internazionale, non sappia a cosa porti una simile riconciliazione che consegna la volontà popolare all'occupante? (...) Questa Lega araba, tranne che nella fase dell'eroe immortale `Abd Nasser, non è mai stata una lega e non è mai stata araba. Durante la crisi del Kuwait è stata un semplice cavallo di Troia usato dagli occupanti americani per giustificare nel contesto arabo la distruzione dell'Iraq. Poi è stata un elemento forte nell'imposizione dell'embargo sull'Iraq per 13 anni, chiedendo in cambio all'Iraq il silenzio sulle operazioni di normalizzazione con Israele di alcuni governi arabi. (...) È stata in silenzio, poi, quando l'Iraq bruciava sotto l'attacco nemico, così come ha taciuto su quei paesi arabi che hanno fornito i loro territori per l'aggressione di uno Stato arabo indipendente, membro fondatore della Lega, negando così gli accordi di difesa araba comune. La Lega non ha mai condannato l'occupazione e non ha mai preso alcuna posizione nei riguardi della distruzione di intere città irachene. Una simile istituzione che porta sulle spalle questi fardelli resterà un braccio del ministero degli Esteri americano. (...)
Il popolo è riconciliato con se stesso. Le forze nazionali hanno iniziato a superare le loro divisioni e si riconciliano secondo l'interesse nazionale senza bisogno di intermediari alquanto dubbi. (...)
Non consegneremo loro le nostre vittorie.
Non permetteremo loro di rubare i successi della resistenza nazionale irachena, l'unico rappresentante legittimo del potere in Iraq fino alla liberazione completa. L'Iraq resta, l'occupazione è destinata a finire.
(Sawt al-Haqq, n. 1, p. 3)
“Boicottate la costituzione di Sharon Feldman Bush”
comunicato del Fronte nazionale per la liberazione dell'Iraq (Haqq)
Figli del nostro glorioso popolo iracheno!
Questa costituzione l'hanno scritta le forze d'occupazione che fissano l'operato e il periodo di permanenza dei governi. L'ambasciatore americano contribuisce a far pressione per farla passare come fosse una costituzione americana, come ha dichiarato un loro collaborazionista apertamente.
Figli del nostro popolo, poliziotti mercenari ingannati, forze di difesa non nazionali! Vi uccidono due volte: una volta quando vi hanno arruolati come mercenari e combattenti contro il vostro stesso popolo, cancellando la vostra umanità e toglien do tutta la dignità che è in voi, e un'altra con le loro autobomba con cui vogliono infangare l'immagine della resistenza. (...) Smettetela di combattere il vostro popolo e trasformatevi in difensori della vostra patria e della vostra dignità. Collaborate con la resistenza nazionale, datele una mano così espierete le vostre colpe. Non fatevi trarre in inganno dai vostri comandanti che o sono dei ladri o dei mercenari o degli impostori o dei soldati scappati e ricercati dalla giustizia o dei malati mentali. Non date loro ascolto! Ascoltate invece i richiami della resistenza, l'unica autorità legittima in assenza di autorità nazionali sotto l'occupazione. (...) Ricordate le false promesse di questi traditori: solo pochi mesi fa propagandavano di voler fare delle elezioni di gennaio uno strumento pacifico per sbarazzarsi dell'occupazione, poi si sono rimangiati tutto una settimana dopo le elezioni stesse.
Figli del nostro popolo, sunniti e sciiti!
Ricordate che quei partiti che si dicono sciiti o sunniti e che collaborano con l'occupazione non sono né sunniti né sciiti ma dei ladri, mercenari professionisti dell'omicidio che sfruttano l'elemento etnico o religioso per accontentare il loro padrone Bush. Non credete loro, smascherateli! Come possiamo credere che siano musulmani questi signori che negano uno dei più importanti pilastri dell'islam, il jihàd contro i nemici esterni. Mentono e falsificano, rubano in nome dell'islam senza vergogna.
Né il cosiddetto Consiglio islamico né il Partito Da'wa rappresentano gli sciiti, nel cui ministero della Difesa vengono imbottite le auto da far esplodere contro gli sciiti di al-Balad, al- Hilla e Madinat al-Sadr. Allo stesso modo né il Partito islamico né il Consiglio di `Adnàn al-Dulaymi rappresentano i sunniti perché tutti hanno benedetto l'uccisione del nostro popolo a Falluja, al-Qà'im, Ramàdi, Hadita, Tikrit, Sàmarrà', Mosul e Baghdad.
In questa sede non possiamo che apprezzare la posizione del Comitato degli `ulamà' sunniti e le margi `iyyàt sciite nazionaliste che hanno annunciato il loro boicottaggio del referendum. Così come stimiamo i quadri del Partito islamico che hanno annunciato il rifiuto delle loro leadership che volevano far passare la costituzione Sharon-Feldman.
(Sawt al-Haqq, n. 1, p. 2)
(traduzione e cura di Marco Hamam)
Iraklibero
4307