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Obama diviso fra Karzai e Taliban

(22 Settembre 2010)

Nove militari dell’Isaf, vittime ieri della caduta dell’elicottero, è l’ennesima conta di morte proveniente dall’Afghanistan. Prestiamo attenzione alle cause - incidente secondo la Nato, abbattimento nella versione talebana - perché il nodo strategico d’incontro-scontro coi locali guerriglieri messo in disparte nel giugno scorso potrebbe caratterizzare di nuovo la linea di Obama.

Gli strateghi statunitensi esamineranno certamente il risultato delle elezioni svolte domenica, la cui partecipazione data enfaticamente al 40%, potrebbe svelare percentuali decisamente più basse. Senza contare che brogli e la disperata vendita del voto per fame da parte di molti afghani, evidenziata già da corrispondenti non propagandisti, non favorirà alcun cambiamento.

Resisterà uno statu quo che finora ha premiato il presidente Karzai, fantoccio dalla presunta vita breve e che nel gioco delle parti si sta dimostrando assai scaltro. Lui sa che appena la Nato gli dovesse togliere la protezione politico-militare volerà come foglia al vento, ma si fa forte dell’assenza di alternative.

Per l’Occidente, che ha provato Rabbani nel 1996, qualsiasi Signore della Guerra sarebbe peggiore di Karzai. Mentre sistema tribale e pashtunwali restano inalterati il presidente corrotto spartisce il territorio con gli altri criminali dal kalashnikov facile e tira a campare; un po’ come fa la “missione di pace” Nato le cui prospettive sono seriamente compromesse.

L’Occidente l’ha rivolto negli ultimi anni il suo Jihad ai Taliban, che i meno giovani ricordano foraggiati e utilizzati dagli Usa in funzione antisovietica.
Dopo centosette mesi l’azione della Nato rischia di finire anche peggio dell’invasione dell’Armata Rossa per il peso economico, strategico, d’impatto mediatico e propagandistico profusi da due amministrazioni statunitensi.

Se si pensa alla guerra al terrorismo messa in atto da Bush partita con la caccia a Osama Bin Laden e proseguita coi bombardieri che seminavano distruzione fra i civili, e poi ai tatticismi di Obama che predica l’integrazione democratica del popolo afghano ma sa che quella gente martoriata dai lutti prodotti dai marines non ha fiducia in nessuna forzata ‘civilizzazione’, si comprende come l’iniziativa occidentale sia in un vicolo cieco.
I Taliban si prendono la briga di ritemprarsi oltre la frontiera pakistana e tornare a combattare in patria, dimostrandosi assai rodati nelle tattiche di guerriglia che prevedono l’abbandono di zone di fronte ai massicci interventi nemici e la comparsa in altri luoghi.
Col vantaggio di trovare – grazie alla forza delle armi, al raggiro ma pure alla solidarietà – sostegno fra quel popolo che se non rivaluta il fondamentalismo non s’appassiona a un modello che definisce pace una guerra cruda e crudele e dà patenti di democrazia a odiati satrapi.
Per trovare vie d’uscita Obama potrebbe ritornare a cercare dialogo con la galassia talebana, solo che oggi sulla linea del fuoco gli ordigni di fortuna valgono più d’un elicottero Apache.

21 settembre 2010

Enrico Campofreda

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