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(27 Luglio 2010) Enzo Apicella
Il sito internet Wikileaks pubblica novantaduemila documenti segreti sulla guerra in Afghanistan

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Afghanistan, le urne, le bombe d’una nazione senza domani

(19 Settembre 2010)

Elezioni Afghanistan

Vittime militari dell’Isaf (fra cui l’incursore italiano Romani), vittime civili, rapimenti di candidati, sbandamento di elettori, incursioni ai seggi e bombe che seminano ovunque morte e paura. I due giorni della vigilia elettorale in Afghanistan confermano il divario esistente fra le notizie di propaganda, volte a minimizzare e nascondere l’inesistente controllo strategico e politico della regione, e una realtà assolutamente ingovernabile per quelle che qualsiasi componente dentro e fuori il Parlamento considera forze d’occupazione. Con buona pace del generale Patraeus e dei suoi piani per il futuro. Il passo suggerito nel giugno scorso dalla Casa Bianca a Hamid Karzai, sbugiardato dai brogli delle Presidenziali che comunque gli conservano il potere, quell’accordo coi Taliban “buoni” disposti a collaborare per la gestione del Paese era miseramente tramontato. Sotto l’accresciuto peso del fuoco guerrigliero che in quel mese, nell’anomalia della guerra asimmetrica, fece oltre cento morti fra le truppe Nato e ribadì ciò che si rivede in queste ore: il radicamento telebano nel territorio non è minimo e una loro rudimentale bomba piega la tecnologia avanzata degli occupati. Il volto borghese della ricerca della democrazia - auspicabile per un popolo che dall’inizio delle operazioni volute da George Bush jr ha visto morire oltre 50.000 concittadini sotto un fuoco giudicato tutt’altro che amico - ripropone il rito elettorale. Può farlo solo sotto il presidio armato dei seggi ai quali dieci o dodici, in effetti non si sa, milioni di afghani sono chiamati. Nei 5.816 seggi allestiti in oltre trenta province si devono, o dovrebbero, eleggere in modo più trasparente possibile 249 rappresentanti della Wolesi Jirga che sta per Camera bassa. In virtù dell’accordo che garantisce una quota rappresentativa alle donne 69 di esse dovrebbero essere sicuramente elette. C’è da sperare che non accada loro quel che denuncia Malalai Joya nel suo celebre “Finché avrò voce”: essere minacciate di morte da altri membri del Parlamento che i sostenitori della Enduring freedom considerano democratici. Anche ieri nei seggi istallati a Kabul, e ancor più in quelli decentrati e rurali, gli uomini dei Signori della guerra, contro cui nel 2008 Malalai ebbe il coraggio di puntare in pubblico il dito, controllano le operazioni di voto. Mandano i propri uomini a promettere aiuti o semplicemente a intimorire, e l’occhio vigile di costoro entra nei loculi delle cabine, a verificare, a ispezionare. I risultati di questa tornata elettorale arriveranno entro il 31 ottobre, altro elemento che fa pensare non tanto alla lentezza delle operazioni di spoglio ma al rischio di manomissione delle schede, come gli osservatori internazionali furono costretti ad ammettere per la rielezione di Karzai. I beneficiari saranno i volti di sempre che per interposte persone, e con nuovi candidati controlleranno, leggi e condizioni di vita del Paese. Perché tuttora non c’è alternativa ai gruppi tribali e paramilitari controllati dai Hekmatyar, Rabbani, Dostum, Sayyaf e compagnia sparando, che nonostante i buoni propositi dei Carabinieri dei Gis impegnati a preparare l’esercito afghano e le postazioni delle truppe Isaf, controllano ciascuno una fetta di territorio e la conseguente economia di piantagioni e traffico del papavero da oppio. Nel 2000, alle soglie delle operazioni occidentali, esso era coltivato in 18 province su 91.000 ettari, ora lo è in tutte le 34 province su ben 165.000 ettari, per la gioia di Walid fratello del Presidente, uno dei trafficanti più incalliti. Se le operazioni di voto di cui alcune emittenti hanno mostrato le immagini da alcuni iperprotetti seggi di Kabul, porteranno qualche faccia diversa nel panorama politico è tutto da verificare. Scardinare il sistema tribale a supremazia maschile basato su leggi consuetudinarie (pashtunwali) e codice religioso (sharia) accettati, ben oltre i Taliban, da tutta la società afghana è un passo che non si ottiene con nessuna occupazione decennale. Lo impararono i britannici e lo constatarono i sovietici, ai quali le sorti di rappresentanza politica non tribale o la parità dei sessi non interessavano affatto. Un po’ come ai generali di Obama, McChrystal o Patraeus di turno.

Enrico Campofreda

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