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Per i tre operai della Fiat

Per i tre operai della Fiat

(25 Agosto 2010) Enzo Apicella
Melfi. La Fiat licenzia tre operai, il giudice del lavoro li reintegra, la Fiat li invita a rimanere a casa!

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(Licenziamenti politici)

"Padroni a casa nostra"

(14 Agosto 2010)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.operaicontro.it

28 Aprile Licenziato un delegato della FIOM. Fascismo aziendale e rappresaglie contro la FIOM non si fermano in FIAT (...)

E' inaccettabile quanto è accaduto alla BODEGA, trafileria d'alluminio di Cisano Bergamasco, circa 220 dipendenti. Ieri all'inizio del turno, Davide Rossi, delegato rsu Fiom da 6 anni e componente del direttivo della Fiom di Bergamo, si vede consegnare lettera di licenziamento e libretti.

La vicenda è questa.
Tanto per capirsi, Cisano Bergamasco è un piccolo comune, fortemente industrializzato, tra la provincia di Bergamo e quella di Lecco, nel cuore della Padania leghista, quella dei “padroni a casa nostra” sui muri delle case.

L'8 luglio, nelle giornate più calde del mese, in uno dei tre stabilimenti della Bodega, un lavoratore addetto al magazzino si accascia a terra dopo tre ore di lavoro e muore. Infarto, 58 anni e pochi mesi alla pensione. Dopo poche ore, andati via ambulanza e carabinieri, qualcuno torna a casa; molti riprendono a lavorare, perché così comanda l'azienda.

Nessuno della direzione pensa di avvisare o dare spiegazioni su quanto avvenuto né ai delegati né agli rls. Tanto meno alle organizzazioni sindacali territoriali - Fim Fiom Uilm - che seguono la fabbrica.

La notizia arriva - di terza mano - soltanto il giorno successivo. Circola voce che un lavoratore è morto per cause naturali. Ma - ribadisco - nessuno, né i delegati, né gli rls, né le organizzazioni sindacali, sanno esattamente come si sono svolti i fatti, quando e come sono arrivati i soccorsi, se e quando le forze dell'ordine hanno accertato l'accaduto. Peraltro, nello stabilimento le condizioni di lavoro non sono esattamente quelle di un ufficio, potete immaginarlo, e nei reparti il caldo in quei giorni è insopportabile. Avendo ricevuto notizie soltanto da terzi, come sindacalista della Fiom che segue quella fabbrica decido di avvisare le autorità competenti per chiedere le dovute verifiche. Prima chiedo però a Davide e Carlo - rispettivamente Rsu e Rls - di staccarsi in permesso sindacale, andare nello stabilimento e chiedere, nel pieno e regolare esercizio della loro attività sindacale, cosa è successo.
Nel vederli lì, semplicemente a chiedere informazioni, la responsabile del reparto va in escandescenza. Forse - comprensibilmente - è ancora scossa da quanto avvenuto il giorno prima e inizia a urlare e a insultarli. Nessuno dei presenti la provoca, nessuno - come invece viene contestato dall'azienda - prova nemmeno lontanamente a insinuare una qualche responsabilità della signora nella tragedia avvenuta. Anzi, Davide, nonostante venga ripetutamente insultato, prova a calmarla.

Poco dopo arriva anche il padrone della fabbrica. Anche lui si mette a insultare pesantemente il delegato e gli ordina urlando di andare via. Davide, nonostante gli insulti, rivendica di essere lì in qualità di Rsu. Di fronte a un episodio grave come quello accaduto il giorno precedente ha il diritto e il dovere di verificare i fatti e le condizioni di lavoro, tanto più che l'azienda non ci ha informato di niente. Che si tratta, come poi dopo sarà più chiaro, di morte naturale, Davide ed io lo abbiamo, fino a quel momento, sentito soltanto da voci di corridoio!

Peraltro, che quel lavoratore - a 58 anni e dichiaratamente cardiopatico - fosse nelle condizioni di svolgere quel lavoro, io francamente conservo tuttora il dubbio.
Se esiste un certificato medico che dichiarava la sua idoneità a quelle mansioni, come dice l'azienda, né io né Davide lo abbiamo mai visto.

Pochi giorni dopo, il 14 luglio, vengo ricevuta, insieme a Fim e Uilm dal responsabile del personale e dalla Confindustria. In quella sede l'azienda non dice niente sulle lettere di contestazione che ha già scritto. Anzi, fa intendere che non sa come andrà avanti.
Nel frattempo, durante l'incontro, Davide viene accusato di raid, blitz, azione punitiva, intimidazione. Io vengo - ridicolmente - accusata dalla funzionaria di Confindustria di maschilismo, perché difendo due uomini che avrebbero, così lascia intendere l'accusa, pressoché aggredito la responsabile - donna - del personale.
Il giorno dopo arrivano le lettere, datate 13 luglio. Si dice che Davide, il rappresentante per la sicurezza e un altro lavoratore - sempre iscritto alla Fiom e presente lì quasi per caso - hanno assunto un “comportamento di riprovevole gravità” e accusato l'azienda e la responsabile del reparto della morte del loro collega.

Dopo pochi giorni arriva la sanzione disciplinare: tre giorni di sospensione per il rappresentante della sicurezza. Il licenziamento per Davide.

Davide, delegato sindacale e componente del direttivo della Fiom di Bergamo, è stato licenziato per rappresaglia anti-sindacale. Perché nell'esercizio delle sue funzioni è andato a chiedere come e in quali circostanze un suo collega è morto nel suo posto di lavoro il giorno prima. La Fiom di Bergamo contesterà il licenziamento per vie legali. Per lunedì 26, intanto, è indetto un presidio ai cancelli dello stabilimento principale, cui parteciperanno lavoratori e delegati di tutto il territorio.

Il fascismo aziendale modello Fiat non si ferma né a Melfi né a Mirafiori né a Pomigliano. Anzi, quassù in Padania, padroni e padroncini hanno molto da insegnare a Marchionne e ai suoi.
Eliana Como (Fiom di Bergamo)

www.operaicontro.it

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