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(21 Maggio 2012) Enzo Apicella
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Malattie non diagnosticate e guerra radioattiva

(25 Novembre 2007)

La sperimentazione e l’uso della bomba atomica, e in seguito le munizioni e le blindature all’uranio impoverito per i mezzi corazzati, hanno reso radioattivi i siti degli esperimenti e i teatri delle operazioni belliche. Nuove malattie hanno colpito tanto i soldati dell’Alleanza Atlantica, che hanno maneggiato queste armi, quanto i loro nemici, e comunque le popolazioni civili. Dopo molto tempo dal raggiungimento della pace, le radiazioni continuano a contaminare coloro che vi sono esposti. Benché i governi “occidentali” abbiano deliberatamente ostacolato, per quanto nelle loro possibilità, la ricerca medica e clinica su questa materia, è stata raccolta nel corso degli anni una documentazione abbondante. Con questo documento viene pubblicata una sintesi in cui Asaf Durakovic traccia il bilancio delle conoscenze attuali su questa catastrofe sanitaria. Oramai, le modalità con cui i paesi della Nato conducono le guerre diventano la causa della morte dei loro stessi cittadini in tempo di pace.

21 settembre 2007

Una contaminazione interna dovuta agli isotopi dell’Uranio Depleto (DU) è stata rilevata in ex combattenti britannici, canadesi e statunitensi della Guerra del Golfo, ancora dopo nove anni dall’essere stati esposti all’azione di polveri sottili radioattive durante la prima Guerra del Golfo. Isotopi del DU sono stati parimenti osservati nei campioni autoptici di polmoni, fegato, reni ed ossa prelevati su veterani canadesi. In campioni di terreno, prelevati in Kosovo, si sono trovate centinaia di frammenti radioattivi del diametro inferiore ai 5 mm del peso di qualche milligrammo. La prima Guerra del Golfo ha lasciato in eredità nell’ambiente 350 tonnellate di DU e nell’atmosfera dai 3 ai 6 milioni di grammi di aerosol a base DU. Le conseguenze, definite come “sindrome della Guerra del Golfo”, consistono in disfunzioni complesse multi-organiche, progressive ed invalidanti: stanchezza invalidante, dolori muscolo-scheletrici e alle articolazioni, mal di testa, scompensi neuro-psichiatrici, cambiamenti di umore, confusione mentale, problemi di ordine visivo, disturbi del comportamento, perdita di memoria, linfo-adenopatie, deficienze respiratorie, impotenza e alterazioni morfologiche e funzionali del sistema urogenitale.

Quello che si conosce attualmente sulle cause della sindrome è completamente insufficiente. Dopo l’Operazione Anaconda condotta in Afghanistan (2002), una nostra squadra ha esaminato le popolazioni nelle regioni di Jalalabad, Spin Gar, Tora Bora e Kabul, e ha potuto constatare che i civili presentavano dei sintomi paragonabili a quelli della sindrome della Guerra del Golfo. Sono stati prelevati campioni di urina raccolta nelle 24 ore su 8 soggetti sintomatici, scelti secondo i seguenti criteri:

1. I sintomi erano iniziati subito dopo lo sganciamento di bombe. 2. I soggetti erano presenti nella regione bombardata. 3. Manifestazioni cliniche.

Altri prelievi sono stati eseguiti su un gruppo campione di abitanti asintomatici di regioni non bombardate. Sono stati esaminati tutti i prelievi rispetto alla concentrazione e al rapporto di quattro isotopi dell’Uranio,U234, U235, U236 e U238. Per queste analisi, è stato utilizzato uno spettrometro di massa multicollettore a sorgente di ionizzazione plasmatica ad accoppiamento induttivo. I primi risultati della provincia di Jalalabad hanno dimostrato che l’eliminazione di uranio totale attraverso l’urina era significativamente più importante in tutti quei soggetti esposti che non nella popolazione non esposta. L’analisi dei rapporti isotopici ha rivelato la presenza di uranio non impoverito. Lo studio sui prelievi effettuati nel 2002, relativi ai distretti di Tora Bora, Yaka Toot, Lal Mal, Makam Khan Farm, Arda Farm, Bibi Mahre, Poli Cherki e all’aeroporto di Kabul, ha evidenziato nelle urine concentrazioni di uranio 200 volte più alte rispetto a quelle della popolazione campione asintomatica. I tassi di uranio nei campioni di terreno di siti bombardati sono da due a tre volte più elevati dei valori limite mondiali, di concentrazione da 2 a 3 mg/kg e le concentrazioni nelle acque sono superiori in modo significativo rispetto ai tassi massimi tollerabili fissati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Queste prove sempre più numerose rendono prioritaria la questione della prevenzione e della risposta alla contaminazione da DU.

«Nulla ci può proteggere da questa forza basilare dell’universo.», Albert Einstein.
La realtà della guerra termonucleare si riassume al meglio attraverso l’affermazione di Albert Einstein secondo la quale questa energia basta per fare esplodere la Terra.[Nota 1: Einstein «A. Energy, enough to cleave the Earth». Bioscience 1947 ; 35:584–5.]. Il campo di battaglia nucleare non si limita più ad un paese o ad un continente, oltrepassa di molto le frontiere politiche e geografiche e rende ciascuna regione una grande zona di guerra. Se avvenisse un conflitto nucleare strategico, che vedesse l’impiego di un arsenale da diecimila megatoni, immediatamente morirebbero un miliardo di persone per la combinazione di ferite direttamente provocate da esplosioni, calore, radiazioni, un altro miliardo soccomberebbe per le malattie provocate dall’esposizione alle radiazioni [Nota 2: Ehrlich PR, Harte J, Harwell MA, Raven PH, Sagan C, Woodwell GM et al.. «Long term biolo gical consequences of nuclear war». Science 1983 ; 222:1293–300.], e i sopravvissuti dovrebbero vivere in un ambiente esposto alle piogge radioattive che sarebbero la causa di effetti somatici e genetici dalle conseguenze probabilmente irreversibili per la biosfera

La corsa agli armamenti nucleari

Il primo esperimento di una bomba atomica, denominato Trinity, ha avuto luogo il 16 luglio 1945 ad Alamogordo, nei dintorni di Los Alamos, in Nuovo Messico (Stati Uniti). In un milionesimo di secondo, il calore della prima bomba atomica aveva prodotto molti milioni di gradi centigradi, e questa bomba sprigionava più di 400 isotopi radioattivi e una grande energia di legame, la cui pressione era di molte migliaia di tonnellate per centimetro quadrato. Durante una frazione di secondo, il nocciolo della bomba risultava undici volte più caldo della superficie solare. L’altezza della palla di fuoco raggiungeva centinaia di metri, e il nucleo della bomba, miscelato con atomi di ossigeno ed azoto, risultava intensamente brillante al momento dell’esplosione. In un secondo, la terra vaporizzata si era trasformata in un fungo atomico dell’altezza di 3000m. A 150 miglia di distanza, in Arizona, i viaggiatori dell’Union Pacific Railway potevano vedere la palla di fuoco. Questi testimoni fornivano differenti interpretazioni del fenomeno, alcuni descrivevano i suoi effetti come quelli derivati dalla caduta di un bombardiere, altri come un incendio dell’atmosfera o l’arrivo di un meteorite. Alcuni testimoni abitanti di Gallup, città situata a 235 miglia a nord dal punto dell’esplosione, avevano pensato di assistere all’esplosione di un deposito di munizioni dell’esercito. [Nota 3: Lawrence WL. Men and atoms. New York (NY): Simon and Shuster ; 1959.]. 20 giorni dopo l’esperimento Trinity, il 6 agosto del 1945, alle ore 8 e 15 minuti, una bomba atomica veniva sganciata su Hiroshima. La bomba esplodeva a circa 633 metri sopra la città, oscurava il sole, causava la morte di 130.000 persone, procurava 80.000 invalidi e rendeva inferme 90.000 persone a causa delle conseguenti piogge radioattive. Nel giro di qualche ora, cadeva una pioggia nera, ceneri biancastre ricoprivano l’epicentro e procuravano ustioni alla pelle. La maggior parte delle vittime della prima ora erano morte per l’azione combinata del calore, della pressione e delle radiazioni. Praticamente, Hiroshima era stata rasa al suolo. [Nota 4: Miller RL. Under the cloud: the decades of nuclear testing. New York (NY): Free Press (Division of McMillan Inc.) ; 1986.].

Due giorni dopo, l’8 agosto del 1945 alle ore 11 e 01 minuti, una bomba al plutonio, denominata Fat Man, veniva sganciata su Nagasaki. Come a Hiroshima, spariva il sole all’elevarsi del fungo atomico. La popolazione della città, rasa al suolo, moriva per le stesse ferite combinate come a Hiroshima. Veniva conseguito il risultato della fine della Seconda Guerra Mondiale e di acquisizioni territoriali da parte dell’Unione Sovietica. Quando un gruppo di ricercatori di sistemi d’arma, sotto la direzione di Kruscëv, ha iniziato, nell’autunno del 1948, a sviluppare una bomba russa, questo fu l’inizio della corsa agli esperimenti nucleari. Fra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, i test si sono rincorsi in via parallela. Dopo la morte di Stalin, nel 1953, l’Unione Sovietica faceva esplodere, il 12 agosto, la prima bomba mobile all’idrogeno. Si trattava della sua seconda bomba termonucleare. Considerando che i Sovietici erano in grado di vincere la corsa agli armamenti nucleari, gli Stati Uniti hanno dato corso ad una accelerazione dei loro programmi di sperimentazioni.

Nel 1955, era divenuto evidente che i test atomici danneggiavano in modo irrimediabile la biosfera [Nota 5: Ervin FR, Glazier JB, Aronow S, Nathan D, Coleman R, Nicholas A et al. «Human and ecological effects in Massachusetts of an assumed thermonuclear attack on the United States». New England Journal of Medecine 1962 ; 266:1127–37.]. Più di 400 isotopi radioattivi liberati da ciascun esperimento venivano identificati come causa dell’inquinamento. 40 di questi isotopi mettono in pericolo la salute dell’uomo. Per di più, Ogni chilotone liberato produce qualche grammo di radioisotopi dalle proprietà tossiche per l’organismo. Dato il suo lungo tempo di dimezzamento, della sua disintegrazione beta e delle proprietà specifiche del suo nucleo, lo stronzio-90 costituisce il pericolo principale. In sovrappiù, i test sulle armi atomiche hanno provocato incidenti. Nel 1958, un B-57 dell’Aviazione Militare degli Stati Uniti sganciava per errore una bomba atomica nei dintorni di Florence, nella Carolina del Sud. La bomba, non armata, non esplodeva ma disseminava il territorio di materiali radioattivi. Nello stesso anno, un B-52 lasciava cadere una bomba atomica da due megatoni nei pressi di Goldsboro, nella Carolina del Nord. L’Aviazione militare Statunitense ha dovuto registrare in seguito altri incidenti, in particolare a Toula, in Groenlandia, e a Palomares, in Spagna. A Palomares, due bombe al plutonio hanno contaminato la gran parte del territorio e della costa Atlantica. Nel 1958, dopo la catastrofe di Tchelyabinsk-40,(***. Nota al piede del traduttore), l’Unione Sovietica sospendeva i suoi test atomici. Tuttavia, ben presto riprendeva gli esperimenti con bombe di molti megatoni nella regione Artica di Novaya Zemlya e il 9 settembre 1961 faceva esplodere una bomba della potenza di 50 megatoni. Nel frattempo, negli Stati Uniti gli indici di una contaminazione ambientale diffusa diventavano evidenti, così come dell’aumento di incidenza di cancri, leucemie e di altri disturbi della salute in coloro che avevano lavorato nel campo del nucleare. Congiuntamente ai problemi imposti dalla sicurezza radiologica, questi fatti inducevano a smantellare l’enorme apparato burocratico di incompetenti che costituiva la Commissione per l’Energia Atomica. Questa veniva sostituita, nel 1974, dall’Ente per la Ricerca Nucleare (NRC) e dall’Amministrazione per l’Energia e la Ricerca.

Nel 1955, Bertrand Russell, Albert Einstein e nove altri scienziati di fama mondiale avevano fondato il Movimento Pugwash, che si occupava della proliferazione nucleare e della guerra atomica. Con l’organizzazione di incontri annuali a partire dal 1957, il Pugwash dava inizio ai suoi lavori che hanno avuto come risultato un accordo per l’interdizione dei test con armamenti atomici e della produzione di nuovi arsenali e di sistemi di trasporto.[Nota 6: York HF. Race for oblivion: a participant’s view of the arms race. New York (NY): Simon and Shuster ; 1970.]. Nel 1969, il Pugwash ha contribuito all’apertura di un tavolo per Trattative sulla Limitazione delle Armi Strategiche (SALT). Questa iniziativa è stata sostenuta dalla campagna che Linus Pauling conduceva contro le armi atomiche e l’inquinamento ambientale. (N.d.tr.: Chimico statunitense, professore al California Institute of Technology di Pasadena, Premio Nobel per la chimica nel 1954, Pauling ha ottenuto nel 1962 anche il Premio Nobel per la pace, quale riconoscimento di una lunga attività di propaganda contro la costruzione delle armi atomiche che gli era costata, per un breve periodo, la sospensione dall’insegnamento). Dopo la crisi di Cuba, la minaccia di un conflitto nucleare ha indotto Kennedy e Kruscëv a sottoscrivere, nel 1963, un Trattato sull’interdizione degli esperimenti atomici. Nondimeno, sono proseguiti gli esperimenti nucleari sotterranei, cosa che ha vanificato il Trattato sull’interdizione completa dei test nucleari. L’assassinio di Kennedy, la caduta di Kruscëv e la guerra del Vietnam hanno messo fine alla distensione nucleare. La possibilità, del tutto realistica, che l’Unione Sovietica sopravanzasse gli Stati Uniti nei test e nello sviluppo degli armamenti nucleari ha portato alla fine, nel 1972, al Trattato SALT I che proibiva parzialmente il dispiegamento di sistemi di difesa antimissilistica. L’Unione Sovietica aveva già predisposto un sistema di questo tipo attorno a Mosca e gli Stati Uniti avevano un sistema di tale natura nel Nord Dakota. Otto anni più tardi, l’Amministrazione Reagan intavolava le trattative SALT II, che prevedevano una riduzione degli armamenti (START), ma non una loro… limitazione. Il Presidente del Comitato Esecutivo della Conferenza di Pugwash, Bernard Field, qualificava questa situazione come una “stupidaggine ripetitiva di una inutile farsa.” [Nota 7: Field BT. «The sorry history of arms control». Dans: Dennis J, Faculty M, éditeurs. The nuclear almanac. Lecture (MA): Pearson and Addison-Wesley Publishing Company Inc ; 1984. p. 319–29.] Paul Warnke, a capo del negoziato del Trattato SALT II, dichiarava: “La triste storia del controllo degli armamenti può diventare l’ultimo capitolo della storia dell’umanità.” [Nota 8: Warnke PC. «Prospects for international arms control». Dans: Dennis J, Faculty M, éditeurs. The nuclear almanac. Lecture (MA): Pearson and Addison-Wesley Publishing Company Inc ; 1984. p. 331–43.] Dopo la firma del Trattato sull’interdizione parziale dei test nucleari, nel 1963, ogni anno venivano effettuati qualcosa come 50 test, per il 55% dagli Stati Uniti, per il 30% dalla Russia, e per il restante 15% dalla Francia, la Gran Bretagna, la Cina, l’India e il Pakistan.

Dato lo sviluppo repentino della tecnologia delle comunicazioni via satellite, la proliferazione delle armi nucleari implica che più del 90% della superficie terrestre costituisce un potenziale bersaglio. La sicurezza delle nazioni non viene più garantita dal numero di armi nucleari. Perfino dopo il crollo dell’Unione Sovietica, le armi atomiche rimangono un problema essenziale di sicurezza, non tenendo in alcuna considerazione le iniziative di collaborazione fra Washington e Mosca. Gli attuali scenari politici internazionali comportano nuovi rischi di conflitti nucleari. Fra questi pericoli figurano il ritirarsi a breve termine da parte degli Stati Uniti dal Trattato sui sistemi di difesa antimissilistica, la nuova dottrina del “colpo preventivo” e la recente apparizione di nuovi paesi in possesso di armi atomiche. [Nota 9: Lichtenstein WL. «Nuclear security and cooperation». Parameters 2002 ; 32:133–5.]. La minaccia nucleare sussiste in ragione della proliferazione nucleare, con la lista sempre più lunga di scenari di uso della forza, di attività terroristiche, di catastrofi nucleari ed ecologiche e del paradigma della “distruzione mutuamente assicurata”.

Terrorismo nucleare e radiologico

Dopo l’ 11 settembre 2001, ha destato sempre più l’attenzione la possibilità di attacchi terroristici nucleari e radiologici. Prima della catastrofe di New York, tali eventualità erano piuttosto trascurate. Comunque, non esisteva alcuna formazione relativa alle cure da apportare alle vittime di catastrofi nucleari o radiologiche, o veniva effettuata solo sporadicamente, perfino dalle istituzioni governative incaricate di preservare in efficienza le potenzialità di risposta reattiva. I miglioramenti da parte dei paesi nella preparazione opportuna a far fronte agli effetti acuti e cronici delle radiazioni, alla contaminazione ambientale, all’impatto psicologico e sociale e alle conseguenze economiche di un attacco terroristico nucleare sono risultati nuovamente come priorità delle nazioni industriali [Nota 10: Lubenau JO, Strom DJ. «Safety and security of radiation sources in the aftermath of 11 September 2001». Health Phys 2002 ; 83:155–64.]. Alcuni hanno preconizzato la dottrina di Clausewitz, secondo cui conveniva dare alle forze armate il compito di prevenire gli attacchi dei nemici esterni o di respingerli e quello di attaccare altri paesi, se questo veniva ritenuto nell’interesse internazionale [Nota 11: Bredow MW, Kuemmel G. The military and the challenges of global security. Strausberg: Sozialwissenschaftliches Institut der Bundeswehr ; 1999.]. I danni cronici prodotti dalle radiazioni sono stati riconsiderati alla luce delle possibili conseguenze su masse di vittime del terrorismo nucleare. Infatti, la preparazione a far fronte ad incidenti e ad attacchi nucleari deve prendere anche in considerazione le conseguenze psicologiche, in ragione del fatto ben fondato che, in uno scenario di terrorismo nucleare, per ciascuna vittima diretta si avrebbero 500 persone soggette a disturbi psicologici e a turbe psicosomatiche, cosa che produrrebbe difficoltà serie di distinguere le vittime effettivamente contaminate [Nota 12: Salter CA. «Psychological effects of nuclear and radiological warfare». Mil Med 2001 ; 166 (12 Suppl): 17–8.]. Benché siano stati già presi in esame interventi medicamentosi idonei alla protezione contro le radiazioni, i professionisti della salute dovrebbero essere coscienti dei precedenti deplorevoli insuccessi nell’ambito dei mezzi di protezione contro le radiazioni. Attualmente, si sta studiando il fenomeno per cui, sotto gli effetti delle radiazioni, le cellule vascolari e parenchimali si rigenerano, invece di denaturarsi, questo allo scopo di sviluppare dei meccanismi tendenti a modificare la risposta dell’organismo, in parallelo ad altre strategie terapeutiche come i corticosteroidi, gli inibitori dell’enzima di conversione, la pentossifillina e la superossido dismutasi [Nota 13: Moulder JE. «Pharmacological intervention to prevent or ameliorate chronic radiation injuries». Semin Radiat Oncol 2003 ; 13:73–84.]. Nel trattamento delle lesioni patologiche derivate dalle radiazioni atomiche, si è passati dalle conseguenze ingestibili di un conflitto nucleare strategico ai mezzi per far fronte ad un grande numero di vittime. Questa risposta deve delinearsi attraverso sforzi interdisciplinari. Immediatamente è necessario esercitare grossi sforzi per sviluppare concetti di gestione clinica delle vittime delle radiazioni. [Nota 14: Hogan DE, Kellison T. «Nuclear terrorism». Am J Med Sci 2002 ; 323:341–9.]. Nel contempo, la ricerca deve continuare ad impegnarsi per comprendere e trattare la contaminazione da parte di radionuclidi, gli effetti radiotossici, la demolizione dei legami chimici, i radicali liberi, i danni al DNA cellulare e al sistema enzimatico. [Nota 15: Hyams KC, Murphy FM, Wessely S. «Responding to chemical, biological, or nuclear terrorism: the indirect and long-term health effects may present the greatest challenge». J Health Polit Policy Law 2002 ; 27:273–91.]. Gli impegni multidisciplinari devono comprendere la pianificazione, la distinzione delle lesioni, la decontaminazione, la terapia di chelazione e la gestione tradizionale dei sintomi dei pazienti. In considerazione delle costrizioni finanziarie e della carenza pressochè totale di formazione e di conoscenze tecniche, un eventuale attacco terroristico costituisce una seria sfida [Nota 16: Pierard GE. «La guerre et la médecine d’une culture de paix. 4. Synopsis des armes nucléaires». Rev Méd Liège 2002 ; 57:107–12.]. Non si sono ancora digeriti in modo adeguato gli insegnamenti della prima Guerra del Golfo e dei conflitti nei Balcani per essere preparati ad avere cura efficace delle vittime delle radiazioni [Nota 17: Ponce de Leon-Rosales S, Lazcano-Ponce E, Rangel- Frausto MS, Sosa-Lozano LA, Huerta-Jimenez MA. «Bioterrorism: notes for an agenda in case of the unexpected» [Nota en espagnol]. Salud Publica Mex 2001 ; 43:589–603.]. Un attacco terroristico improvviso necessita di una risposta valida da parte del sistema sanitario. Ora, la maggior parte dei paesi probabili bersagli di un attacco terroristico non dispongono quasi mai della logistica necessaria, soprattutto nelle grandi città, e gli stanziamenti delle risorse finanziarie avrebbero bisogno di revisioni delle priorità, tali da consentire di affrontare in modo opportuno le conseguenze per la società.

In uno scenario di terrorismo nucleare, risulta particolarmente importante essere coscienti che dei terroristi potrebbero ricorrere ad attinidi, con particolare riferimento al plutonio, agente di contaminazioni di massa. Il plutonio viene considerato come la sostanza più pericolosa per gli esseri umani [Nota 18: Durakovic A. «Mechanisms and management of internal contamination with medically signifi cant radionuclides». Conklin JJ, Walker RI, éditeurs. Military radiobiology Orlando (FL): Academic Press ; 1987. p. 241-64.]. Se viene disperso come polvere radioattiva o se viene a contatto con la rete di distribuzione dell’acqua potabile, solo alcuni grammi sono sufficienti per la contaminazione di una grande città. Il plutonio è stato venduto illegalmente sul mercato clandestino, in particolare nell’ex Unione Sovietica. Grazie a traffici illegali, ha fatto il suo cammino in diverse parti del mondo. La dispersione del plutonio viene considerata come il peggior scenario terroristico [Nota 19: Barnaby F. «The plutonium problem: the Royal Society sits on the fence». Med Confl Surviv 1998 ; 14:197–207.]. Visto che il caso si presenta, i professionisti della sanità dovrebbero porre l’accento sulla prevenzione piuttosto che sulla gestione terapeutica di masse di vittime del terrorismo nucleare. Di recente, medici da tutto il mondo hanno aderito al raggruppamento di più di 1.000 organizzazioni per cooperare, per sostenere l’eliminazione delle armi nucleari e per ridurre i rischi delle conseguenze spaventose del terrorismo nucleare e radiologico [Nota 20: Forrow L, Sidel VW. «Medicine and nuclear war: from Hiroshima to mutual assured destruction to abolition» 2000. JAMA 1998 ; 280:456–61.].

Guerra radiologica

È nel maggio 1991, che per la prima volta, nel Golfo Persico, sono state impiegate armi radiologiche. Queste hanno inaugurato un nuovo scenario di guerra CBRN (chimica, biologica, radiologica e nucleare). Non è nuovo il ricorso ad armamenti che colpiscono tanto i soldati quanto i civili. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, gli Stati Uniti temevano seriamente che i Giapponesi avrebbero sganciato sul territorio statunitense migliaia di palloni riempiti d’uranio e ne avrebbero contaminato le loro megalopoli [Nota 21: Durakovic A. «On depleted uranium: Gulf War and Balkan syndrome». Croat Med J 2001 ; 42:130–4.]. All’epoca della Prima Guerra del Golfo, le munizioni all’Uranio Depleto (DU) hanno diffuso nell’atmosfera milioni di grammi di polveri radioattive [Nota 22: Ford JL. «Radiological dispersal devices. Assess ing the transnational threat». Springfi eld (VA): US National Defense University, Institute for National Strategic Studies ; 1998 March. Occasional paper Nr. 136.]. Le conseguenze per la salute e per l’ambiente rimangono controverse e le discussione va ben oltre il quadro della comunità scientifica. Comunque, numerosi studi recenti sono stati conformi alle prove scientifiche appurate da lungo tempo sulla tossicità somatica e genetica dell’uranio [Nota 23: Arfsten DP, Still KR, Ritchie GD. «A review of the effects of uranium and depleted uranium exposure on reproduction and fetal development». Toxicol Ind Health 2001 ; 17:180–91.] [Nota 24: L’Azou B, Henge-Napoli MH, Minaro L, Mirto H, Barrouillet MP, Cambar J. «Effects of cadmium and uranium on some in vitro renal targets». Cell Biol Toxicol 2002 ; 18:329–40.] [Nota 25: Kalinich JF, Ramakrishnan N, Villa V, McClain DE. «Depleted uranium-uranyl chloride induces apoptosis in mouse J774 macrophages». Toxicology 2002 ; 179:105–14.].

Il costo della decontaminazione dei siti colpiti dalle armi all’uranio utilizzate dagli eserciti e da coloro che si contrappongono a questi, i cosiddetti “terroristi”, resta una pesante fonte di inquietudine. L’esperienza svedese-canadese di decontaminazione radiologica effettuata di recente a Urnea, in Svezia, ha dimostrato che i due metodi correnti di decontaminazione (vapor d’acqua ad alta pressione e getti d’acqua ad alta pressione) su mezzi corazzati leggeri contaminati esteriormente da DU sono risultati inefficaci [Nota 26: Haslip DS, Estan D, Jones TA, Walter EJ, Sandstrom B. Contamination and decontamination of light armour vehicle. Ottawa: Defence Research and Development Canada ; 2002.]. Questo dimostra in modo chiaro la necessità di un miglioramento da parte delle strutture sanitarie pubbliche delle competenze a reagire in caso di guerra radiologica o di attacco terroristico [Nota 27: Reichart JF. «Adversary use of NBC weapons: a neglected challenge». Strategic Forum December 2001 ; Nr. 187:1–4.]. Le carenze attuali di strategia complessiva per affrontare una minaccia di utilizzazione terroristica di ordigni atti alla dispersione di materiali radioattivi (RDD) (o «bombe sporche») sottolineano la necessità di una più opportuna coordinazione delle capacità di reazione ai pericoli chimici, biologici, radiologici e nucleari, con l’incrociarsi attuale di armamenti classici e di quelli inediti [Nota 28: Cilluffo FJ, Cardash SL, Ledorman GN. Combat ing chemical, biological radiological and nuclear terrorism: a comprehensive strategy. Washington (DC): Center for Strategic and International Studies ; 2001. Report No. ISN-0-89206-389.]. Nello scenario molto specifico di un attacco radiologico, il piano per la gestione della guerra e del terrorismo radiologico si allarga non solamente alla dimensione della riserva delle forze armate, ma allo stesso modo alla sfera della sanità pubblica [Nota 29: Anderson DP. Army’s commitment to supporting the homeland security chemical, biological, radiological, nuclear and high-yield explosive weapons terrorist treaty: can the reserve component meet the requirement by themselves? Springfield (VA): National Technical Information Service ; 2002.] [Nota 30: Differentiation among Chemical, Biological, and Radiological Casualties [Nota CD-ROM No. AVA21047C DRMCGL]. Springfield (VA): National Technical Information Service ; 2001. Available from: www. ntis.gov/ nac.]. La difesa sanitaria contro la guerra radiologica resta uno degli aspetti più trascurati dell’insegnamento della medicina attuale [Nota 31: Jarrett DG. Medical management of radiological casualties. Bethesda (MD): Armed Forces Radiobiology Research Institute ; 1999.]. Il terrorismo radiologico e nucleare costituisce la più grave minaccia alla moderna società, dato che la proliferazione nucleare ha permesso alle organizzazioni sovversive di procurarsi con facilità del materiale nucleare
[Nota 32: Anet B. «And what about nuclear and radiological terrorism?» Applied Science and Analysis, ASA, Inc [Nota serial online: 2001 April 18 ; 01-2(83): [Nota 10 screens]. Available from: www.asanltr.com.].

Solamente nel 2000, gli Stati Uniti hanno speso 10 miliardi di dollari per la lotta contro l’utilizzazione terroristica di armi di distruzione di massa, e le spese sono aumentate dopo l’11 settembre 2001. Indagini attuali rivelano la vulnerabilità delle società occidentali al terrorismo nucleare e pongono l’accento sul fatto che le organizzazioni terroristiche, che possiedono armi di distruzione di massa, possono provocare con ordigni nucleari e radiologici distruzioni ben più gravi che con tutti gli altri tipi di armi. Si ritiene che la capacità degli Stati Uniti ad affrontare un attacco radiologico o nucleare dipenda da quattro fattori di azione: il miglioramento del sistema informativo sulle organizzazioni terroristiche, il miglioramento della sicurezza delle installazioni nucleari nell’ex Unione Sovietica, la neutralizzazione degli effetti nucleari e radiologici, e il miglioramento delle capacità di reazione alle organizzazioni clandestine che sono già in possesso di armi nucleari e radiologiche [Nota 33: Fogarty JJ. Evaluating strategies for countering nucleararmed terrorist groups [Nota master’s thesis]. Monterey (CA): Naval Postgraduate School ; 2000.]. Il rischio di un attacco nucleare e radiologico contro gli Stati Uniti viene reso più alto dalla tecnologia, dall’accesso ai materiali nucleari e radiologici, dall’instabilità economica della Russia e dal malcontento suscitato in numerosi paesi dalla politica estera Statunitense. Misure di sicurezza inadeguate nell’ex Unione Sovietica, combinate con un’accresciuta determinazione da parte dei terroristi, e con un carattere via via sempre più micidiale dei loro attacchi, aumentano in modo considerevole la probabilità dell’uso di RDD, di “bombe sporche”, in un prossimo avvenire [Nota 34: Nichelson SM, Medlin DD. Radiological weapons of terror. Maxwell (AL): Maxwell Air Force Base ; 1999.]. La questione degli effetti sull’ambiente e sulla salute deve indurre ad affrontare la questione della decontaminazione e dell’assegnazione di stanziamenti con l’obiettivo di salvare vite umane, di ridurre i rischi per la salute e di preservare le coltivazioni, la biodiversità e l’integrità dei siti contaminati [Nota 35: Burger J, Leschine TM, Greenberg M, Karr JR, Gochfeld M, Powers CW. «Shifting priorities at the Department of Energy’s bomb factories: protecting human and ecological Health». Environ Manage 2003 ; 31:157–67.]. Nel passato, gli sforzi in questi ambiti hanno lasciato molto a desiderare. In particolare si è trascurato di indennizzare in maniera proporzionata le vittime delle piogge radioattive cadute sullo Utah e sul Nevada. La prevenzione e un indennizzo insufficienti delle vittime per le forme di tumore provocate dall’esposizione alle radiazioni e la persistente controversia messa in atto dal governo sull’interpretazione delle radiazioni di bassa intensità hanno provocato l’irritazione delle popolazioni contaminate all’epoca degli esperimenti nucleari [Nota 36: Parascandola M. «Uncertain science and a failure of trust. The NIH radioepidemiologic tables and compensation for radiation-induced cancer». Isis 2002 ; 93:559–84.]. Allo stesso modo, un recente rapporto Britannico crea dei sospetti quanto alla sua analisi sulla mortalità e sull’incidenza del cancro su coloro che hanno partecipato ai test nell’atmosfera con armi atomiche e a programmi sperimentali. La relazione contiene una conclusione provocatrice: la mortalità in generale dei sopravvissuti ai test nucleari Britannici sarebbe inferiore a quella della popolazione in generale [Nota 37: Muirhead CR, Bingham D, Haylock RG, O’Hagan JA, Goodill AA, Berridge GL, et al. «Follow up of mortality and incidence of cancer 1952-98 in men from the UK who participated in the UK’s atmospheric nuclear weapon tests and experimental programmes». Occup Environ Med 2003 ; 60:165–72.] .

Dalla comparizione di Galileo davanti all’Inquisizione alle ricerche sull’uranio

Attualmente, la libertà della scienza indipendente non è molto differente da ciò che era nel passato. Quello che vivono gli uomini di scienza attualmente fa pensare al processo di Galileo istruito dall’Inquisizione nel 1610. La controversia riguardante i risultati degli studi del Dr. Ernest Sternglass, relativi ai tassi di mortalità infantile e giovanile nello Stato di New York influenzati dai test atomici e dalle ricadute radioattive, ha troncato la sua carriera universitaria e scientifica. Quando il suo articolo classico [Nota 38: Sternglass EJ. «Infant mortality and nuclear tests». Bull At Sci 1969 ; 25:26–8.] sulle morti di bambini dovute alle conseguenze delle radiazioni è apparso nel 1969 nel Bulletin of Atomic Scientists, il capo-redattore della rivista gli confidava che Washington aveva esercitato pressioni affinché non venisse pubblicato. L’eminente fisico Freeman Dyson, come lettore, scriveva in una lettera indirizzata alla stessa rivista: «Se le cifre avanzate da Sternglass sono giuste, ed io credo che lo siano, questo è un ottimo argomento contro la difesa antimissili.» Sternglass riteneva che la morte dei bambini era dovuta allo stronzio contenuto nelle piogge radioattive. Quando la valutazione di circa 400.000 morti fu presentata al Dr. John Gofman, direttore sanitario del Lawrence Livermore National Laboratory, costui rivalutava il rapporto. Avendo corretto certe cifre, concludeva che, anche utilizzando un modello stocastico, le direttive riguardanti il rischio per unità di radiazione erano 20 volte troppo elevate per essere credibili. Ugualmente arrivava alla conclusione che il rischio era più importante nel caso di dosi di radiazioni deboli che nel caso di dosi elevate. Aggiungeva che i decessi per tumori provocati dai test nucleari e dalle piogge radioattive superavano i 30.000 all’anno. Il suo rapporto fu rimesso alla Commissione sui Test Nucleari nel Sottosuolo presieduta dal senatore E. Muskie, che lo trasmetteva al Presidente della Commissione Congiunta per l’Energia Nucleare, il senatore C. Holifield. Quest’ultimo convocava Gofman a Washington e apertamente lo minacciava. Nel 1973, vittima della sua integrità ed onestà, Gofman perdeva il suo incarico nel suo laboratorio. La Commissione per l’Energia Atomica veniva sciolta nel 1974 [Nota 39: Durakovic «A. Medical effects of internal contamination with uranium». Croat Med J 1999 ; 40:49–66.].

Riesame della tossicità dell’uranio

I rischi letali per l’ambiente e la salute degli esseri viventi presentati dagli isotopi dell’uranio sono stati precisati nel corso di un secolo di ricerche. Tuttavia, gli specialisti della sanità sono poco preparati in materia di radio-tossicità di base e di tossicologia chimica degli isotopi dell’uranio [Nota 40: Skorga P, Persell DJ, Arangie P, Gilbert-Palmer D, Winters R, Stokes EN, et al. «Caring for victims of nuclear and radiological terrorism». Nurse Pract 2003 ; 28:24–41.]. Le recenti analisi degli effetti potenziali sulla salute dovuti alla dispersione di materiali radioattivi (RDD) si fondano essenzialmente sui dati concernenti i sopravvissuti giapponesi alle bombe atomiche, i test nucleari e le ricerche di laboratorio. La letteratura specializzata, in particolare quella che tratta delle ricerche di questi ultimi cinque anni, abbonda di dati ottenuti da lavori interdisciplinari sugli effetti degli attinidi e degli isotopi dell’uranio. La conferma dei casi di cancro alla tiroide [Nota 41: Little MP. «The proportion of thyroid cancers in the Japanese atomic bomb survivors associated with natural background radiation». J Radiol Prot 2002 ; 22:279–91.], di carcinoma epatocellulare [Nota 42: Sharp GB, Mizuno T, Cologne JB, Fukuhara T, Fujiwara S, Tokuoka S, et al. «Hepatocellular carcinoma among atomic bomb survivors: signifi cant interaction of radiation with hepatitis C virus infections». Int J Cancer 2003 ; 103:531–7.], di leucemia [Nota 43: Leenhouts HP, Brugmans MJ, Bijwaard H. «The implications of re-analysing radiation-induced leukaemia in atomic bomb survivors: risks for acute and chronic exposures are different». J Radiol Prot 2002 ; 22:A163–7.] e dei rischi che rappresenta l'esposizione acuta o cronica all’uranio [Nota 44: Fujikawa Y, Shizuma K, Endo S, Fukui M. «Anomalous 235U/238U ratios and metal elements detected in the black rain from the Hiroshima A-bomb». Health Phys 2003 ; 84:155–62.] ha messo in luce l’importanza delle conseguenze somatiche e genetiche della contaminazione tramite gli isotopi dell’uranio. La loro correlazione con i test in atmosfera delle armi nucleari è stata confermata ancora una volta nei recenti rapporti sui tassi di attinidi presenti nei mammiferi marini del Pacifico Settentrionale, che sono nettamente associati ad anni di test atomici e di piogge radioattive [Nota 45: Baskaran M, Hong GH, Dayton S, Bodkin JL, Kelley JJ. «Temporal variations of natural and anthropogenic radionuclides in sea otter skull tissue in the North Pacific Ocean». J Environ Radioact 2003 ; 64:1–18.]. Il riesame degli studi sui sopravvissuti di Hiroshima e di Nagasaki evidenzia non solamente l’impatto fisico, ma anche l’effetto psicologico che esercitano le armi atomiche sulle persone presenti in quelle città al momento dell’esplosione: disturbi psichiatrici, stati d’ansia, somatizzazione dei sintomi [Nota 46: Yamada M, Izumi S. «Psychiatric sequelae in atomic bomb survivors in Hiroshima and Nagasaki two decades after the explosions. Soc Psychiatry Psychiatr Epidemiol 2002 ; 37:409–15.]. Questo riesame indica con chiarezza che esistono effetti psicologici a lungo termine, che bisogna prendere in considerazione nel momento in cui si stanno preparando futuri conflitti.

Un altro recente rapporto che prende in considerazione i sopravvissuti di Nagasaki indica che gli effetti delle radiazioni sui sopravvissuti dovranno rappresentare un aspetto essenziale della procedura delle cure mediche al momento di conflitti futuri [Nota 47: Honda S, Shibata Y, Mine M, Imamura Y, Tagawa M, Nakane Y, et al. «Mental health conditions among atomic bomb survivors in Nagasaki». Psychiatry Clin Neurosci 2002 ; 56:575–83.]. I dati attuali sui test nucleari dimostrano che la mortalità infantile, le nascite premature e le morti fetali sono da associarsi, negli Stati Uniti, all’esposizione alle radiazioni [Nota 48: Tatham LM, Bove FJ, Kaye WE, Spengler RF. «Population exposures to I-131 releases from Hanford Nuclear Reservation and preterm birth, infant mortality, and fetal Deaths». Int J Hyg Environ Health 2002 ; 205:41–8.]. Le conseguenze per la salute e l’ambiente della contaminazione radioattiva, relativa ai numerosi siti dei test nel mondo intero, sono state rivalutate. Questi studi tengono conto degli effetti negativi della contaminazione radioattiva sui siti dei test nucleari, in particolare su quelli di Krasnoyarsk, in Siberia [Nota 49: Kisselev M, Kellerer AM. «The potential for studies in other nuclear installations. On the possibility of creating medico-dosimetry registries of workers at the Siberian Chemical Industrial Complex (SCIC) and the Mountain Chemical Industrial Complex (MCIC) in Tomsk, Krasnoyarsk». Radiat Environ Biophys 2002 ; 41:81–3.], del Kazakhstan [Nota 50: Grosche B, Land C, Bauer S, Pivina LM, Abylkassimova ZN, Gusev BI. «Fallout from nuclear tests: health effects in Kazakhstan». Radiat Environ Biophys 2002 ; 41:75–80.], dei monti Altaï [Nota 51: Shoikhet YN, Kiselev VI, Algazin AI, Kolyado IB, Bauer S, Grosche B. «Fallout from nuclear tests: health effects in the Altai region». Radiat Environ Biophys 2002 ; 41:69–73.], di Semipalatinsk, in Kasakhstan [Nota 52: Grosche B. «Semipalatinsk test site: introduction». Radiat Environ Biophys 2002 ; 41:53–5.], di Techa, negli Urali [Nota 53: Kossenko MM, Ostroumova E, Granath F, Hall S. «Studies on the Techa river offspring cohort: health effects». Radiat Environ Biophys 2002 ; 41:49–52.], fra il personale degli impianti nucleari di Mayak [Nota 54: Romanov SA, Vasilenko EK, Khokhryakov VF, Jacob S. «Studies on the Mayak nuclear workers: dosimetry». Radiat Environ Biophys 2002 ; 41:23–8.], nella Repubblica di Sakha (Yakuzia) [Nota 55: Gedeonov AD, Petrov ER, Alexeev IN, Kuleshova VG, Savopulo ML, Burtsev IS, et al. «Resid ual radioactive contamination at the peaceful underground nuclear explosion sites “Craton-3” and “Crystal” in the Republic of Sakha (Yakutia)». J Environ Radioact 2002 ; 60:221–34.], sull’isola di Amchitka, in Alaska [Nota 56: Dasher D, Hanson W, Read S, Faller S, Farmer D, Efurd W, et al. «An assessment of the reported leakage of anthropogenic radionuclides from the underground nuclear test sites at Amchitka Island, Alaska, USA to the surface environment». J Environ Radioact 2002 ; 60:165– 87.], in Finlandia e in Norvegia [Nota 57: Cross MA, Smith JT, Saxen R, Timms D. «An analysis of the environmental mobility of radiostrontium from weapons testing and Chernobyl in Finn ish river catchments». J Environ Radioact 2002 ; 60:149–63.]. Queste informazioni permettono di valutare in modo opportuno i rischi nel momento in cui bisogna prepararsi a reagire ad una crisi sanitaria estrema, provocata dall’uso di armi nucleari e radiologiche in caso di guerra o di attacco terroristico [Nota 58: Masella R. «Nuclear terrorism to cause ultimate health crisis. Todays» FDA 2002 ; 14:8–9.]. Queste conoscenze sulla dispersione di radio-nuclidi [Nota 59: Bennett BG. «Worldwide dispersion and deposition of radionuclides produced in atmospheric tests». Health Phys 2002 ; 82:644–55.] liberati nella biosfera, in tutto il mondo, vanno di molto oltre la competenza dell’attuale quadro della ricerca sperimentale e delle cure da apportare alle vittime delle radiazioni. Queste conoscenze presentano implicazioni sul futuro del pianeta! [Nota 60: Hoffman FO, Apostoaei AI, Thomas BA. «A perspective on public concerns about exposure to fallout from the production and testing of nuclear weapons». Health Phys 2002 ; 82:736–48.] .

Ricerche attuali sulle conseguenze sanitarie delle armi all’Uranio

La più importante contaminazione da radio-nuclidi è avvenuta nel 1991 durante la Prima Guerra del Golfo. L’Uranio Depleto (impoverito)(DU) utilizzato nei proiettili anticarro ha contaminato il territorio dell’Iraq esponendo cronicamente la popolazione e i soldati alle polveri, ai vapori e agli aerosol di DU. Un piccolo numero di soldati delle Forze della Coalizione è stato colpito dalle schegge di proiettili al DU. La lega delle granate al DU contiene per il 99,8 % Uranio238, che emette un 60% di radiazioni alfa, beta e gamma, rispetto all’Uranio naturale. Il DU è un metallo pesante, 1,6 volte più denso del piombo. È organotropo, vale a dire che si fissa su alcuni organi bersaglio, come i tessuti dello scheletro, dove va ad insediarsi per tantissimo tempo. Poco a poco, tende a dissolversi e gli isotopi di uranio vengono eliminati. Sono stati registrati nelle urine di ex combattenti della Guerra del Golfo, 10 anni dopo che costoro li avevano assorbiti per inalazione o attraverso ferite da schegge di proiettile. Studi sulla loro ripartizione tessutale dimostrano che avviene l’accumulo di DU nelle ossa, nell’apparato renale, nel sistema riproduttivo, nel cervello, nei polmoni, cosa che induce effetti geno-tossici, mutageni e cancerogeni, accompagnati ad alterazioni teratogene e nella riproduzione [Nota 61: Horan P, Dietz L, Durakovic A. «The quantitative analysis of depleted uranium isotopes in British, Canadian, and U.S. Gulf War veterans» [Nota published erratum appears in Mil Med 2003 ; 168:474]. Mil Med 2002 ; 167:620–7.].

Si sono registrate contaminazioni interne da isotopi di DU in ex combattenti della Prima Guerra del Golfo, britannici, canadesi ed americani, ancora dopo 9 anni dalla loro esposizione alla polvere radioattiva. Parimenti si è identificata la presenza di isotopi nei polmoni, nel fegato, nei reni e nelle ossa di un ex combattente Canadese, nel corso della sua autopsia. Questi organi contenevano forti concentrazioni di uranio, i rapporti isotopici rivelavano la presenza di DU. Ricerche effettuate nel 1991, anno della Prima Guerra del Golfo, suggerivano la presenza di uranio nell’organismo e nell’urina di ex combattenti, contaminati [Nota 62: Uranium Medical Research Centre. UMRC and research activities. Available from: www.umrc.net/umrcResearch. asp. Accessed: September 8, 2003.]. Degli impedimenti logistici e la controversia sul DU hanno ritardato l’approfondimento degli studi fino al 1998, anno in cui i veterani della Prima Guerra del Golfo sono stati sottoposti a diagnosi attraverso attivazione neutronica. Benché questo metodo sia dedicato al rilevamento di tracce di uranio, il suo uso precoce ha permesso di constatare una contaminazione importante. Gli esiti di queste ricerche sono stati presentati al Congresso Internazionale della Società per la Ricerca sulle Radiazioni, tenutosi a Dublino nel 1998.

Le ricerche sperimentali si sono succedute grazie al ricorso di un metodo più moderno, la spettrografia di massa, alla Memorial University of Newfoundland (St John’s, Terranova, Canada) e in seguito alla British Geological Survey (Nottingham, Inghilterra). Le due serie di studi hanno confermato concentrazioni e percentuali isotopiche di DU molto elevate nel 67 % dei campioni. La prima presentazione dei dati forniti dalla spettrografia di massa è avvenuta al Congresso Europeo di Medicina Nucleare, a Parigi nel 2000. Le ricerche sono continuamente progredite, dal rilevamento e la determinazione quantitativa del DU negli organismi di ex combattenti fino all’attuale valutazione degli effetti clinici della contaminazione da uranio in veterani della Prima Guerra del Golfo, nei civili Iracheni, nei soldati e civili dell’area Balcanica, nei civili Afgani, e più di recente, in abitanti della striscia di Gaza e della Cisgiordania. Il DU, scoria debolmente radioattiva del processo di arricchimento isotopico dell’uranio naturale, è stato identificato come un contaminante incontestabile presente nelle zone di conflitti militari summenzionati. Il suo ruolo eziologico nella genesi della sindrome del Golfo è stato l’oggetto di continue controversie dopo questa guerra. Le prove ben documentate della tossicità, tanto quella chimica che quella radiologica, degli isotopi di uranio sono state di recente l’oggetto di un grande numero di ricerche e di relazioni scientifiche sugli effetti tossici per l’organismo, mutageni, teratogeni e cancerogeni da parte di questi isotopi [Nota 63: McDiarmid MA, Keogh JP, Hooper FJ, McPhaul K, Squibb K, Kane R, et al. «Health effects of depleted uranium on exposed Gulf War veterans». Environ Res 2000 ; 82:168–80.]. Alcuni studi recenti di biodistribuzione in animali da laboratorio, nel corpo dei quali sono stati impiantati frammenti di DU, hanno confermato i risultati di studi antecedenti sulla biodistribuzione, secondo i quali i reni e le ossa sono dei centri recettivi per gli isotopi di uranio, come pure lo sono il sistema linfatico, respiratorio, riproduttivo e nervoso centrale [Nota 64: Gu G, Zhu S, Wang L, Yang S. «Irradiation of 235 uranium on the growth, behavior and some biochemical changes of brain in neonatal rats» [Nota in Chinese]. Wei Sheng Yan Jiu 2001 ; 30:257–9.].

Dopo più di un secolo, si conoscono gli effetti tossici dell’uranio in tema di chemio-tossicità renale, che sono stati confermati da recenti studi su cellule renali in vitro. Gli studi che riguardano gli effetti del DU sul sistema nervoso centrale hanno confermato la sua ritenzione nelle zone dell’ippocampo (N.d.tr.: una circonvoluzione cerebrale temporo-occipitale mediale, situata sulla faccia inferiore del cervello). Inoltre, si sono osservate modificazioni elettro-fisiologiche sul sistema nervoso delle cavie, nel corpo delle quali erano state impiantate piccole sfere di DU [Nota 65: Pellmar TC, Keyser DO, Emery C, Hogan JB. «Electrophysiological changes in hippocampal slices isolated from rats embedded with depleted uranium fragments». Neurotoxicology 1999 ; 20:785–92.]. Recentemente, alcuni effetti potenzialmente mutageni dovuti alla contaminazione interna di DU sono stati messi in correlazione temporale fra l’uranio impiantato e la manifestazione oncogena dei tessuti [Nota 66: Miller AC, Fuciarelli AF, Jackson WE, Ejnik EJ, Emond C, Strocko S, et al. «Urinary and serum mutagenicity studies with rats implanted with depleted uranium or tantalum pellets». Mutagenesis 1998 ; 13:643–8.], come pure l’instabilità genomica [Nota 67: Miller AC, Brooks K, Stewart M, Anderson B, Shi L, McClain D, et al. «Genomic instability in human osteoblast cells after exposure to depleted uranium: delayed lethality and micronuclei formation». J Environ Radioact 2003 ; 64:247–59.]. La trasformazione neoplastica degli osteoblasti umani in una coltura cellulare contenente DU conferma il rischio di cancro provocato dal DU [Nota 68: Miller AC, Blakely WF, Livengood D, Whittaker T, Xu J, Ejnik JW, et al: «Transformation of human osteoblast cells to the tumorigenic phenotype by depleted uranium-uranyl chloride». Environ Health Perspect 1998 ; 106:465–71.]. Questo corrisponde a ciò che si conosce sui rischi cancerogeni che il DU provoca sulle cellule endobronchiali, determinati dalla carica polmonare durante l’inalazione di aerosol [Nota 69: Durakovic A, Dietz L, Zimmerman I. «Evaluation of the carcinogenic risk of depleted uranium in the lungs of Gulf War veterans». In: Hansen HH, Demer B, editors. Proceedings of the 10th World Congress on Lung Cancer ; 2003 Aug 10-14 ; Vancouver, Canada. London: Elselvier ; 2003. S. S252 P-634.] – rischi cancerogeni subiti dai polmoni di ex combattenti della Prima Guerra del Golfo. Il rischio veniva valutato applicando il metodo di Battelle di simulazione del liquido polmonare interstiziale e attraverso l’analisi di campioni di urine delle 24 ore di un veterano, che contenevano 0,150 mg di DU, 9 anni dopo l’esposizione per inalazione [Nota 70: Durakovic A, Horan P, Dietz LA, Zimmerman I. «Estimate of the time zero lung burden of depleted uranium in Persian Gulf War veterans by the 24-hour urinary excretion and exponential decay analysis». Mil Med 2003 ; 168:600–5.]. Si è accertato che, al momento dell’esposizione, la carica polmonare corrispondeva a 1,54 mg di DU, con una dose di radiazione alfa di 4,4 millisieverts (mSv) durante il primo anno e di 22,2 mSv, 10 anni dopo l’esposizione. Questi valori vanno ben oltre le dosi di inalazione al massimo tollerabili di DU e giustificano le nuove ricerche sulla possibilità di modificazioni maligne al livello polmonare.

Queste raccolte di dati sull’uomo sono molto importanti, quando si prendono in considerazione le recenti prove sugli effetti mutageni delle particelle alfa su cellule marcate e le instabilità cromosomiche delle cellule del midollo osseo umano generate dalle radiazioni alfa [Nota 71: Kadhim MA, Macdonald DA, Goodhead DT, Lorimore SA, Marsden SJ, Wright EG. «Transmission of chromosomal instability after plutonium alpha-particle irradiation». Nature 1992 ; 355:738–40.] [Nota 72: Kadhim MA, Lorimore SA, Hepburn MD, Goodhead DT, Buckle VJ, Wright EG. «Alpha-particle-induced chromosomal instability in human bone marrow cells». Lancet 1994 ; 344:987–8.]. L’instabilità cromosomica, dovuta alle particelle alfa, esplica chiaramente gli effetti mutageni osservati nei veterani britannici della Guerra del Golfo, positivi al DU, come di recente ha dimostrato lo studio sui linfociti periferici presentato all’Università di Brema [Nota 73: Schroder H, Heimers A, Frentzel-Beyme R, Schott A, Hoffmann W. «Chromosome aberration analysis in peripheral lymphocytes of Gulf War and Balkans War veterans». Radiat Prot Dosimetry 2003 ; 103:211–9.]. Questo risultato corrisponde a quello di precedenti studi sulle instabilità cromosomiche provocate da deboli dosi di particelle alfa (nuclei di elio, con due protoni), raffrontate con gli identici effetti provocati dall’irraggiamento con protoni. [Nota 74: Nagasawa H, Little JB. «Induction of sister chromatid exchanges by extremely low doses of alpha-particles». Cancer Res 1992 ; 52:6394–6.]. Gli studi sugli effetti delle particelle alfa e i recenti progressi sull’irradiazione di cellule di mammiferi, attraverso microfascio, permettono di valutare con precisione il percorso di un’unica particella alfa attraverso il nucleo della cellula e di misurarne gli effetti cancerogeni [Nota 75: Miller RC, Randers-Pehrson G, Geard CR, Hall EJ, Brenner DJ. «The oncogenic transforming potential of the passage of single alpha particles through mammalian cell nuclei». Proc Natl Acad Sci USA 1999 ; 96:19–22.].

Benché i meccanismi della mutagenicità e degli effetti cancerogeni delle particelle alfa inalate restino ancora oscuri, si è osservato che deboli dosi di particelle alfa possono provocare modificazioni dei cromatidi nelle cellule umane normali [Nota 76: Lehnert BE, Goodwin EH, Deshpande A. «Extracellular factor(s) following exposure to alpha particles can cause sister chromatid exchanges in normal human cells». Cancer Res 1997 ; 57:2164–71.]. Le implicazioni pratiche di questi studi sono importanti, tenuto conto del fatto che più del 10 % di tutti i decessi per tumore negli Stati Uniti sono dovuti ad un deposito polmonare di particelle alfa [Nota 77: Kennedy CH, Mitchell CE, Fukushima NH, Neft RE, Lechner JF. «Induction of genomic instability in normal human bronchial epithelial cells by 238Pu alpha-particles». Carcinogenesis 1996 ; 17:1671–6.]. Inoltre, sono importanti in ragione dell’instabilità genomica delle cellule bronchiali umane provocata dalle particelle alfa, fenomeno ben documentato [Nota 78: Yang ZH, Fan BX, Lu Y, Cao ZS, Yu S, Fan FY, et al. «Malignant transformation of human bronchial epithelial cell (BEAS-2B) induced by depleted uranium» [Nota in Chinese]. Ai Zheng 2002 ; 21:944–8.]. Le cellule polmonari umane si sono rivelate più sensibili agli effetti nocivi delle particelle alfa di quelle della maggior parte degli animali da laboratorio. La valutazione quantitativa del rischio radiologico, conseguente all’inalazione di aerosol di uranio, deve tenere in considerazione i meccanismi di deposito delle particelle alfa e la loro eliminazione, mediante migrazione nei gangli linfatici polmonari e tracheo-bronchiali, attraverso la barriera alveolo-capillare, o per espettorazione e migrazione nel sistema rino-faringeo o gastro-intestinale. Il modello di eliminazione delle particelle (ICRP-66) permette una moderna valutazione del deposito delle particelle di uranio e della loro eliminazione, così come la valutazione degli aerosol di uranio inalato e la loro dosimetria interna. La ricerca ha determinato con la massima certezza un diametro delle particelle pari a 0.5-0,6 millesimi di millimetro [Nota 79: Farfan EB, Huston TE, Bolch WE, Vernetson WG, Bolch WE. «Influences of parameter uncertainties within the ICRP-66 respiratory tract model: regional tissue doses for 239 PuO2 and 238 UO2/238 U3O8». Health Phys 2003 ; 84:436–50.].

I polmoni rimangono la principale porta di ingresso degli isotopi di uranio nell’organismo, e i tessuti dell’apparato scheletrico costituiscono il bersaglio finale. Alcuni recentissimi studi sull’esposizione cronica ai minerali di uranio naturale hanno prodotto argomenti comprovanti i rischi di tumori polmonari, sia benigni che maligni [Nota 80: Simmons JA, Cohn P, Min T. «Survival and yields of chromosome aberrations in hamster and human lung cells irradiated by alpha particles». Radiat Res 1996 ; 145:174–80.]. Altre ricerche indicano allo stesso modo che il DU può causare danni ossidativi al DNA, producendo per catalisi perossido di idrogeno (acqua ossigenata) e determinando le reazioni con acido ascorbico [Nota 81: Miller AC, Stewart M, Brooks K, Shi L, Page N «Depleted uranium-catalyzed oxidative DNA damage: absence of significant alpha particle decay». J Inorg Biochem 2002 ; 91:246–-52.]. La morte cellulare provocata dalle radiazioni, le alterazioni cromosomiche, le trasformazioni cellulari, le mutazioni e la carcinogenesi sono essenzialmente la conseguenza delle radiazioni depositate all’interno del nucleo della cellula. Le radiazioni di debole intensità possono provocare una instabilità genomica in assenza di effetti evidenti provocati da un rilascio di dosi più elevate, accentuando l’importanza degli effetti di prossimità delle radiazioni di debole intensità costituite da particelle alfa [Nota 82: Busby C. Science on trial: on the biological effects and health risks following exposure to aerosols produced by the use of depleted uranium weapons. Available from: HYPERLINK "http://www.llrc.org/du/duframes.htm" www.llrc.org/du/duframes.htm. Accessed: September 5, 2003.] [Nota 83: Morgan WF. «Genomic instability and bystander effects: a paradigm shift in radiation biology?» Mil Med 2002 ; 167 (2 Suppl):44–5.]. Scambi di segmenti di cromosomi omologhi possono provocare modificazioni del nucleo della cellula che si traducono in mutazioni genetiche, interagendo con il citoplasma cellulare. Questi effetti nocivi vanno contro l’idea secondo cui deboli dosi di radiazioni non possono provocare alterazioni geniche.

Sindromi delle guerre del Golfo e dei Balcani

Nel corso della Prima Guerra del Golfo, almeno 350 tonnellate di DU si sono depositate sull’ambiente, e fra i 3 e i 6 milioni di grammi di aerosol di DU sono stati liberati nell’atmosfera. Il risultato, la sindrome della Guerra del Golfo, è un disordine multiorganico invalidante complesso. Al principio, si pensava che a provocarlo fosse l’inalazione della sabbia del deserto (morbo di Al-Eskan). In seguito, divenne l’oggetto di molteplici descrizioni e denominazioni, il cui numero risulta inversamente proporzionale alle effettive conoscenze che noi abbiamo della malattia. I sintomi di questa malattia progressiva sono tanto numerosi quanto le denominazioni. In particolar modo, siamo in presenza di uno stato di debolezza invalidante, di dolori muscolo-scheletrici e alle articolazioni, di mal di testa, di turbe neuro-psichiatriche, di sbalzi di umore, di confusione mentale, di disturbi visivi, di disturbi alla deambulazione, di perdite della memoria, di linfo-adenopatie, di deficienza respiratoria, di impotenza, di alterazioni morfologiche e funzionali del sistema urinario. Di primo acchito, questa sindrome è stata sottovalutata, poi riconosciuta come sindrome progressiva. A volte considerata come malattia immaginaria, in seguito è stata qualificata come una variante cronica della sindrome da affaticamento cronico, come stress post-traumatico, per essere finalmente riconosciuta in alcuni paesi come un’entità distinta, ma non in tutti.

Si sono scoraggiate le ricerche obiettive in materia di eziologia e di patogenicità della sindrome della Guerra del Golfo, ritardando gli studi clinici, o indirizzandoli su percorsi sbagliati, vale a dire ostacolandoli, situazioni che hanno prodotto numerosi effetti nefasti su carriere scientifiche, quando queste ricerche non corrispondevano agli interessi industriali o politici. La nostra attuale comprensione della sua eziologia è ben lontana dall’essere soddisfacente. Alcuni autori suppongono che le cause comprendano le maree nere e gli incendi dei pozzi di petrolio, altri mettono in causa i vaccini preventivi e altri ancora pensano ad agenti biologici o chimici, come pure a modificazioni multifattoriali e aspecifiche del sistema immunitario e all’esposizione agli aerosol di DU [Nota 84: Sartin JS. «Gulf War illnesses: causes and controversies». Mayo Clin Proc 2000 ; 75:811–9.]. La carenza di coordinazione negli sforzi di ricerche interdisciplinari fa che questa sindrome complessa, denominata provvisoriamente «sindrome della Guerra del Golfo» e «sindrome dei Balcani», entri nel suo secondo decennio di confusione. La questione dei criteri che consentono la classificazione non è sempre ben definita [Nota 85: Jamal GA. «Gulf War syndrome – a model for the complexity of biological and environmental interaction with human health». Adverse Drug React Toxicol Rev 1998 ; 17:1–17.]. Il miglior esempio della diversità delle sue classificazioni è la diversità delle sue denominazioni. L’analisi fattoriale di Haley conduce a 6 categorie prevalenti, che comprendono 3 sindromi importanti, e a non meno di 17 sindromi minori [Nota 86: Haley RW, Kurt TL, Hom J. «Is there a Gulf War Syndrome? Searching for syndromes by factor analysis of Symptoms» [Nota published erratum appears in JAMA 1997 ; 278:388]. JAMA 1997 ; 277:215–22.]. Altri tentativi di classificazione comprendono delle denominazioni come, fra le tante altre, sindrome neuro-immunitaria, sindrome mucocutanea- intestinale- reumatoide del deserto, sindrome da stress post-traumatico, ecc. [Nota 87: Murray-Leisure K, Daniels MO, Sees J, Suguitan E, Zangwill B, Bagheri S, et al. «Mucocutaneous-intestinalrheumatic desert syndrome (MIRDS). Definition, histopathology, incubation period and clinical course and association with desert sand exposure». The International Journal of Medicine 1977 ; 1:47–72.]. Quantunque alcune delle cause supposte, come le maree nere, gli incendi dei pozzi di petrolio e le polveri delle sabbie, potrebbero benissimo applicarsi alla Prima Guerra del Golfo, nel caso dei conflitti nei Balcani non possono assolutamente essere considerate come fattori eziologici. Invece, in entrambe le aree di conflitto sono state utilizzate munizioni anticarro. Le prove sempre più numerose, nella letteratura recente, di una contaminazione da DU nei veterani della Prima Guerra del Golfo, dall’interno dell’organismo, per le due situazioni belliche si devono scontrare con i tentativi continui di minimizzare l’esistenza di questo tipo di contaminazione. L’eliminazione di isotopi di DU da parte dei soldati contaminati e ammalati va ben al di là dei 10 anni dall’esposizione, in riferimento alla Prima Guerra del Golfo, e dei 7 anni dopo il conflitto Balcanico. La maggior parte degli altri fattori suggeriti dovrebbe essere riesaminata nel quadro di una valutazione del tempo di dimezzamento biologico del DU e dei possibili impatti sanitari progressivi sull’organismo [Nota 88: Durakovic A, Dietz L, Zimmerman I. «Estimate of the pulmonary neoplastic hazard of inhaled depleted uranium in Gulf War veterans». Proceedings of ECCO12, The European Cancer Conference ; 2003 Sept 21-25 ; Copenhagen, Denmark. Forthcoming 2003.]. Questi fattori comprendono in particolar modo agenti chimici di debole intensità, gli incendi dei pozzi petroliferi, l’immunizzazione, il botulismo, le aflato-tossine, i micoplasmi. Il lungo tempo di dimezzamento fisico e biologico, la disintegrazione delle particelle alfa e la prova sicura della tossicità radiologica somatica e genetica permettono di supporre che il DU giochi un ruolo importante nella genesi delle sindromi della Guerra del Golfo e dei Balcani.

Bisogna deplorare l’assenza flagrante di ricerche attendibili ed esaustive sulla correlazione fra queste sindromi e la contaminazione da DU. La maggior parte degli studi che affermano la non presenza di effetti somatici da parte del DU nelle zone del conflitto in Bosnia-Erzegovina [Nota 89: Sumanovic-Glamuzina D, Saraga-Karacic V, Roncevic, Milanov A, Bozic T, Boranic M. «Incidence of major congenital malformations in a region of Bosnia and Herzegovina allegedly polluted with depleted uranium». Croat Med J 2003 ; 44:579–84.] non tengono conto delle concentrazioni reali di isotopi di uranio in campioni ambientali o umani. Quindi, le loro conclusioni non possono avere il crisma dell’obiettività, in assenza della quantificazione della concentrazione e del rapporto isotopico dell’uranio. Allo stesso modo, non si dà conto in modo credibile del forte aumento dei tassi di tumori nei veterani della Prima Guerra del Golfo [Nota 90: Aitken M. «Gulf war leaves legacy of cancer». BMJ 1999 ; 319:401.]. E non esistono programmi di ricerche obiettive ed indipendenti su queste questioni, se non gli studi effettuati dall’Uranium Medical Research Center (UMRC). L’UMRC è la sola istituzione ad avere effettuato di continuo ricerche concernenti la contaminazione interna da parte del DU, sulle quali non ha mai cessato di comunicare in modo scientifico e professionale. Il Centro ha fatto ricorso ai metodi ultra-moderni di ionizzazione termica e di spettrografia di massa. Questi metodi hanno permesso di identificare dallo 0,2 allo 0,33 % di U235 nei veterani della Prima Guerra del Golfo, valori che indicano una concentrazione urinaria di uranio di 150 ng/l (ng/l, nanogrammo per litro di urina, 1 miliardesimo di grammo di uranio per litro di urina) al momento dell’esposizione, mentre la popolazione del Golfo non esposta presentava delle percentuali che variavano da 0,7 a 1,0% d’U235, valori indicativi di una concentrazione urinaria di uranio di 14 ng/l.

Ricerche condotte in Afghanistan

Le ricerche dell’UMRC condotte attraverso l’analisi dell’urina di ex combattenti della Prima Guerra del Golfo erano state effettuate parecchi anni dopo l’esposizione, mentre le ricerche più recenti fondate sull’esame di campioni biologici ed ambientali hanno coinciso con l’Operazione «Enduring Freedom» condotta in Afghanistan dal 2001. Questo paese ha offerto l’opportunità di condurre una ricerca in un momento parallelo a quello del conflitto. L’Operazione Anaconda terminava proprio nel momento in cui la prima squadra dell’UMRC entrava nella parte orientale dell’Afghanistan. Le ricerche dell’UMRC condotte sulla popolazione delle zone di Jalalabad, Spin Gar, Tora Bora e all’aeroporto di Kabul hanno identificato dei civili che soffrivano dei medesimi sintomi multiorganici non specifici relativi ai soggetti della Prima Guerra del Golfo e di quella dei Balcani: spossatezza fisica, mal di testa, dolori muscolari ed ossei, modificazioni respiratorie, tosse secca persistente, dolori al torace, disturbi gastro-intestinali, sintomi neurologici, perdite di memoria, stati d’ansia e di depressione. Sono stati raccolti campioni di urina delle 24 ore dei soggetti che presentavano i sintomi e di soggetti provatamente asintomatici, secondo i seguenti criteri:

1) Apparizione dei sintomi in coincidenza con i bombardamenti ; 2) Soggetti presenti nelle aree bombardate ; 3) Manifestazioni cliniche.

I soggetti del gruppo di «riferimento»venivano selezionati fra i residenti asintomatici di zone non bombardate. Veniva effettuata una valutazione della contaminazione ambientale grazie ad analisi di campioni di terreno, di polvere [Nota 91: Schmidt LJ. When the dust settles. Available from: http://earthobservatory.nasa.gov/Study/Dust/. Accessed: September 5, 2003.], di macerie e di acqua potabile [Nota 92: Hakonson-Hayes AC, Fresquez PR, Whicker FW. «Assessing potential risks from exposure to natural uranium in well water». J Environ Radioact 2002 ; 59:29–40.], secondo criteri stabiliti per la valutazione della dispersione, dei pericoli derivati dagli attinidi e della raccolta, dopo impatto, di campioni ambientali. Tutti i soggetti, compresi quelli del gruppo di «riferimento», venivano informati a proposito del protocollo metodologico e della raccolta dei campioni usando le lingue locali, il dari e il pachto, e firmavano un formulario di consenso. Tutti i campioni venivano sottoposti ad una analisi di concentrazione di rapporto fra i quattro isotopi di uranio: U234, U235, U236 e U238, nei laboratori del British Geological Survey di Nottingham (Inghilterra), tramite uno spettrometro di massa multicollettore a sorgente di ionizzazione plasmatica ad accoppiamento induttivo.

I primi risultati relativi alla provincia di Nangarhar hanno rivelato un aumento significativo di eliminazione urinaria di uranio nella totalità dei soggetti, in media più di 20 volte elevata rispetto ai soggetti non esposti. L’analisi delle percentuali isotopiche ha rivelato la presenza di DU [Nota 93: Durakovic A, Parrish R, Gerdes A, Zimmerman I. «The quantitative analysis of uranium iso topes in the urine of civilians after Operation Enduring Freedom in Jalalabad, Afghanistan» [Nota abstract]. Health Phys 2003 ; 84 June Suppl: S. 198–9.]. Analisi di campioni effettuate nel corso di una seconda spedizione scientifica, nel 2002, hanno evidenziato concentrazioni di uranio fino a 200 volte più elevate rispetto ai soggetti del gruppo di “riferimento”. Queste concentrazioni elevate di eliminazione di uranio totale sono state misurate nei distretti di Tora Bora, Yaka Toot, Lal Mal, Makam Khan Farm, Arda Farm, Bibi Mahro, Poli Cherki e all’aeroporto di Kabul. Le due spedizioni hanno rivelato tracce identiche di uranio non impoverito (NDU) in tutte le zone Orientali dell’Afghanistan prese in considerazione. I tassi di uranio registrati nei campioni di terreno prelevati su siti bombardati nel corso dell’Operazione «Enduring Freedom» erano da 2 a 3 volte più elevati rispetto ai tassi di concentrazione di 2-3 mg/kg (mg di uranio per Kg di terreno) osservati in tutto il mondo. Le concentrazioni nell’acqua erano significativamente più elevate rispetto a quelle massime tollerate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Le ricerche dell’UMRC si estendevano al Centro, all’Ovest e al Nord dell’Afghanistan. Oltre al proseguimento delle ricerche sulle analisi delle urine per misurare la concentrazione degli isotopo dell’uranio, si è dato luogo ad una collaborazione interdisciplinare dedicata all’esame clinico approfondito delle funzioni renali e polmonari, a studi citogenici delle aberrazioni cromosomiche nel sangue periferico dei soggetti contaminati, a ricerche al microscopico elettronico e sulle nanopatologie di campioni di tessuti provenienti da biopsie e da autopsie. Ricerche longitudinali su ex combattenti della Prima Guerra del Golfo e sulla popolazione dell’Afghanistan Orientale proseguono pari passo alle ricerche sulle malattie inesplicabili dei veterani della Seconda Guerra del Golfo. Studi clinici organizzati in centri medici universitari internazionali e di istituzioni di ricerca stanno valutando gli effetti del DU e del NDU sui sistemi renali e respiratori, utilizzando metodi moderni di morfologia funzionale e di rappresentazioni informatiche. Le ricerche spazieranno soprattutto sulla trasformazione neoplastica [Nota 94: Miller AC, Xu J, Stewart M, Prasanna PG, Page N. «Potential late health effects of depleted uranium and tungsten used in armor-piercing munitions: comparison of neoplastic transformation and genotoxicity with the known carcinogen nickel». Mil Med 2002 ; 167 (2 Suppl):120–2.], l’apoptose cellulare (in biologia, il termine apoptosi indica una forma di morte cellulare programmata. Si tratta di un processo ben distinto rispetto alla necrosi cellulare, forma di morte cellulare risultante da un acuto stress o trauma cellulare, e in condizioni normali contribuisce al mantenimento del numero di cellule di un sistema. L'apoptosi è portata avanti in modo ordinato e regolato, generalmente porta ad un vantaggio durante il ciclo vitale dell'organismo (è infatti chiamata da alcuni morte altruista o morte pulita). Durante il suo sviluppo, ad esempio, l'embrione umano presenta gli abbozzi di mani e piedi “palmati”: affinché le dita si differenzino, è necessario che le cellule che costituiscono le membrane interdigitali muoiano. Dagli inizi degli anni ’90 la ricerca sull'apoptosi ha visto una crescita spettacolare. Oltre alla sua importanza come fenomeno biologico, ha acquisito un enorme valore medico, infatti processi difettosi di apoptosi riguardano numerose malattie. Una eccessiva attività apoptotica può causare disordini da perdita di cellule, si vedano ad esempio alcune malattie neurodegenerative, come il morbo di Parkinson, mentre una apoptosi carente può implicare una crescita cellulare incontrollata, meccanismo alla base delle neoplasie), la mutagenesi [Nota 95: Miller AC, Xu J, Stewart M, McClain D. «Suppression of depleted uranium-induced neoplastic transformation of human cells by the phenyl fatty acid, phenyl acetate: chemoprevention by targeting the p21RAS protein pathway». Radiat Res 2001 ; 155 (1 Pt 2):163–170.] e i rischi cancerogeni [Nota 96: Durakovic A, Dietz L, Zimmerman I. «Differential decay analysis of the alpha dose of depleted uranium and the neoplastic risk in the lungs of Gulf War veterans» [Nota abstract]. J Nucl Med 2003 ; 44 (suppl):326P.]. Ricerche sulla contaminazione ambientale e sulla biodistribuzione spazieranno sugli effetti acuti e cronici dei composti di isotopi d’uranio e verranno determinate le dosi di accumulo di radiazioni e i loro effetti biologici dal momento dell’introduzione della guerra radioattiva. Attualmente, gli studi sui terreni nelle zone dove hanno avuto luogo dei combattimenti vengono estesi alla popolazione civile dell’Iraq, della striscia di Gaza, dei Balcani e di nuove aree dell’Afghanistan. Le nostre ricerche hanno confermato la scoperta di U236 nei campioni di terreno di zone bombardate del Kosovo e la presenza di particelle di DU. Questi campioni contenevano centinaia di particelle per milligrammo di terreno contaminato, di cui il 50% di queste particelle di diametro inferiore a 1,5 millesimi di millimetro e le altre di diametro inferiore a 5 millesimi di millimetro [Nota 97: Danesi PR, Markowicz A, Chinea-Cano E, Burkart W, Salbu B, Donohue D, et al. «Depleted uranium particles in selected Kosovo samples». J Environ Radioact 2993 ; 64:143–54.].

Conclusione

La guerra moderna chimico-biologico-nucleare CBRN e la possibilità che dei terroristi utilizzino clandestinamente dei congegni per la dispersione di sostanze radioattive forniscono una nuova dimensione alla gestione di masse di vittime. Il ruolo della medicina nella guerra nucleare e radiologica è limitato dalla totale mancanza di capacità di reagire alle conseguenze complesse della sindrome radiologica acuta, delle ferite composte e della contaminazione della biosfera e della popolazione umana. Nuove malattie ad eziologia inspiegabile, la patogenesi e le manifestazioni cliniche costringono i medici ad intervenire quando le modalità di trattamento presentano problemi privi di soluzione. Gli effetti nocivi dei radionuclidi che si sono depositati nell'organismo come conseguenza dei conflitti militari degli ultimi decenni, in particolare gli effetti degli isotopi di uranio, sono trattati con dovizia nella recente letteratura. La necessità di analisi interdisciplinari, ben predisposte e coordinate, sulle conseguenze ambientali e mediche della guerra CBRN, generando inevitabili progressi in una ricerca oggettiva e non tergiversante, che mira a fare luce completa sulle malattie inspiegabili che si sono succedute ai conflitti, produrrà conoscenze approfondite in questo capitolo impegnativo della scienza medica.

Nota
(***) “Era di domenica, erano circa le cinque, ed io mi stavo recando da mio fratello. Ho inteso un’esplosione ed ho visto una nube.” Nel 1957, Vassili Chevtchenko era capo del laboratorio di dosimetria presso il “combinat Mayak”. L’esplosione, evocata dal suo ricordo, veniva prodotta il 29 settembre nel complesso militare di Tchelyabinsk 40, a qualche centinaio di metri dalla centrale, in un sito di stoccaggio costituito da 16 contenitori, serbatoi senza copertura, che in caso di pioggia traboccavano. “All’origine dell’incidente era stata la cattiva concezione del sistema di controllo e di raffreddamento,” così spiega oggi l’ingegnere Eugène Drozhko. Il serbatoio esploso conteneva 160 m3 di scorie altamente radioattive in soluzione liquida. Qualcosa come 20 milioni di curies. Due milioni di curies venivano diffusi all’esterno. Il piccolo borgo di Kychtym, a qualche chilometro da Tchélyabinsk 40, ha dato il suo nome a questa prima catastrofe nucleare della storia. Il biologo, Zhorès Medvedev, che si trovava rifugiato a Londra, dal 1976 aveva rivelato l’accaduto, superando i tanti ostacoli; fino a quando, nel giugno 1989 un rapporto ufficiale rivelava il caso in tutti i particolari. In compenso, la città segreta di Tchélyabinsk 40 e il suo complesso militare non venivano mai associati a Kychtym. Sono già cinquant’anni che una striscia di terra lunga 100 chilometri e larga dagli otto ai dieci chilometri è stata contaminata. Si tratta di 1000 km2 che hanno ricevuto la soglia critica di due curies/ km2. Nei giorni e nelle settimane che seguirono, vennero evacuate 10.000 persone. Ventitré villaggi evacuati.

Guennadi Romanov, direttore del laboratorio ONIS, un centro di ricerche creato nel 1959 nell’ambito del “combinat Mayak” per studiare le conseguenze dell’incidente, dichiarava: “Le scorie erano ricadute su un territorio di ristrette dimensioni. Non venivano disperse come a Tchernobyl, e questo ha facilitato la decontaminazione.” A tutt’oggi, è stato calcolato che l’80% della zona inquinata ha potuto essere ripristinata. Romanov ha affermato che i sovkhoz situati nelle zone periferiche di quell’area possono ancora sfruttare 59.000 ettari di terreno agricolo. Rimangono 19.000 ettari trasformati in riserva, immensi territori da sperimentazione per i ricercatori dell’ONIS. Trentatre anni dopo l’incidente, si possono riscontrare ancora fino a 500 curies/ km2, come sulle rive del lago Oussouskoul, dove le carpe, che nessuno si sogna più di pescare, sono diventate enormi. Del villaggio di Sotlikovo, dove vivevano circa 400 persone, non resta che una vasta distesa di erbacce. Guennadi Romanov spiega che la migrazione dei radionuclidi nel terreno è molto lenta, dopo trent’anni dall’incidente la concentrazione degrada da zero a cinque centimetri. Questa è una prima lezione che si ricava dall’incidente. Per riabilitare i terreni, si sono dovuti rivoltare in profondità 20.000 ettari, fino alla profondità di 50 centimetri. Le ricerche effettuate dagli scienziati dell’ONIS sulle piante dimostrano che queste assorbono solo un centesimo di radioattività per anno. Un risultato che, secondo Guennadi Romanov, dimostra l’inutilità del ricorso ai vegetali per la decontaminazione. Per contro, Romanov assicura che gli ecosistemi hanno ben resistito. Passato il primo anno, è stato registrato un aumento della popolazione, per esempio dei cervi o degli uccelli. Risultati più sorprendenti ancora, i ricercatori di ONIS che hanno studiato la popolazione dei laghi dichiarano di avere constatato sugli individui che sono sopravvissuti alla polluzione, una resistenza 1,5 volte più forte alle radiazioni. Dopo 30 anni, nella regione di Tchélyabinsk 28.000 persone sono l’oggetto di osservazione sanitaria “Le dosi massime fatte registrare da 1200 persone sono state di 52 rems,” afferma Guennadi Romanov. “Non sono state riscontrate patologie dovute a radiazioni e non si è riscontrato un significativo aumento della percentuale di tumori nel corso di trent’anni,” ha aggiunto, consapevole che su questo terreno le convinzioni sono difficili da superare. Del resto, il suo ottimismo non cerca proprio di creare illusioni: “Tchernobyl, è una Kychtym moltiplicata per cento.”

Fonte: www.voltairenet.org
http://www.voltairenet.org/article151597.html
(Traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova chinino@tiscali.it)
(Segnalato da Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia)

Asaf Durakovic dell’Uranium Medical Research Center (Washington D.C., Stati Uniti)

Fonte

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