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Il punto

(8 Giugno 2008)

Queste breve nota, redatta in forma assolutamente schematica, conterrà un tentativo di fare “il punto” sulla situazione a sinistra, così come determinatasi in esito alle elezioni politiche del 13 – 14 Aprile e del dibattito che ne è seguito:

Occorre prendere atto che la vittoria del centro – destra è definitiva (almeno per quel che riguarda il medio periodo). Avevamo avuto occasione di scriverlo ben in precedenza delle elezioni: un sistema politico esausto, quello italiano, si affidava ad una sorta di protettorato, ad un potere personale che da solo poteva funzionare da “collante” per tutti, una sorta di Lord Cancelliere. La politica che il PD sta portando avanti rende in ,questa situazione, del tutto evidente la scelta che è stata compiuta: la scelta del “governo ombra” appare funzionale ad un ruolo dell'opposizione complementare a quello del governo, rinunciando a svolgere una funzione concreta in Parlamento. Difatti l'ultimo tentativo interno al PD di opporsi a questa deriva è stato compiuto proprio sull'elezione dei capigruppo parlamentari: un tentativo da cui è uscita sconfitta l'ipotesi di una ricerca di riequilibrio politico;

Il recupero di un ruolo e di una capacità di rappresentanza per la sinistra appare, di fronte a questo stato di cose, molto difficile: anche perché non serve un livello di rappresentanza di tipo meramente identitario e risultano inutilizzabili, così come si presentano in questo momento, i soggetti della defunta “sinistra arcobaleno”, né appare possibile una riproposizione di una qualche strategia delle alleanze verso il PD, che sta rischiando seriamente di chiudere la propria esperienza politica in tempi brevi. E' necessario comprendere fino in fondo come si stia ridisegnando l'intero sistema e ciò non avverrà a breve. Nel frattempo andranno avanti processi “forti” di ristrutturazione sociale, e l'opposizione politica sarà limitata, almeno dal punto di vista parlamentare, alla “questione morale”;

Perché i soggetti della defunta “sinistra arcobaleno” risultano inutilizzabili, almeno come base di partenza per un itinerario di riallineamento/riaggregazione di una “sinistra praticabile”? A parte il particolare delle 8 mozioni presenti nei due congressi di RC e PdCI (5 al congresso di RC e 3 al congresso PdCI) : un fatto indicativo, altamente indicativo, dello stato di salute interno ai due partiti. La ragione di fondo, però, dell'inutilizzabilità dell'esistente, sul piano dei riferimenti partitici, deriva dal superamento definitivo delle ragioni di esistenza di Rifondazione Comunista, ridotta ormai ad un fortilizio di un ceto politico autoreferenziato: in questo senso la scelta di un congresso, in queste condizioni, risulta del tutto esiziale, anche perché in quell'assise non si affronteranno le ragioni di fondo dell'inarrestabile perdite delle ragioni di fondo nell'esistenza del partito fondato da Cossutta e Garavini nel 1991. Sono almeno 3 le scelte compite nel corso degli anni che hanno reso RC non soltanto inutile ma dannosa alle ragioni della sinistra italiana: a) l'adesione al modello maggioritario – presidenzialista compiuta con la scelta della “desistenza” alle elezioni del 1996; b) la totale inconsistenza, quasi la frivolezza, del dibattito sulla “non -violenza” usato come paravento per giustificare manovre politiche e non certo utilizzato per una seria analisi, che pure sarebbe necessaria, posta sul piano della teoria politica; c) il rapporto con i movimenti, così come impostato all'epoca del G8: un rapporto illusorio, di cortissimo respiro, sprovvisto di qualsiasi ipotesi in funzione di una idea di trasformazione sociale, di alcuna identità, di nessuna capacità di rappresentanza politica concreta, di assenza d'analisi circa il ruolo dei movimenti concepiti come serbatoio di voti e parcheggio per futuri “dirigenti”. Un partito finisce nel momento in cui si confonde nel magma indistinto di un Forum che va dalla rete di Lilliput ai “disobbedienti” del Nord-Est.;

Allora cosa serve, in questo momento, alla sinistra italiana? Prima di tutto occorrono senso dell'autonomia politica e della responsabilità. Soprattutto, però, serve un nuovo soggetto politico organizzato, un partito, che nasca (ovviamente) fuori dal Parlamento radicandosi nella realtà concrete delle fratture sociali, con l'obiettivo di fornire una rappresentanza politica a tutti i livelli, compreso quello delle istituzioni. Un partito modellato sull'idea dell'integrazione di massa, contrapponendosi allo schema presidenzialista del “partito di cartello”. Non serve “l'unità dei comunisti”, anche perché nessuno di noi saprebbe definire una concreta ipotesi politica di comunismo oggi. Il primo punto sul quale assestarsi è quello relativo alla consapevolezza della fase di vero e proprio “arretramento storico” che stiamo attraversando: sotto certi aspetti ci troviamo all'indietro, in precedenza ai “sacri principi” dell'89 (intendo, ovviamente, 1789); il secondo elemento da prendere in considerazione riguarda il quadro economico – sociale imposto sul piano internazionale dalla divisione dell'utilizzo delle risorse, della produzione, del lavoro: una riflessione, sotto questo aspetto, che non può rinunciare all'impianto originale del marxismo e di una sua riattualizzazione, muovendosi verso una ipotesi di profonda revisione nei meccanismi dello sviluppo. Serve, insomma, per usare una terminologia d'antan e sperando di non scandalizzare nessuno un “partito socialista” capace di confrontarsi, prima di tutto, con il quadro internazionale, capace di svolgere un lavoro di integrazione di massa e di raccolta di adesioni organizzate da tradurre in consenso per arrivare, sul piano politico – elettorale, a muoversi ragionevolmente sul terreno di un riequilibrio che consenta alla sinistra di recuperare una rappresentanza parlamentare, considerando che il PD appare in piena crisi confusionale e ci sono almeno tre bacini elettorali da prendere in considerazione: quello relativo, appunto, al PD; quello dell'IDV e quello (maggioritario) dell'astensione. Può risultare possibile muoverci produttivamente, in questo senso, a patto di proporre una idea alternativa della politica, senza aver paura di ritornare su alcune opzioni del passato: se ritorno all'indietro c'è sul piano delle condizioni di lavoro, dei diritti civili, della politica intesa come notabilato, allora tanto vale recuperare le parti migliori della nostra storia, senza “nuovismi” d'accatto e improvvisazioni pericolose.

Savona, li 8 Giugno 2008

Franco Astengo

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