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Freedom Flottilla 2

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(13 Dicembre 2010) Enzo Apicella
Si prepara una nuova Freedom Flottilla internazionale per Gaza

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La guerra israelo-occidentale contro Gaza

(28 Gennaio 2009)

Pur privata d’una più ampia sala (era stata richiesta ed è stata negata un’aula dell’università La Sapienza) si è svolto sabato a Roma con grande partecipazione di pubblico il seminario organizzato da Forumpalestina sul tema “La guerra israelo-occidentale contro Gaza”. Fra i relatori il professor Ilan Pappé, l’europarlamentare e giornalista Giulietto Chiesa, i professori D’Orsi, Scarcia, Baracca, Carminati, i giornalisti Frankel e Cararo. Riportiamo per i lettori l’intervento di Pappé.

Se non si tiene conto della storia, dell’ideologia e della giustizia della Palestina in generale e di Gaza in particolare non solo non si riesce a comprendere perché è in corso un massacro di quella gente ma non si riusciranno in futuro a prevenire vicende simili. Bisogna spiegare la storia della Palestina e vedere i collegamenti fra i bombardamenti e l’attacco all’esistenza del suo popolo già nel 1948 e i massacri dei giorni scorsi. Sono il frutto della medesima strategia, solo le armi sono diventate più moderne e letali. Sessant’anni fa parte dei palestinesi è fuggita dai massacri perpetrati dall’esercito israeliano che aveva l’intento di allontanare quella popolazione dalle proprie terre. Oggi gli abitanti della Striscia di Gaza stanno come in un enorme villaggio chiuso su se stesso, la gente se arrivano le bombe non sa dove andare e si combatte una impari lotta per la sopravvivenza. Ci sono altre analogie fra i due periodi: nel ’48 i palestinesi non erano organizzati in esercito e non avrebbero neanche potuto prevedere ciò che gli sarebbe accaduto, anche oggi il popolo ha solo subìto bombardamenti visto che Israele ammette la guerra come evento della propria politica.

C’è anche un simile complotto del silenzio da parte della Comunità internazionale, naturalmente ancor meno accettabile oggi di quanto non lo fosse all’epoca, visto che allora non c’erano le immagini televisive. Quel che avvenne nel ’48 seguiva di soli tre anni la tragedia dell’Olocausto vissuta dal popolo ebraico in Europa e questo rendeva ancor più incomprensibile la vicenda. L’attacco ai palestinesi non s’è fermato lì. Ci sono state altre guerre e dal ’67 l’elite politica e militare israeliana, occupando un altro 20% della Palestina storica, ha proseguito il piano di espropriazione. Israele ha anche cercato di nascondere questa decisione strategica inventando perfino un “processo di pace” per mascherare un controllo dei territori con tutti i mezzi possibili. Ha provato a nascondere il fatto che nei successivi quarant’anni non ha saputo offrire una soluzione ai milioni di palestinesi che vivono nelle zone occupate. Col passere degli anni la strategia è diventata chiara: mantenere un controllo diretto e indiretto sui territori e far sì che il popolo in quei territori attraverso una condizione di permanente prigionia. Se quella gente si comporta bene e non oppone resistenza allora potrà godere d’una prigione all’aperto - prigione che potrà anche essere definita lo Stato palestinese - chi resiste viene sottoposo a un regime di massima sicurezza con punizioni collettive, pulizia etnica, uccisioni e annientamento”.

“Passiamo all’ideologia. Se mettiamo in relazione l’ideologia e il tipo di crimini che vengono commessi a Gaza non solo riusciremo a spiegare perché gli israeliani li compiono ma saremo anche in grado di prevedere anche i loro prossimi passi genocidari. L’ideologia è un fenomeno dinamico nella storia, inizia sulla base di un’idea precisa poi si modifica in base alle mutate circostanze. L’iniziale idea del sionismo, la voglia d’un proprio Stato e la conseguente sicurezza hanno subìto un’evoluzione quando il progetto sionista s’è trasformato in progetto coloniale ed è diventato un’ideologia razzista che rende disumani i palestinesi come singoli e come collettività. Questo in base al profondo convincimento, fulcro del movimento sionista: fintanto che ci sono palestinesi in quella che era la Palestina non esistono sicurezza e prosperità per il popolo ebraico che ha fondato Israele. Le èlite intellettuali israeliane hanno modi sofisticati per spiegare tale convincimento. I loro concittadini conoscono a menadito questa percezione ideologica: è l’unica forma che ne plasma le idee verso, anzi contro, i palestinesi. Cosa significa disumanizzazione? Che ogni volta che in Israele ci si sente minacciati si lascia da parte qualsiasi principio o inibizione morale per praticare azioni di espulsione, prigionia, uccisione nei confronti dei responsabili di tutto ciò che sono appunto i palestinesi. Purtroppo questa percezione disumanizzata verso i palestinesi è stata adottata anche dall’Occidente come una nuova ondata di fobìa”.

“Parliamo anche della giustizia. Come possiamo modificare una realtà in cui storia e ideologia segnano un movimento politico e ideologico che nel 1948 ha creato uno Stato che non avrà pace finché non avrà completato il suo progetto di distruzione del popolo palestinese. Si rifiutano di darci un quadro della realtà, come possiamo noi confutare le menzogne e la propaganda che da decenni stanno mascherato un chiaro caso di pulizia etnica. Diversamente da ciò che ci viene insegnato il male è qualcosa di complesso. La storia della Palestina e d’Israele è la storia del male e non del bene. Purtroppo israeliani sono i tentativi di occultare una storia semplice e infausta di occupazione, pulizia etnica e ora di genocidio. Come confrontarci con questo quando abbiamo una fortissima campagna mediatica e intellettuale a sostegno di tale tesi, una tesi che ultimamente si è ulteriormente consolidata, e che funge da supporto ai crimini sionisti. La situazione ideale sarebbe quella per cui la società che ha commesso i crimini cambiasse da suo interno, mutando le proprie politiche e ideologie. Ciò significherebbe che basterebbero le parole, che si potrebbe porre termine alla violenza senza contrapposizioni.

La storia c’insegna che quando si vogliono operare cambiamenti dall’interno servono tempi lunghissimi e, visto il ritmo della devastazione che ha colpito la Palestina, molti pensano che non si possa attendere la crescita di generazioni e generazioni israeliane che abbiano intenzione di modificare il proprio atteggiamento. Tre giorni fa a Haifa, in una sala teatrale 400 persone hanno ascoltato le voci di quegli ebrei che ancora si battono contro la guerra, erano le uniche voci che s’erano levate. Se noi aspettiamo una modificazione mentale del 99% del popolo israeliano dovremmo attendere tempi lunghissimi. La storia ci ha anche indicato che di fronte ai regimi che praticavano ideologie totalitarie e genocidarie - come il nazifascismo persecutore degli ebrei – s’è dovuta utilizzare una massiccia forza militare per porre fine a quel folle piano razzista. Io sono un pacifista la mia famiglia vive tutta in Israele quindi non appoggerei mai una distruzione militare dello Stato d’Israele. Guardiamo al Sudafrica che ci ha indicato un’altra possibilità, non violenta, per combattere la violenza. Non c’è stato bisogno di convincere ogni bianco sudafricano a smettere di essere razzista. La situazione è cambiata quando l’élite economica d’un governo razzista, in base alle pressioni della Comunità internazionale, ha dovuto smettere di sfruttare una posizione privilegiata ottenuta con l’apartheid”.

“Questa può diventare la strada da opporre alla linea violenta e guerrafondaia dei politici israeliani. Non sono ingenuo, so che Europa e Stati Uniti non sono pronti ad adottare questo modello, preferiscono quelli del ’48, del ’67 e l’ultimo mostrato a Gaza. Una delle cose più spaventose che si è verificata è che palestinesi, europei, americani mossi da buone intenzioni hanno contribuito al successo della propaganda e della mitologia avanzate dall’esercito israeliano. Avendo adottato dagli Accordi di Oslo il modello della soluzione basata su due Stati abbiamo contribuito alla ratifica di un Paese militarizzato e aggressivo che continuerà ad attaccare l’altro. In queste condizioni ci saranno altre guerre e altre vittime. Non mi aspetto nulla dalla politica di Obama, dobbiamo garantire quel che l’élite politica, economica e culturale dell’Occidente non è disposta a fare, dobbiamo farlo noi come società civile. Non lasceremo la storia solo agli storici, dobbiamo sempre ricordare a chi ci ascolta che dal 1948 in poi la pulizia etnica contro il popolo palestinese ha continuato a marciare. La pulizia etnica è un crimine contro l’umanità, un orrendo crimine, in sessant’anni il mondo ha consentito di continuare a commettere questo crimine. Occorre ribadire che l’ideologia dello Stato d’Israele è razzista, immorale, inaccettabile nella nostra epoca. A chi ci ascolta diremo che l’attuale opera diplomatica aiuta solo gli israeliani a proseguire quel progetto criminoso iniziato nel ’48 che vuole lasciare i palestinesi fuori dalla Palestina e dalla storia. Esistono componenti che cercano altre strade, sono forze minoritarie però esistono e possono offrire altri percorsi per realizzare qualcosa di diverso perché ogni palestinese in quella terra goda degli stessi diritti dei cittadini israeliani. Cosicché uomini, donne e bambini possano affrontare anche altri problemi, non solo la rincorsa a difendersi dall’incredibile ingiustizia alla quale un popolo è costretto”.

Testo raccolto da Enrico Campofreda, 24 gennaio 2009

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