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Chiacchiere estive

(12 Agosto 2006)

Sono davvero da rubricare come “chiacchiere estive” le molte prese di posizione, interventi, ecc, che sono seguiti all’annuncio della presenza del Presidente della Camera ed ex-segretario di Rifondazione Comunista, alla festa dei giovani di AN, partito diretto erede del neofascismo italiano.

“Chiacchiere estive” perché la sacrosanta indignazione antifascista in questo caso fa il gioco della provocazione messa in atto – appunto – dal Presidente della Camera, facendo rimarcare il suo distacco dagli abituali, storici, canoni politici di riferimento.

Insomma: l’indignazione antifascista si muove, paradossalmente, proprio sulla linea della nuova legittimazione politica che sta ricercando, per l’appunto, il gruppo dirigente attuale del PRC.

La visita del Presidente della Camera ai giovani di AN non è, infatti, semplicemente frutto della “svolta governista” compiuta dal suo partito e non si muove sulla linea del “revisionismo storico”, già adottata da tanti esponenti della sinistra italiana.

Siamo di fronte a qualcosa di più profondo, simile a ciò che si andò affermando ad un certo punto (più o meno nel 1980) al riguardo del PSI : “mutazione genetica”.

D’altro canto se analizziamo con attenzione il comportamento del PRC al governo ravvediamo tratti ben diversi da una linea del tipo “compromesso storico” (questa la si ritrova di più, ed è forse naturale, nel rapporto tra DS e Margherita: condito, in più ovviamente, da un bel tratto di spartizione neo-democristiana), ma di una linea più simile al “primum vivere” proprio di craxiana memoria (nella sostanza, come ha già scritto un autorevole commentatore: più che all’interesse generale del governo, come vorrebbe appunto una linea di tipo “compromesso storico”, si punta a soddisfare i “circoli” più vicini, quelli che garantiscono i voti).

Dunque “mutazione genetica” che si sta compiendo: da dove, come, per quale destinazione?

Da dove: in realtà questo processo che stiamo cercando di descrivere origina lontano nel tempo.

Almeno dal 1993, dal passaggio della segreteria del PRC da Garavini a Bertinotti: il PRC ( e questo va analizzato con attenzione da parte di quelle compagne e quei compagni che hanno proseguito, e tuttora proseguono, in una qualche forma di “entrismo”): Rifondazione Comunista scelse, a quel punto, la competizione maggioritaria quale terreno di riferimento, avviandosi di fatto verso una forma politica più simile a quella di un soggetto radicale di movimento, piuttosto che verso la forma di un soggetto organizzato in una funzione ideologica definita.

Ecco: quello va considerato il primo punto di effettiva rottura, propedeutico al resto.

Il secondo punto da analizzare riguarda l’assunzione del modello del movimento “no global”, quale punto di ridefinizione radicale dell’identità del partito (emblematizzata dal dibattito sulla “non violenza”, condotto del resto completamente su di un terreno di pura strumentalità), proclamandone l’internità allo stesso movimento, ribaltando la tradizionale posizione di subalternità che il partito assegnava al movimento.

Non a caso, a quel punto, si pose il problema di una sostanziale inefficacia del partito territoriale, e furono lanciate alcune campagne che si proponevano di stimolare un’azione della base, modulata su “single issue” tipiche di formazioni prive di struttura articolata, come erano, invece, quelle tipiche della storia del movimento operaio.

La cosiddetta “svolta governista” di cui cercheremo di occuparci in seguito, fu dunque preceduta da una trasformazione, non avvertita dai più, sulla natura organizzativa del Partito.

La natura organizzativa del PRC, emersa al termine di questo lungo itinerario di trasformazione, può essere accostata a quella di un moderno “partito di quadri” (modern cadre party, Koole 1992, 1994), che non può che trovare nel ruolo di governo quale rappresentante diretto dei movimenti, il proprio punto di saldatura: sia a livello centrale, sia – soprattutto – a livello periferico.

La rinuncia ad essere un canale utile per l’integrazione politica delle masse risulta, a questo punto, evidente e totale.

In questo quadro, insufficientemente analizzato – a mio modesto giudizio – dagli oppositori è precipitata la scelta compiuta a Venezia nel Marzo 2005, di approdo organico alla formazione di uno schieramento di centrosinistra: dirò di più, si è compiuta già a Venezia la scelta di svolgere la funzione di ala “movimentista” e “radical” di un futuro Partito Democratico, collocandosi al di fuori di qualsivoglia connotazione ideologica (da qui l’inevitabilità non scandalizzante, se non per via propagandistica”, della visita ai giovani neofascisti, tanto per ritornare un momento all’attualità).

Il dado sembra proprio tratto, la via segnata: aderendo in pieno al meccanismo maggioritario esercitato in funzione della governabilità e della personalizzazione della politica, il PRC al governo svolge una funzione di copertura sul terreno delle istanze programmatiche considerate più avanzate, in una posizione quasi “border – line” tra democrazia delegata e democrazia partecipativa, anche attraverso una modificazione del sistema di riferimento a livello locale che passa, ormai, più che attraverso le Federazioni, attraverso gli esponenti che ricoprono ruolo istituzionale e le centrali di gestione burocratica dei movimenti (esemplare, sotto questo aspetto, la composizione della presidenza alla recente assemblea del movimento pacifista, a Genova, in occasione dell’anniversario dei fatti del G8: si è, insieme, portavoce del Social Forum e parlamentare europeo; redattori della rivista del “movimento dei movimenti” e consigliere regionale, moderare i lavori e consigliere comunale).

Un esemplare pasticcio: verrebbe da dire, pensando a Duverger.

L’insieme di questa analisi pone un problema di fondo per quanti intendono non aderire a questo procedere delle cose e, pensano, invece, ad un rinnovamento nell’identità della sinistra italiana, fuori del quadro liberista – maggioritario, in funzione di una ripresa di soggettività politica a valenza ideologica e con l’obiettivo dell’integrazione di massa.

Servirebbe, insomma, un moderno partito comunista (magari collegato con un, altrettanto moderno, partito socialdemocratico radicale): oppure un contenitore che li comprendesse entrambi.

Serve un soggetto nuovo, all’interno del quale possa essere possibile una rielaborazione programmatica ed una ridefinizione organizzativa, attraverso le quali produrre la promozione di una nuova leva di quadri politici.

Un soggetto politico che, dal punto di vista della collocazione di schieramento all’interno dell’attuale sistema politico italiano, non potrà che collocarsi all’opposizione, cercando in quella dimensione capacità di elaborazione, spazi, aggregazione, visibilità, presenza istituzionale.

Insomma: servirebbe un ritorno alla politica, considerato che il PRC si è schierato dalla parte dell’antipolitica.

A mio modesto giudizio quanti si apprestano ad affrontare il difficile passaggio verso una nuova formazione politica della sinistra italiana dovrebbero cercare di tener conto degli elementi fin qui analizzati, aprendo un adeguato dibattito: si potrebbe trattare di un primo passo, sicuramente utile perché da questa fase di transizione si possa uscire con un’attrezzatura culturale, politica, organizzativa, adeguata ai livelli di scontro che stanno preparandosi, a partire dal prossimo Autunno.

Genova, li 11 Agosto 2006

Franco Astengo

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