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Cos'è il Tmc-2

(30 Settembre 2001)

Spiegare in poche parole il più recente attacco padronale sull’intensità della prestazione di lavoro non è possibile senza un minimo di conoscenza dei sistemi in uso nelle aziende per stabilire i carichi di lavoro.

La sigla Tmc-2 (Tempi dei movimenti collegati-seconda versione) indica uno dei "modelli cronotecnici" preposti alla quantificazione dei tempi d’esecuzione delle mansioni operaie nella produzione di serie (si parla, naturalmente, di lavoro a cottimo). Quando un lavoratore industriale (metalmeccanico e non solo) varca la soglia di uno stabilimento, il suo tempo di presenza in officina viene letto e gestito dagli uffici tecnici (analisi lavoro) in un modo particolare, così ripartito: o tempi attivi o effettivi; o fattori di riposo; o fattore fisiologico; o pausa/e (dove previste). Assegnando base 100 al tempo di presenza in officina, detta ripartizione, a prescindere dall’entità di ogni valore, che può variare da ciclo a ciclo, si può suddividere così: tempi attivi, circa 84 per cento; fattori di riposo, 6-8 per cento; fattore fisiologico, 4-6 per cento; pausa, 4 per cento.

Gli ultimi tre punti possono essere contrattati, perché i riferimenti nazionali e internazionali sono diversi e l’entità delle pause per nocività e vincolo sono frutto delle condizioni oggettive, degli usi e delle consuetudini presenti in azienda e dei rapporti di forza operanti. Il primo punto (tempo attivo), che è l’elemento centrale per la determinazione del tempo d’esecuzione, non è contrattabile, perché è scelto dal padrone (l’articolo 11 del ccnl prevede la sola comunicazione del sistema usato, mentre al sindacato è concessa unicamente la possibilità di contestazione dell’eventuale divario tra previsione e realtà applicativa). Ovviamente, la possibilità di contrattazione si esercita sull’uso scorretto del modello stesso. Questo aspetto dell’articolo 11 del ccnl non è mai stato modificato, perché l’insieme dei modelli usati in Italia nell’ambito cronotecnico (sistemi cronometrici o sistemi tabellari) portava (doveva portare) a risultati simili; rendimento 133,33 come massimale, che significa maggiorare di un terzo la normale velocità d’esecuzione a 100, scelta che recupera il più tradizionale rapporto del sistema Bedaux 60-80.

Le scelte della Fiat

Nel dopoguerra, sull’onda del piano Marshall, la Fiat si attrezza, acquisendo l’ultima novità prodotta nell’ambito cronotecnico: l’Mtm (Method time mesurement). Questo sistema è una rivoluzione rispetto al sistema cronometrico basato sulla rilevazione corretta dal giudizio di velocità soggettivo del cronometrista, essendo basato su tabelle predefinite che in funzione della microgestualità compiuta per lavorare (raggiungere, afferrare, muovere, rilasciare, posizionare, movimenti del corpo ecc.) assegna un tempo già incentivato che non necessita di correzioni o interpretazioni di parte. Naturalmente, per rendere operativo il sistema bisognava renderlo compatibile con i vincoli operanti in Italia (60-80; 100-133) e semplificarlo al fine di dotare gli uffici analisi lavoro di uno strumento veloce, che mantenesse però i vantaggi insiti nell’Mtm.

Nasce il Tmc

Alla fine degli anni quaranta nasce così il Tmc (Tempi dei movimenti collegati), che si diffonde rapidamente in ambito Fiat. È importante sottolineare che il Tmc non modifica nulla come risultato finale rispetto al sistema cronometrico (volumi produttivi richiesti), dato che raffrontando una corretta analisi con il Tmc e una corretta analisi cronometrica non si evidenziano differenze. In estrema sintesi, l’insieme della microgestualità presente nell’Mtm è stata raggruppata (per esempio: raggiungere, afferrare, muovere, rilasciare diventa "spostare"). L’analiticità dei pagati in relazione alle distanze (un centimetro nell’Mtm) è consolidata in tre blocchi da un centimetro a 80 centimetri (spostare vicino, normale, lungo).

I diversi gradi d’interferenza, difficoltà, ecc., presenti nell’Mtm sono ridotti a tre soli (f=facile, m=medio, d=difficile). I pagati dell’Mtm espressi in Tmu (0,06 centesimi di minuto) sono trasformati tramite un coefficiente di correzione e operando anche medie varie, in millesimi di minuto e a rendimento 133,33. Tutti questi passaggi sono ben spiegati nel manuale edito dal servizio lavoro della Fiat e, dopo anni di verifiche e di sperimentazioni da parte di decine di sindacalisti e di delegati, non ci sono dubbi riguardo non all’equità del modello, ma alla corretta derivazione dall’Mtm e alla coerente rispondenza ai canoni operanti in Italia rispetto ai massimali di rendimento e, quindi, agli accordi nazionali e aziendali. Questo modello, sempre presente come momento formativo per gli analisti, nel corso degli anni cinquanta e sessanta era sostanzialmente inutilizzato in officina, perché sostituito dal deleterio strapotere della gerarchia. Il Tmc riemerge dopo il 1971, per gestire l’accordo di gruppo che ripristina regole volte a consentire ai consigli di fabbrica di contrattare i carichi di lavoro, l’organizzazione del lavoro, le saturazioni ridotte, le pause per il disagio linea ecc.

Dal Tmc-1 al Tmc-2

Le regole stabilite nel corso degli anni settanta sono rimaste sostanzialmente operanti in tutto il gruppo Fiat, fino all’accordo per i nuovi stabilimenti della Sata di Melfi e dell’Fma di Pratola Serra dell’11 giugno 1993. Detti stabilimenti pur essendo Fiat a tutti gli effetti, formalmente sono società autonome e quindi corso Marconi ha preteso che l’intero patrimonio di contrattazione fosse azzerato, imponendo e ottenendo, soprattutto sul tema della prestazione di lavoro, il completo stravolgimento di razionali modelli di gestione e di contrattazione operanti da più lustri nel gruppo. Non è questo il momento di analizzare e comparare gli accordi Fiat con l’accordo di Melfi, anche perché troppe sarebbero le assurdità e gli arretramenti da mettere in evidenza. La cosa eclatante da denunciare è che per la prima volta in ambito Fiat viene sottoscritto il Tmc-2 in sostituzione del Tmc-1.

L’azienda afferma che le modifiche apportate non sono altro che un più preciso adeguamento Tmc all’originario Mtm. Non è così. Non bisogna certo essere dei cronotecnici per accorgersi che il passaggio da 16-42 millesimi a 9-36 millesimi non è la stessa cosa per il movimento degli spostare, che è identico nella gestualità con il Tmc-1. E anche per l’azione del posizionare, i tagli sono considerevoli, e anche in questo caso incomprensibili, dato che il movimento non può subire reinterpretazione alcuna, essendo nel dettato Mtm rigidissimo. Quanto poi ai movimenti del corpo, pure in questo caso la logica dei pagati è rimasta la medesima, ma i tempi sono stati tagliati del 20 per cento sul facile (passi) e del 7 per cento sul difficile (flessioni del tronco ecc.).

Durante la trattativa per Melfi abbiamo sfidato l’ingegnere che guidava la delegazione Fiat a dimostrare che le due metriche fossero equivalenti, fornendoci l’esempio di rilevazione accluso al manuale del Tmc-1 (montaggio manuale contemporaneo di due pompe alimentazione carburante) con il Tmc-2. Esempio non contestabile da nessuno, scomposto e analizzato in tutte le sue parti, paradigma sul quale intere generazioni di analisti si sono formate. Il giorno successivo ci è stata fornita fotocopia del nuovo rilievo (protocollata dalla Fiat e gelosamente custodita) che con identica gestualità, prodotto e tecnologia usata prevedeva il passaggio da 141,5 a 155,54 pezzi all’ora, con un incremento di 14,04 pezzi, pari al 9,92 d’incremento percentuale. Sottoponendo però a esame il rilievo Fiat, questo è risultato gravato da due grossolani errori (evidentemente voluti, per abbassare i volumi) e direttamente rilevabili raffrontando sia i rilievi Tmc-1 e Tmc-2 che le logiche Mtm presenti sui loro manuali.

Eliminando gli errori, il volume produttivo con il Tmc-2 passa, con il loro rilievo, a 171,5 pezzi, con un incremento di 30 pezzi all’ora, pari a un 21,2 d’incremento percentuale.

Da Melfi a Cassino

La vicenda di Cassino, nella sua drammaticità, illumina ulteriormente il sinistro scenario aperto a Melfi. Essendo un accordo di gruppo a tutti gli effetti, l’azzeramento di tutte le intese precedenti era un compito arduo e la Fiat non ci ha provato. Di tutte le assurdità imposte a Melfi sul tema della prestazione di lavoro (diminuzione di 20 minuti della pausa linea, recupero di tutte le fermate, erosione dei fattori di riposo e fisiologici in presenza di disfunzioni tecnico-impiantistiche) non c’è traccia. L’interesse dell’azienda si è concentrata sui due aspetti primari: la metrica del lavoro (Tmc-2) e le procedure per la contestazione dei carichi di lavoro. Oltre agli evidenti vantaggi economici e politici, non bisogna dimenticare che l’attacco è portato nel cuore del gruppo, in Fiat Auto. Solo un cieco non vedrebbe il rischio gigantesco per i lavoratori qualora l’accordo separato passasse e si consolidasse.

Cesare Cosi
(Ufficio sindacale Fiom Piemonte)

Fonte

  • fonte: Rassegna sindacale, n. 34, 25 settembre 2001

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