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Trentaseiesima croce in Afghanistan, La Russa dà la sua versione

(20 Gennaio 2011)

La Russa in Afghanistan

Un altro militare italiano del contingente Isaf in Afghanistan è morto. Si chiamava Luca Sanna, un sardo di 33 anni, dell’8° reggimento Cividale del Friuli. E’ il trentaseiseimo, mentre un commilitone è ferito a una spalla. Una prima ipotesi diffusa da fonti locali è stata quella d’un attacco scaturito da fuoco amico all’interno d’un avamposto della base controllata dal nostro esercito a Bala Morghab. Stessa località dove il sangue italiano era già stato versato nel maggio scorso. A Bala Morghab un caso di scontro interno s’era verificato circa due anni or sono: un militare agfhano aveva sparato a un marine statunitense uccidendolo. Questo genere d’ipotesi è stata però smentita da una nota del Ministro della Difesa La Russa che ha sostenuto come il killer fosse un terrorista travestito da militare alleato che dopo il colpo mortale è riuscito a fuggire. La Russa riferirà domani alle 16 al Parlamento sull’ennesimo luttuoso evento che coinvolge il nostro contingente, forte di 3.500 uomini fra le truppe Nato regolari più alcuni reparti speciali d’incursori (come la Task Force 45 cui apparteneva il tenente Romani) che insieme ad altri gruppi alleati attuano azioni di guerra sporca simili a quelle testimoniate da Wikileakes. Secondo fonti vicine al nostro esercito i Taliban presenti nella zona soffrirebbero la presenza delle truppe Isaf e simili episodi testimonierebbero la loro insicurezza.

Più d’un osservatore internazionale già dalla scorsa primavera asseriva l’esatto contrario: nello scacchiere afghano le quattro zone d’intervento dei contingenti occidentali (statunitensi a est, italiani a ovest, tedeschi a nord, britannici a sud) sono sempre più messe sotto pressione dalla controffensiva talebana. Questa è flessibile, s’espande sul terreno e si ritira attuando una tattica guerrigliera che riesce anche a colpire coi famigerati Ied i reparti occidentali in perlustrazione. E quando decide di affondare pone gli avversari in gravi difficoltà negli stessi luoghi considerati sicuri come le basi. Proprio la penultima vittima italiana, Matteo Miotto colpito a fine anno nell’avamposto di Buji nel Gulistan, dimostrava che quel luogo fu oggetto di un’offensiva neppure tanto breve e che il caporale non era stato centrato da un cecchino, versione di comodo lanciata inizialmente dal ministro La Russa poi costretto a smentire se stesso, bensì da un assalto in piena regola. Nonostante la propaganda di Washington - rilanciata dai notiziari dei Paesi alleati che s’affannano a sostenere la tesi del proprio controllo del territorio - la realtà rivela altro. Un Occidente privo di politica e strategia anche militare. Il paventato passaggio di consegne entro il 2016 a un esercito afghano che può sparare sui teorici alleati è lo spettro con cui gli uomini della Nato e il presidente Obama devono fare i conti, mentre il tragico elenco delle proprie vittime sale. Quello delle etnie afghane per gran parte dei media purtroppo non fa notizia da anni.

18 gennaio 2011

Enrico Campofreda

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