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Trasformismo malattia senile del moderatismo

(27 Gennaio 2008)

La caduta del governo Prodi, nelle forme e nelle modalità con cui si è verificata, merita alcune riflessioni sparse: in più l'apertura di una nuova fase politica reclama, da parte della sinistra d'alternativa, la risposta ad alcuni interrogativi che, pure, si cercherà di porre in conclusione di questo intervento.

Allora: partiamo dalla caduta del governo. Le ragioni di questo esito sono molteplici ed abbiamo anche cercato, nel corso di questi mesi, di segnalarle a più riprese tentando di chiedere alla cosiddetta “sinistra radicale di governo” di cambiare rotta ed uscire, per tempo, da una situazione che si profilava, con grande chiarezza, di vero e proprio disastro.

Alla fine, però, il governo è stato battuto grazie al trasformismo di alcuni notabili, ben legati a definite logiche di potere assunte in assoluta sintonia con la trasformazione della realtà politica, avvenuta nel corso degli ultimi 20 anni, almeno dall'assunzione della logica del “personalismo maggioritario” ormai imperante, ben al di là del sistema elettorale in vigore.

Intendo dire che gli inauditi signori che gli italiani hanno visto in azione nel corso del dibattito parlamentare sulla sfiducia quali fiancheggiatori e portaborse di alcuni leader celebrati all'interno di soggetti politici formatisi in Parlamento, non sono né più né meno che gli antichi notabili del tempo della “permanente” e della “consorteria” nella Camera ottocentesca: siamo tornati indietro fino a quel punto, alla riaffermazione di una politica legata a schemi risalenti all'epoca pre-industriale.

Appare clamoroso come, da un lato, si predichi la velocità dell'azione di governo, la governabilità come valore, si fondino partiti con vocazione “maggioritaria” e, contemporaneamente, si basi tutto questo su una idea così antiquata del ruolo istituzionale, di cui il trasformismo (eccellentemente esercitato anche in questa occasione) è sempre stato componente fondamentale.

Dispiace che anche “Sinistra Critica”, alla fine, si sia allineata a questo stato di cose: per essere credibili bisognava non votare contro, ma uscire dal Parlamento a tempo debito facendo una seria autocritica delle ragioni che avevano indotto certi compagni ad entrare nelle liste di Rifondazione Comunista, quando – fin dal 2003 – lo scenario era assolutamente chiaro, al di là di qualsivoglia velleità di tipo correntizio.

Tornando ai temi di analisi più generali:non si tratta, quindi, semplicemente di coalizioni formate in maniera raccogliticcia sul solo collante del “vincere ad ogni costo”, ma -ripeto – di un vero e proprio ritorno all'indietro della concezione della politica, ai tempi precedenti alla formazione dei partiti di massa.

In questo quadro l'arroganza e l'insipienza politica dei dirigenti del PD appare gigantesca: non aver compreso, nella situazione che andava profilandosi, il dato su cui mi sono soffermato prima collegato alla inevitabile operazione di riallineamento del sistema politico che la formazione del PD avrebbe portato, è stato un errore di analisi assolutamente decisivo, tale che – in condizioni “normali” – dovrebbe far pensare ad un ricambio totale del gruppo dirigente. Ma non siamo in condizioni “normali” e quella palingenesi, che pure sarebbe necessaria non avverrà e tutto andrà avanti, rotolando per la china, probabilmente verso elezioni anticipate dall'esito scontato.

Paradossalmente, e limitandoci al discorso della dinamica politica tralasciando una analisi dei contenuti sul terreno economico – sociale, l'occasione potrebbe essere utile, a sinistra, per aprire un forte dibattito di cui mi limito, in conclusione, di tracciare i contorni.

Durante l'attività del governo appena uscito di scena, abbiamo sempre avuto chiaro il destino fallimentare della cosiddetta “sinistra radicale di governo”: via, via, questo fallimento è stato chiaro anche agli occhi di moltissimi militanti che hanno abbandonato i partiti di provenienza, oppure, essendo senza partito, hanno assunto posizioni vieppiù critiche e radicali. I segnali, in questo senso, ci sono stati abbondantemente tutti. Ora, sono possibili due strade: lanciare da subito l'idea di una Linke italiana che si sovrapponga all'esausta “Cosa Rossa”, proclamando da subito la necessità di una presenza politica (ed istituzionale) di una sinistra d'opposizione che si presenti unitariamente nelle sue diverse componenti, elaborando un itinerario dal basso (assemblee regionali autoconvocate?) che costruisca un nuovo soggetto. Voglio essere chiaro, su di un punto decisivo: non si potrà trattare di un soggetto identitario, sono diverse le tradizioni rimaste fuori dall'arena politica, in particolare quella di una seria socialdemocrazia di sinistra, profondamente riformatrice, le cui istanze possono affiancarsi, non strumentalmente, ad opzioni collocate in una posizione più dichiaramente “classista” e di matrice comunista (tra l'altro, sempre riferendoci alla tradizione, non ci sono problemi di simbolo, almeno in Italia: la falce e martello le accomuna entrambe).

L'altra possibilità, che adombro in sottofondo, è quella di intervenire con forza dentro il processo costituente dell'attuale “Cosa Rossa” per formarvi una chiaramente identificabile componente di classe.

E' evidente che la prima opzione è quella preferibile e potrebbe essere attuata in tempi sufficientemente rapidi: non mi scandalizza pensare che si potrebbe anche partire da una lista elettorale (se i tempi risultassero troppo stretti); lo spazio politico appare talmente ampio da consentire anche margini di manovra, in questa direzione.

Una lista unitaria, che si pone fuori dal gioco della governabilità, e su opzioni chiare e con candidature scelte dal basso, si pone come riferimento anche per una prospettiva futura, non meramente legata alle sorti elettorali.

Savona, li 26 Gennaio 2008

Franco Astengo

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