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Inflazione al 4,1%, da 1.000 a 3.000 euro in meno nelle buste paga

Cgil, Cisl e Uil abbandonino un Tavolo inutile e dannoso

(2 Agosto 2008)

Con l'inflazione ufficiale al 4,1% aumenta il deficit delle buste paga. Solo per mantenere il passo con questo indice inflazionistico occorrerebbe già oggi aumentare in misura consistente le retribuzioni. Ad esempio per un lavoratore metalmeccanico occorrerebbero circa 80/90 euro di aumento mensile. Considerato che il Contratto nazionale per quest'anno ne dà 60, mancano già oggi centinaia di euro dalle buste paga. Ancora peggio va per le categorie che hanno rinnovato i contratti con aumenti salariali inferiori per il 2007.
Senza interventi sui salari, l'effetto di trascinamento con questo livello di inflazione da qui al 2010 è la perdita di almeno un migliaio di euro per le categorie che hanno fatto i contratti migliori, e di oltre 3.000 euro per chi è in ritardo sul rinnovo contrattuale o ha rinnovato i contratti con cifre molto basse.
Nella sostanza si dimostra ancora una volta che occorre una svolta sugli aumenti salariali e che la linea del Governo e della Confindustria di schiacciare gli aumenti salariali attorno all'inflazione programmata può produrre, se accettata, una drammatica ulteriore riduzione del potere d'acquisto dei salari. Oramai è chiaro che la trattativa confederale è giunta a un punto morto, Cgil, Cisl e Uil devono venir via da un tavolo inutile e dannoso.

Roma, 31 luglio 2008

Giorgio Cremaschi
Rete 28 aprile

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Commenti (2)

lo specchietto delle allodole

Certamente ritengo importante che si parli dell'inflazione programmata,ma molti contratti e tra questi quello del commercio,dove CISL e UIL hanno firmato un vergognoso accordo per avere un aumento da fame dopo ben 18 mesi di scadenza che cambia.il problema vero è la tempistica e l'esigibilità dei contratti che in troppe categorie è assurda ed inesistente.

(5 Agosto 2008)

mario Iacobelli

mariacob2@yahoo.it

Ciurlare nel manico

Quello che spiacevolmente impressiona, è che anche Cremaschi ciurli nel manico.
In effetti le sue richieste per un aumento del salario, se possono sembrare giuste e giustificate, hanno il difetto di tener conto della falsa linea che dal 2002, l’ISTAT ci impone seraficamente nel rilevare l’indice inflazionistico che non si discosta dal 2,5%, in media, l’anno, quando sappiamo tutti che dall’introduzione dell’euro, nominalmente pari a 1936,27, il potere d’acquisto è pari a 1000 lire. Quello che manca ai lavoratori e ai pensionati sono le 936,27 lire ogni euro sparite senza che a destra o a sinistra, e anche sindacalmente, mai si sia posto in essere un meccanismo che riportasse la parità del potere d’acquisto di 1936,27 lire. E questo è accaduto in quanto anche a sinistra, e anche i sindacati, si sono affidati al “meccanismo del libero mercato”, si sono convertiti al liberismo che avrebbe dovuto riportare, attraverso la domanda e l’offerta, a eliminare quell’anomalia. Oggi ci troviamo, lavoratori e pensionati, con 936.270 (novecentotrentaseimiladuecentosettanta,) lire in meno ogni 1000 euro, e tutti i responsabili della nostra economia, compresa la controparte, sembrano cadere dalle nuvole come se una calamità naturale abbia colpito milioni di famiglie che non arrivano a fine mese. Non si tratta del 4 o 5%, si tratta del (936,27/1000) 93,6% che manca negli stipendi, nei salari e nelle pensioni. Cerchiamo di dire le cose come stanno.

(8 Agosto 2008)

rolando marchioni

rolando1934@alice.it

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