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Quelli di Bologna

(28 Aprile 2010)

Alla quinta udienza del processo a Massimo Papini, viene ascoltato un teste dell'accusa appartenente alla Digos di Bologna.



Perché all'udienza precedente, il 22 marzo, il pubblico ha dovuto fornire alla Digos i propri documenti di identità che sono stati restituiti a fine giornata?
La misura sarebbe giustificabile solo per ragioni di ordine pubblico ma l'unico ordine che i parenti e amici di Massimo Papini hanno infranto è quello di rispettare il silenzio anche fuori dalle aule del tribunale.
E per quello, pare e si spera, non ci sono sanzioni.

Sono le 10 del 27 aprile 2010. Tribunale di Roma, Piazzale Clodio. Corte d'assise, primo piano della palazzina B.

Inizia così, con delle necessarie richieste di chiarimento da parte della difesa, la quarta udienza del processo contro Massimo Papini, in carcere dal primo ottobre 2009 con l'accusa di partecipazione a banda armata. Quella richiesta dei documenti a quanti assistevano pacificamente a una pubblica udienza, per gli avvocati Caterina Calia e Francesco Romeo è un atto intimidatorio, in assenza di ragioni motivate è solo "un'inutile vessazione". Che però non spaventa nessuno!
All'udienza siamo in tanti. Presenti. Vicini.

La nuova udienza del processo Papini si è, dunque, aperta all’insegna di comunicazioni e segnalazioni di problemi da parte della difesa. Tra le questioni sollevate, anche il fatto che, nonostante il provvedimento di censura nei confronti della posta di Massimo sia scaduto e nessuno ne abbia richiesto la proroga, ancora in data 20 aprile era stato apposto ad una sua lettera il visto di controllo.

In fondo, è questo uno degli elementi più rilevanti della giornata. La deposizione dell’unico teste dell’accusa sentito, Antonio Marotta, della Digos di Bologna, non ha introdotto fatti nuovi nel dibattimento.
Più spigliato e soprattutto meno smemorato dei colleghi romani che avevano testimoniato il 22 marzo scorso, Marotta, però, non si è espresso secondo coordinate diverse. Partecipe dell’indagine sull’omicidio Biagi, partita nella primavera del 2003, il teste ne ha sottolineato alcuni aspetti, basandosi in particolare sulle testimonianze della pentita Cinzia Banelli.
Certo, la sua esposizione non ha dato il senso fastidioso di ricostruzione a volo d’uccello della storia delle Br vecchie e nuove cui ci ha abituato la Digos di casa nostra, ma rimane il fatto che Massimo vi è stato inserito in modo forzato.
In principio, si è sottolineato il suo legame con Diana Blefari, sentimentale dal ’97 al ’99, comunque molto stretto anche dopo. Ma poi si è voluto andare oltre. Perché alcune delle telefonate di Massimo all’amica sono state segnalate come di particolare significato sul piano delle indagini, in quanto collegabili ad eventi e periodi precisi. Ad esempio, il teste ha insistito molto sulla telefonata che Massimo (che per lavoro si trovava in Bulgaria) ha effettuato nella mattinata del 24 ottobre 2003. Secondo la Digos bolognese la chiamata a Diana Blefari in quel frangente è un segnale di assoluto rilievo.
E' il giorno in cui vengono arrestati Roberto Morandi e Cinzia Banelli. Le agenzie sono state già battute durante la mattinata. Hanno fatto il giro della rete, ovunque. E Massimo chiama Diana. L'ha già chiamata il 6, il 12, il 17 e il 20 dello stesso mese. Ma questa è una vecchia storia. A dirlo è proprio il teste: "Papini è già stato sentito riguardo a queste telefonate". Molto prima che venisse arrestato, durante i 6 anni di indagini, durante i quali non è mai stato riscontrato alcun suo coinvolgimento nei fatti.
Si potrebbe, poi, tranquillamente obiettare che un brigatista non chiamerebbe una “compagna d’armi” nella sua abitazione per chiedere, in occasione di arresti, “cosa sta succedendo a Roma?”. Ma in certi processi, l’accusa sembra bandire lo stesso buon senso, presa da una pervasiva logica del sospetto e dalla idea che nessun elemento, anche palesemente incongruente, possa smentire la propria ipotesi investigativa.
Così, si citano altre telefonate “bulgare”, legate a giorni precedenti al 24 ottobre, secondo la Digos coincidenti con il trasloco da una sede all’altra dei materiali dei BR. Altra circostanza di grande significato…Che c’è, verrebbe da chiedersi: l’imputato, in trasferta, voleva comunque sovrintendere al buon esito dell’operazione? In verità, tutto questo discorso potrebbe avere un senso in una sola circostanza: quella in cui i contatti tra Massimo e Diana da tempo fossero diventati rari, intensificandosi solo in certe fasi. Ma i due erano piuttosto legati, come ha riconosciuto Marotta stesso, dunque quelle tre chiamate (minimo) alla settimana ci scappavano. Ed è inevitabile che qualcuna sia stata effettuata in coincidenza di “momenti cruciali” della vita dell’organizzazione.

Marotta, poi, ci ha sommerso con dati circa i materiali pervenuti negli archivi Morandi e Banelli, indicando peraltro in sistemi di criptazione dei file usati anche dai brigatisti (in compagnia di milioni di persone in tutto il mondo) la peculiarità di una struttura che, nella sua ferrea organizzazione interna, avrebbe definito avanzati ed esoterici strumenti di comunicazione.

E' il marzo del 2004, il 9. Ufficiali di Polizia giudiziaria e Digos sequestrano materiale informatico che di rilevante ha la sua inaccessibilità. 4CD e 9 Floppy Disk con dentro diverse cartelle e file. Alcuni zippati e protetti, mai decriptati dalla polizia postale. PGP (Pretty Good Privacy) è un software di crittografia che può essere utilizzato per la protezione della privacy e per la firma digitale di informazioni. E' caratterizzato da due tipi di chiavi: la chiave pubblica e la chiave privata. Nei floppy ci sono poi dei file cancellati, rilevati ma di cui non si conosce il contenuto. Inoltre Massimo Papini è in possesso di un programma eraser.exe. E' un software che permette di rimuovere definitivamente i file dal propio computer. Consigliato per ottimizzare lo spazio sui supporti rigidi e regolare la CPU.

Va specificato che i software citati (eraser e PGP) sono liberamente scaricabili da internet, gratuitamente. Parlare di informatica al servizio del crimine specie a chi non è avvezzo all'uso delle tecnologie digitali rischia di suscitare facili suggestioni sulle quali non è il caso di soffermarsi e a cui non bisognerebbe conferire rigore di legittimo sospetto.

E il rischio è anche quello di fare facilmente confusione. Come quando Marotta afferma che alcuni files in possesso di Massimo Papini hanno la stessa coppia di password usata dalla Blefari. Vista l'impossibilità da parte della Polizia Postale di risalire a quelle password bisognerebbe spiegare meglio a cosa ci si riferisce.

In compenso, il teste ha buona memoria. Se i colleghi romani non ricordavano cosa avevano sequestrato in casa di Massimo il 1 ottobre 2009 (in occasione del suo arresto), Marotta restituisce, dunque, con precisione quanto è stato prelevato nel corso di una perquisizione più lontana. Tra tutti i files, uno di essi, il cui contenuto non si può ormai più leggere, viene sospinto come “prova delle prove”. Datato 22 agosto 2001, ha nel titolo la sigla TO. L’Archivio Banelli e quello Morandi restituiscono 2 file con titolo analogo, datati rispettivamente 21/08/2001 e 25/08/2001, cui corrisponde un documento relativo al “bilancio del processo Torino 1982”. Una evidenza investigativa importante, suggerisce il teste: non abbiamo il contenuto del file sequestrato a Papini, ma la sua sigla favorisce l’accostamento ai due appena citati, rispetto ai quali, per giunta, porta una data intermedia.
Tutto ciò viene spiegato attraverso una lunga ricostruzione delle attività svolte dal gruppo storico dei militanti. Massimo Papini non viene mai citato. Il file in suo possesso è l'unico elemento che lo accomuna ad altri a lui sconosciuti. Ma sarebbe meglio dire per esteso che si tratta di un file cancellato su un floppy che era in suo possesso. E considerare l'ipotesi che i supporti mobili consentono la circolazione di files indipendentemente dalle macchine e dalle persone che li hanno generati: su ogni pennetta usb, evoluzione contemporanea del "vecchio" floppy, ci si scrivono e cancellano centinaia di files, di decine di persone attraverso decine di computer.
In sostanza, la spinta a giocare sugli accostamenti suggestivi tocca uno dei suoi vertici. Massimo Papini, si suggerisce, è il vero trait d’union tra Banelli e Morandi. Che poi nei fatti – ricostruibili anche a partire dalla testimonianza della stessa Banelli – non abbia mai avuto contatti con nessuno dei due sembra per gli inquirenti essere circostanza di poco conto.

Se l’appartenenza di Massimo all’organizzazione non è dimostrabile sulla base dei fatti, con l’evocazione ed associazionismo si ovvia al problema, attribuendogli un ruolo di primissimo piano, forse addirittura da “grande vecchio”. Ma, se vogliamo dirla tutta, non è questo il punto più basso raggiunto dalla deposizione. Quando il ricorso alla facile suggestione si combina con l’ambiguità terminologica, si arriva a livelli impensabili.

Facendo riferimento ad un periodo successivo all’arresto di Diana Blefari (avvenuto nel dicembre del 2003), il teste si concentra su un incontro promosso da Massimo Papini con amici dell’università. Sede del pericoloso meeting, una pizzeria. Oggetto? Qui Marotta non è chiaro: si voleva stabilire una “linea comune”, dice. Ma rispetto a cosa? E’ ovvio che persone che hanno conosciuto Diana vogliano vedersi dopo che questa è stata arrestata (e dopo aver subito le perquisizioni che si sono abbattute su quasi tutti i suoi amici). Raccogliere le idee, mettere almeno a fuoco cosa sta succedendo è in certe circostanze naturale.
Ma il teste gioca un po’ sull’equivoco e per un attimo sembra che, invece che di un gruppo di amici scosso da una situazione inedita ed inaspettata, si stia parlando di un incontro della “colonna romana” dei nuovi brigatisti. Una colonna che, alla faccia delle “ferree regole” della rigida organizzazione, non trova di meglio che indire telefonicamente una riunione in un luogo iper-pubblico, dove al massimo ci si può leccare le ferite dell’anima nella condivisione di una pizza margherita. Si dovrà convenire che questo è un po’ troppo. Troppo anche per un processo come quello che sta subendo Massimo Papini, all’insegna di ipotesi investigative che si fanno beffe della logica più elementare. Vedremo, comunque, come proseguirà e, soprattutto, cosa tireranno fuori dal cilindro gli esponenti della Digos bolognese che parleranno il 6 maggio, data della prossima udienza.
Nel frattempo, segnaliamo un piccolo motivo di consolazione: al termine dell’udienza, tornando sul problema posto in principio dalla difesa, la Corte ha almeno disposto che cessi il controllo della posta di Massimo.

PROSSIMA UDIENZA GIOVEDI’ 6 MAGGIO – ORE 9.30 – I CORTE D’ASSISE – PIAZZALE CLODIO – PALAZZINA B – PRIMO PIANO

Comitato "Massimo libero!"

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