">
il pane e le rose

Font:

Posizione: Home > Archivio notizie > Imperialismo e guerra    (Visualizza la Mappa del sito )

Campagna BDS

(23 Marzo 2010)

boicotta israele

L’acronimo BDS sta per boicottaggio, disinvestimento, sanzioni. E’ una campagna lanciata contro lo Stato d’Israele accusato di apartheid e crimini di guerra, quelli che a Gaza con bombe convenzionali e fosforo bianco fecero 1.450 vittime e oltre cinquemila feriti appena qualche settimana prima che partisse l’atto di sensibilizzazione internazionale risalente al febbraio 2009.

Per il suo fondatore palestinese Omar Barghouti “Solidarietà con la Palestina non significa quasi nulla se non può essere tradotta in un’azione che costi veramente cara all’occupazione israeliana e al suo regime”. Costare caro vuol dire intaccare gli interessi economici dei prodotti riversati sui mercati mondiali, da quelli agricoli coltivati nelle colonie che sorgono sui Territori Occupati, a ulteriori generi d’esportazioni sino a toccare la cultura.

I primi passi, nel 2005, seguirono il pronunciamento della Corte Internazionale di Giustizia che invitava a smantellare l’odioso Muro voluto da Sharon. 170 organizzazioni civili palestinesi rivolsero al mondo l’appello per cercare nuovi strumenti per fermare la politica di Tel Aviv. Da lì in quaranta città è partita una rete solidale che in Europa vede Francia, Gran Bretagna e Italia in prima linea per iniziative di sostegno e propaganda nei luoghi di commercio e lavoro che proprio in queste settimane stanno avendo un momento centrale.

Per informare un ampio numero di persone cerchiamo di coinvolgere i sindacati – afferma Mila Pernice di Forum Palestina, una delle organizzazioni italiane che promuove assieme a molte altre il BDS - finora solo la Fiom ha offerto un’adesione peraltro più formale che di sostanza. Rdb e Cobas, sulla scia d’un iniziale passo compiuto alla Fiera dell’oro di Vicenza, rilanceranno nuove scadenze”.

C’è stato un dialogo, non proficuo per gli scopi della campagna, con la Coop, cui molti soci chiedevano che venissero bloccate le forniture di aziende come la Carmel Agrexco che in tutt’Europa commercializza pompelmi, avocado e mango provenienti dalle colonie, tutte illegali. Con un suo dirigente la Lega delle Cooperative s’è dichiarata contraria a iniziative di boicottaggio sostenendo che “un conto sono le responsabilità dei governi, altro sono le aziende e i prodotti che commercializzano. Molto lungo sarebbe l’elenco di governi che hanno comportamenti criticabili. E poi chi li giudica? un eventuale embargo dovrebbe essere deciso da chi ha questo compito, ovvero l’Onu”.
Forse alla Coop dimenticano che proprio l’Onu con ben quattro risoluzioni considera dal 1967 illegale l’occupazione dei territori palestinesi.

Ma c’è di più – riprende Pernice – amministrazioni regionali stabiliscono protocolli che affiancano accordi fra Israele e il nostro Paese incentrati sul settore high-tech, software e nanotecnologie rivolte alla sicurezza. Il Forum anni fa denunciò la collaborazione fra Sviluppo Lazio e un Centro di ricerca israeliano (Matimop) che utilizzava tecnologie fotoniche dell’azienda Selex Communications e dell’Università romana di Tor Vergata. Oppure i cinici progetti come il “Saving children” del Centro Peres, sostenuto da sei nostre regioni (Friuli, Emilia, Toscana, Umbria, Lazio, Calabria), che finanziano la cura dei bambini di Cisgiordania e Gaza magari dopo averli lacerati con le bombe”.

Secondo la ‘Rete Ebrei contro l’occupazione’ questo piano svia risorse finanziarie che potrebbero giungere agli ospedali palestinesi. Sul fonte tecnologico famose multinazionali sono additate quali supporter agli investimenti più subdoli operati nei Territori Occupati: Veolia che costruisce le ferrovie leggere per collegare le colonie nella West Bank con Gerusalemme, la grande catena di supermarket Tesco che vende merci prodotte illegalmente nelle colonie, Motorola azienda fornitrice di sistemi elettronici per le truppe dell’Idf. La Camera di Commercio dice che l’Italia è il terzo partner scientifico di Israele dopo Stati Uniti e Germania; i Paesi sono legati da una cooperazione in vigore dal 2002. Intanto, secondo quanto rivelano i media The Marker e Jerusalem Post, la classe politica israeliana inizia a preoccuparsi degli effetti, per ora più propagandistici che economicamente dannosi, del BDS. Così Tel Aviv mobilita i propri ambasciatori nelle maggiori nazioni occidentali, e naturalmente anche in Cina, per tener ben saldi quei mercati. Inoltre un docente di Storia, Gil Troy, e l’analista politico statunitense Bard pianificano una risposta al boicottaggio, lanciando una propria campagna. Stravolgendo il “Land for freedom” con un “Lend for freedom” invitano nei campus e nelle comunità a ricorrere a prestiti per “investire e non disinvestire” a favore d’Israele.

Il BDS dovrà fare i conti coi contro-attivisti dell’investimento. Non sono però costoro a preoccuparli bensì la grande palude che resta a guardare. Come ogni maggioranza silenziosa aiuta chi detiene i rapporti di forza.

19 marzo 2010

Enrico Campofreda

Fonte

Condividi questo articolo su Facebook

Condividi

 

Ultime notizie del dossier «Siamo tutti palestinesi»

Ultime notizie dell'autore «Enrico Campofreda»

3215