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Un anno fa sui tetti dell’Ispra. Perché la lotta paga.

(24 Novembre 2010)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.radiocittaperta.it

Un anno fa sui tetti dell’Ispra. Perché la lotta paga.

foto: www.radiocittaperta.it

Marco Santopadre, Radio Città Aperta

24-11-2010/17:07
--- Alle 12.30 la bella sala seminterrata della libreria Altroquando, a due passi da Piazza Navona, è piena di ricercatori e lavoratori dell’Ispra e di altri enti di ricerca, per lo più giovani. Con loro qualche rappresentante del sindacalismo di base, ma nessun giornalista, tranne noi di Radio Città Aperta. Eppure si trattava di una conferenza stampa, ed anche dal punto di vista giornalistico la notizia era ghiotta: i ricercatori sono di nuovo sui tetti, esattamente ad un anno di distanza da quel 24 novembre del 2009, quando una manciata di precari di uno dei tanti enti di ricerca presi di mira dal governo decisero di accamparsi sul tetto dell’istituto in Via di Casalotti e di intraprendere una lotta che avrebbe portato, dopo ben 59 giorni di resistenza, determinazione e rabbia creativa, ad una vittoria importante ed esemplare.

“Non abbiamo nulla da commemorare, perché si può commemorare solo ciò che si è concluso, che è finito. E invece la nostra lotta continua con la stessa determinazione di una anno fa” dice visibilmente emozionata Michela Mannozzi, una delle portavoci di una protesta che approdò sulle pagine della rivista ‘Science’ e su quelle del ‘Financial Times’, prima di obbligare il Ministero dell’Ambiente e tutto l’esecutivo a bloccare i 200 licenziamenti mascherati di dipendenti a tempo determinato messi in scadenza a partire dal 31 dicembre dell’anno scorso. Un capodanno, quello, che i precari ed anche alcuni dipendenti di ruolo passarono sul tetto del palazzetto dell’Ispra, collegati in diretta col mondo attraverso una webcam e una chat, tutt’altro che isolati. Questa mattina uno dei numerosi interventi ha ricordato il ‘mozzarellaro’ che, in segno di solidarietà, passando davanti ai cancelli dell’ente si fermò e regalò ai precari alcuni dei suoi formaggi migliori ‘incitando alla ribellione’; perché anche lui aveva un figlio precario. Quel Capodanno la solidarietà del quartiere, del resto del sindacalismo di base e di tanti cittadini prese la forma di una fiaccolata che sfilò per le vie di Casalotti. Molti dei manifestanti ed altre persone torneranno a dare man forte ai precari asserragliati sul tetto; porteranno loro compagnia e cibo, senza pretendere nulla in cambio. Perché era chiaro ormai a molti che quella dei dipendenti di uno dei tanti enti di ricerca destinati al sacrificio non era solo una lotta per la difesa del loro posto di lavoro. Ma anche per difendere la dignità di tutti quei precari che ogni giorno rischiano di ‘scadere’, e ancora per salvaguardare e rilanciare la funzione del loro ente e di altri impegnati nella difesa dell’ambiente e del territorio.
“All’epoca altri enti non ce l’hanno fatta a sopravvivere ai piani del governo; alcuni sono stati accorpati e fusi, altri sono scomparsi del tutto. In nessuno di questi vi era la presenza del sindacalismo di base” fanno notare con orgoglio Cristiano Fiorentini e Claudio Argentini, dirigenti dell’Unione Sindacale di Base. La lotta ha pagato, alla faccia di chi di fronte ad una situazione sempre peggiore continua a ripetere che nulla si può fare per invertire la tendenza. I precari, i fantasmi che durante le iniziative indossavano maschere bianche, gente ‘normale’ che mai avrebbe pensato di trascorrere quasi due mesi sul tetto del proprio posto di lavoro, hanno vinto una battaglia titanica grazie soprattutto alla loro determinazione e alla loro forza di volontà. In controtendenza rispetto alla pratica della concertazione e della subalternità messa in campo pedissequamente dai sindacati confederali e ancor più da quelli gialli esistenti in più settori, i precari dell’Ispra hanno esercitato quel conflitto che è l’unica arma a disposizione di chi, oggi, almeno vuole salvaguardare la propria dignità di persona e di lavoratore. “Siamo stati capaci di unire le esigenze del singolo a quelle della collettività”. I rappresentanti dell’USB ricordano l’affollatissimo convegno del 25 marzo intitolato “Ricerca bene comune”, organizzato con l’idea di rilanciare la funzione della ricerca come strumento a disposizione della collettività per il miglioramento della condizione generale e per la riconquista di un futuro oggi quanto mai fosco. Da qui l’idea di rilanciare, a battaglia incredibilmente vinta, il comitato “Paese senza ricerca. Giovani senza futuro” che ha come ambizione quella di indicare un modello alternativo di sviluppo della ricerca e quindi della società, proponendo un percorso che si basi sulla prevenzione, sulla formazione e sulla sperimentazione.
Ad un anno di distanza l’Ispra è un patrimonio a disposizione degli altri lavoratori. E’ stata una delle poche vertenze che, anche se con ritardi e lentezze e punti non ancora chiari rispetto all’attuazione di quanto promesso dall’amministrazione, è stata risolta positivamente segnando un punto importante a favore dei lavoratori e dell’indipendenza del sindacato rispetto al quadro istituzionale e delle compatibilità.
Su quel tetto in molti hanno scoperto per la prima volta che qualcosa ‘si può fare’ e che la propria battaglia personale può essere un elemento di una più ampia battaglia generale del mondo del lavoro. Per questo non sono mancate, durante la conferenza stampa, i riferimenti a quanto accade proprio in queste ore, con decine di ricercatori e precari dell’Università arrampicati sui tetti di tante facoltà da nord a sud. Così come non può mancare un messaggio di solidarietà inviato ai lavoratori sardi ‘rinchiusi’ ormai da quasi sei mesi nel carcere dell’Asinara. “Siamo stati costretti ad inventarci quella forma estrema di lotta perché tutte le proteste precedenti erano passate inosservate. La lotta è iniziata ben prima che decidessimo di salire su quel tetto” ricorda un lavoratore che poi sottolinea l’importanza del sostegno da parte di un sindacato di base indipendente e democratico che, dopo 59 giorni di lotta, sottopose ai lavoratori il testo della bozza di accordo raggiunto con il governo per ricevere un mandato chiaro su cosa fare.
Nell’ultima parte della conferenza stampa l’emozione e la commozione per quei momenti difficili ma esaltanti passati insieme prendono il sopravvento, quando Andrea legge ampi brani di quanto alcuni protagonisti di quella lotta hanno scritto all’interno di un libro appena uscito, curato dall’USB dal titolo “Non sparate alla ricerca. Dalla base al tetto, cronaca di una lotta”. Un libro che si apre con quanto la battagliera e lucida Margherita Hack disse rivolgendosi tra gli applausi a centinaia di lavoratori riuniti in una sala dell’Istituto Superiore di Sanità: “La ricerca pubblica va considerata come un bene primario, come scuola e sanità, come l’acqua e l’aria. Sono beni di tutti che si proteggono con la ricerca e questo ente, l’Ispra, è proprio uno di quelli preposti alla difesa dell’acqua e dell’aria, dell’ambiente e della vivibilità. E ora vogliono targliargli le gambe. (...) Libera scienza in libero stato deve essere la nostra guida, il nostro futuro, e noi vogliamo una ricerca libera finanziata adeguatamente. E’ una vergogna vedere tanti giovani senza futuro, o meglio con un futuro di precariato a tempo indeterminato. Non si era mai visto un precariato senza futuro come questo!”.
Quel futuro i lavoratori e le lavoratrici dell’Ispra hanno provato a riprenderselo, con la lotta. Ed assumendosi le responsabilità e i rischi che ciò comportava. Non è un caso che il breve video realizzato con alcune delle istantanee di quei 59 giorni si concluda citando Malcolm X: “Nessuno vi può dare la libertà. Nessuno vi può dare l'uguaglianza o la giustizia. Se siete uomini, prendetevela!”.

Radio Città Aperta - Roma

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