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25 Aprile

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(25 Aprile 2010) Enzo Apicella

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(26 Aprile 2010)

rendina, zingaretti, polverini

Cosa sia passato nella testa dei responsabili romani della gloriosa Associazione Nazionale Partigiani d’Italia che nel 65° anniversario della Liberazione hanno portato sul palco di Porta San Paolo Renata Polverini non è facile comprendere. In altre fasi di serrato confronto si arrivava a dialogare sull’essenza pluripartitica della Resistenza italiana incentrata non solo sulle componenti comunista, socialista, azionista, anarchica che sempre sostennero e rivendicarono quella lotta ma sulla stessa presenza cattolica, liberale e badogliana. Tantoché nell’immediato e anche nel tardo dopoguerra combattenti per la libertà vicini a posizioni monarchiche e legati all’esercito anglo-americano come Sogno venivano celebrati più dei Parri, Longo, Pertini, più dei Moscatelli, Pesce, Boldrini. Questo è stato. L’uso politico anzi real-politico della guerra di Liberazione ha in troppe occasioni accantonato la storia, che ricorda senza retorica come dei centocinquantamila partigiani italiani contati alla fine delle ostilità una buona fetta portava al collo il fazzoletto garibaldino.

Uno dei nodi politico-militari delle settimane successive al 25 aprile 1945 verteva sulla riconsegna delle armi per scongiurare quel pericolo di rivoluzione sociale che alcuni pezzi della resistenza comunista avevano posto come possibile svolta nell’immediato futuro non solo nella VII Federativa del Friuli. In contrapposizione giunsero l’espulsione dei partigiani dai reparti delle Forze dell’Ordine e l’aperta persecuzione di chi aveva continuato a cacciare i fascisti anche nei mesi seguenti il 25 aprile. Partigiani rossi rigettati, costretti all’esilio per un assetto della nazione che, ben oltre la fisionomia assunta dall’Europa dopo Yalta, si apriva alla contrapposizione creata dalla Guerra Fredda sul nuovo fronte anticomunista che reclutava tanti reduci del nazifascismo. Questo fascismo riciclato è stato presente nella cronaca nazionale in maniera nient’affatto mascherata. Trovava agio dal gesto pacificatorio dell’amnistia del Guardasigilli Togliatti per creare un partito neofascista quale fu il Msi messo su da ex saloini.

Il partito dei Caradonna e Almirante venne usato dai Servizi statunitensi per appoggiare strutture paramilitari clandestine e trasversali composte da civili e militari, per puntellare governi che tramavano il golpe, per offrire attori stragisti alla strategia della tensione che per quindici anni insanguinò il Paese, cercando di conseguire un controllo del Potere attraverso una rete parallela che irretiva partiti e istituzioni. In tutto questo percorso la Costituzione nata dalla Resistenza ha rappresentato un riferimento utile a frenare scorciatoie eversive. In un quadro così accidentato e nella varietà delle valutazioni la Resistenza ha proseguito il suo cammino seppure di commemorazione di comodo che veniva accantonata mezz’ora dopo l’eco delle note di “Bella Ciao” ma che conservava presenze autoctotone. Le trasformazioni politiche che da circa vent’anni hanno visto riemergere la destra durante la fase della cosiddetta Seconda Repubblica puntano alla riscrittura di un passo centrale della storia d’Italia.

Artefici dell’artifizio ex fascisti ‘democraticizzati’ , nuovi soggetti del governo nazionale che hanno in Berlusconi e Bossi i leader d’un rilanciato populismo autoritario, taluni storici revisionisti, propagandisti dell’informazione e dell’editoria. Enormi regali a tale disegno sono giunti da posizioni errate e ambigue di esponenti politici dell’area Pds – tutti ricordano la famigerata elaborazione dell’ex presidente della Camera Violante sulle “ragioni dei ragazzi di Salò” – utile non alla puntualizzazione che lo storico Pavone compiva col suo saggio sulla moralità della scelta resistente in un’ipotesi di guerra civile nazionale, ma per far rivendicare all’ex saloino Tremaglia, divenuto ministro, il riconoscimento d’una pensione per chi aveva vestito la divisa delle Brigate Nere o della X Mas. Le divise dei torturatori e fucilatori dei Combattenti della Libertà, le divise col teschio dei cannibali di largo Augusto di vittoriniana memoria. Queste improvvide operazioni hanno inquinato la memoria della Liberazione rendendola assai peggiore delle celebrazioni svuotate cui puntarono certi governi democristiani e del consociativismo.

Perciò l’attuale presidente dell’Anpi Rendina, come garante della Liberazione praticata assieme ai suoi compagni di lotta e degli antifascisti vecchi e nuovi, avrebbe dovuto ritenere inopportuna la presenza della Polverini che, nel corso della vigilia delle regionali ha vestito i faziosi panni della sua parte politica più che quelli del candidato a una pubblica istituzione. Molti dei presenti a Porta San Paolo avevano davanti agli occhi i servizi d’ordine di ultrà neofascisti usati dalla esponente del Pdl, i sottopalchi con attivisti del covo di Casa Pound, i fan dal saluto nostalgico a braccio teso cui la neopresidente rispondeva con soddisfatti sorrisi. Tanti manifestanti volevano ricordare all’Anpi romano di non poter sopportare gli amici degli aggressori dei giovani antifascisti, gli amici dei neo assassini dell’ennesimo Walter Rossi che è stato Renato Biagetti. C’è chi ne ha le tasche piene delle bestialità di post-fascisti ‘democratici’ alla La Russa capace di esaltare i repubblichini che combatterono per il nazifascismo in una celebrazione dell’8 settembre in cui parla come Ministro della Difesa.

E’ di questa volgarizzazione della Resistenza che la parte più cosciente degli ormai non numerosi militanti ed ex militanti antifascisti tuttora presenti nelle piazze non sopporta più. Un’insofferenza profonda almeno quanto quella degli attivisti dei Centri sociali lanciatori di uova. Vogliamo chiamarla provocazione?

26 aprile 2010

Enrico Campofreda

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