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(11 Agosto 2010) Enzo Apicella
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Usa, i costi della guerra in afghanistan

(30 Luglio 2010)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.operaicontro.it

peacereporter Politici e analisti preoccupati per un aumento incontrollato delle spese militari L'establishment statunitense dà ancora credito alla guerra ma i dubbi cominciano a serpeggiare, soprattutto quando si guarda al portafoglio e al futuro.
E' quanto emerge da dichiarazioni e analisi made in Usa apparse negli ultimi mesi, fino allo stentato rifinanziamento straordinario della missione in Afghanistan passato al Congresso il 27 luglio.
In quella occasione, 102 democratici hanno votato contro il progetto di legge che sblocca 37 miliardi di dollari per fondi supplementari a sostegno delle guerre in Afghanistan e Iraq. Obama ha dovuto ricorrere ai voti repubblicani che compattamente l'hanno sostenuto (appena 12 contrari), spostando però il baricentro dell'amministrazione a destra. L'anno scorso un disegno di legge analogo aveva registrato l'ammutinamento di soli 32 democratici.

Il punto è che, proprio a causa delle spese militari, il budget federale per l'anno fiscale 2011 appare già da ora inattendibile. E va osservato che il documento economico prevede il congelamento delle spese in tutti i settori tranne uno: la difesa appunto.
Per le attività militari è prevista un budget che supera i 700 miliardi di dollari e che comprende anche le "contingency operations", cioè, alla lettera, "operazioni d'emergenza": in pratica l'imponderabile su tutti i teatri in cui opera l'esercito americano. Qualcosa di molto difficile da stimare.
Sta di fatto che nel 2010 il budget per le contingency operations era di 159 miliardi di dollari; per il 2011 scende a 50. Cosa si taglia? Il costo del lavoro, ovvero le spese relative a salari e mantenimento dei soldati. Ma nel frattempo Obama spedisce altri 30mila militari in Afghanistan. Difficile a questo punto far tornare i conti.

Così le previsioni di spesa si gonfiano nel tempo.
A gennaio l'Ufficio Budget del Congresso aveva stimato in 573 miliardi annui le spese militari, escluse le guerre in Iraq e Afghanistan. Si trattava di un 10 per cento in più rispetto all'anno precedente.
Già allora Travis Sharp, un'analista del Center for a New American Security, non mancava di far notare che al netto dell'inflazione lo stanziamento superava del 13 per cento quello per la guerra di Corea, del 33 per cento quello per il Vietnam e del 23 per cento i picchi massimi della Guerra Fredda. Era una cifra superiore anche ai valori più alti raggiunti all'epoca del "guerrafondaio" Reagan, cioè circa 500 miliardi in valori attuali.

A giugno le stime sono state ritoccate a causa dell'aumento dei costi previsti per gli armamenti, in particolare per l'acquisto di caccia F-22 e per la Marina: l'acquisto di 276 nuove navi e di uranio per le portaerei a propulsione nucleare dovrebbe passare dai 15 miliardi previsti a 21. Le forniture sono inoltre in ritardo e questo fa lievitare i prezzi.

Arrivamo quindi a luglio e al voto per il finanziamento straordinario che arriva con settimane di ritardo per le divisioni interne ai democratici.

Dal Pentagono fanno sapere che senza le nuove risorse la Difesa Usa potrebbe avere problemi di bilancio a partire da agosto 2010.
A questo punto insorge lo Special Inspector General for Iraq Reconstruction (Sigir), cioè l'ufficio governativo creato per vigilare sulla ricostruzione dell'Iraq, scondo cui il Pentagono non può spiegare "in modo appropriato" la spesa di circa 8,7 miliardi di dollari, utilizzati in Iraq tra il 2004 e il 2007. L'organismo denuncia le "debolezze del controllo manageriale e finanziario" e il "lassimo contabile" che ha portato a "perdite ingiustificate".

Nessun membro del congresso intende presentarsi alle prossime scadenze elettorali dovendo giustificare tagli nei servizi essenziali a fronte di aumenti geometrici del budget militare. Il finanziamento straordinario passa ma la fronda si amplia.

Gabriele Battaglia

www.operaicontro.it

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